VITALITÀ

Enciclopedia Italiana (1937)

VITALITÀ

Giangiacomo Perrando

Con questa parola si vuol esprimere, genericamente, l'attitudine a vivere. In medicina legale ci si vuole particolarmente riferire a questa condizione del feto e del neonato in relazione a speciali disposizioni della legge sia penale sia civile. Nell'infanticidio, p. es., occorre stabilire l'attitudine a vivere della creatura non soltanto all'epoca della nascita, ma anche prima e durante la nascita stessa. Soprattutto occorre talora stabilire se nel neonato, pur vivente all'atto della nascita, possa eventualmente escludersi la capacità di vivere, nel qual caso il neonato rimarrebbe privo del diritto di successione. La vitalità si presume nel neonato che abbia presentato segni di vita autonoma, salvo prova in contrario. Questa attitudine a vivere che si desume dall'esame morfologico e strutturale evolutivo dei visceri (astrazion fatta, si capisce, dalle esogene e mortali malattie accidentalmente sopraggiunte) poggia sull'accertamento di un grado di sviluppo compatibile col protrarsi della vita extrauterina. Son quindi condizioni che escludono la vitalità l'insufficiente sviluppo fetale, certe mostruosità ledenti i visceri essenziali per la vita (cuore, polmoni, cervello, apparato gastroenterico e renale, ghiandole endocrine, ecc.), nonché certe malattie (gravi lesioni sifilitiche) che, durante la vita endouterina, abbiano determinato arresti o perturbamenti di sviluppo dei visceri necessarî alla vita. La legge civile, in relazione a questioni di legittimità, presume vitali i neonati dal 180° giorno di gestazione.

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