DE BELLIS, Vito

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 33 (1987)

DE BELLIS, Vito

Giuseppe Sircana

Nacque a Gioia del Colle (prov. di Bari) nell'agosto 1855da Angelo e Isabella Straziotta. Studiò ragioneria a Milano e, dopo aver conseguito il diploma, si trasferì a Marsiglia, dove frequentò la scuola superiore di commercio. Al rientro a Gioia dei Colle lavorò come contabile in un molino e si dedicò all'attività commerciale nel settore dei tessuti.

Nel 1883 il D. esordi nell'attività pubblica, dando vita a Bari al settimanale politico-commerciale IlMeridionale. Nel 1894, con capitali ottenuti dal Banco di Napoli, il D. costituì la società bancaria Vito De Bellis & C., poi messa in liquidazione. Esperto enologo, il D. divenne titolare di un opificio vinicolo.

Nel 1895 fu eletto deputato per il collegio di Bari. Nel medesimo collegio fu riconfermato anche nelle successive tornate elettorali del 1897, del 1900, del 1904 e del 1913. In Parlamento il D. si schierò con l'opposizione costituzionale di sinistra, che si riconosceva nella guida politica di G. Zanardelli e di G. Giolitti. Nel marzo 1902 il D., insieme con altri deputati pugliesi, inviò al presidente del Consiglio Zanardelli un lungo documento, nel quale venivano proposte una serie di misure da attuare celermente per impedire che il grave disagio delle popolazioni della Puglia potesse dar luogo a tumulti. I firmatari del documento si mettevano "a disposizione del governo per secondarlo nell'arduo compito di mantenere l'ordine nelle tre province pugliesi".

Gli scioperi agrari, determinati dal diffuso malcontento a causa dei disastrosi raccolti, ebbero il tragico epilogo nel settembre di quell'anno a Candela, dove la forza pubblica fece fuoco sui dimostranti provocando cinque morti e dodici feriti. I fatti di Candela suscitarono vivaci reazioni in Parlamento ed il ministro dell'Interno, Giolitti, fu chiamato a rispondere alle diverse interrogazioni, tra cui una del De Bellis.

Quando, il 3 dic. 1903, Giolitti si presentò alla Camera alla testa del nuovo governo il D. votò la fiducia, assumendo da quel momento la guida della pattuglia di deputati meridionali che sostenevano la politica giolittiana. Per l'assoluta e supina fedeltà a Giolitti questi parlamentari furono denominati dagli avversari "ascari ministeriali".

Oltre che nella preparazione delle votazioni il D. s'impegnò in Parlamento nella difesa degli interessi della cerealicoltura e della viticoltura del Mezzogiorno. Nel marzo 1904 il D. sostenne le ragioni del mantenimento del dazio sul grano per contrastare la concorrenza estera. Nel giugno 1907firmò un'interrogazione contro la importazione dei vino francese. Ancora nel febbraio 1908 sollecitò al governo interventi per risolvere la crisi vinicola. Nel gennaio 1909 precisò la sua posizione, dichiarando, in un'intervista al Mattino, di non essere d'accordo con coloro che sostenevano che gli interessi agricoli erano stati sacrificati agli interessi industriali: riteneva che ai coltivatori meridionali convenisse la "prosperità dei fratelli del Nord".

Queste sue dichiarazioni dimostrarono in modo eloquente una precisa scelta del D. a favore del blocco agrario-industriale, saldatosi nel 1887. Appunto la contraddizione tra la difesa degli interessi materiali dei coltivatori e le esigenze dei complessi equilibri politici, sui quali poggiava il governo, furono all'origine di qualche contrasto tra il D. e il suo elettorato. Nel 1906 il D. votò, ad esempio, la fiducia al governo di Alessandro Fortis sulla questione degli accordi commerciali con la Spagna, che riducevano il dazio sul vini spagnoli. Per questo atteggiamento il D. fu contestato da centinaia di elettori del suo collegio che inviarono una protesta al presidente della Camera, chiedendo le dimissioni del De Bellis.

Ripresentando la propria candidatura alle elezioni del 7 marzo 1909, il D. si appellò all'elettorato vantandosi della "amicizia politica e personale di Giolitti". Il modo in cui si svolse la campagna elettorale a Gioia del Colle e l'esito delle votazioni diedero origine ad un'accesa polemica, che coinvolse, oltre al D., lo stesso Giolitti. Fu G. Salvemini, che visse in prima persona le giornate elettorali a Gioia del Colle, a denunciare le violenze e gli intrighi messi in atto dal D. e dai suoi seguaci.

Ne Il ministro della malavita Salvemini descrisse in modo dettagliato i fatti verificatisi, addebitando la responsabilità principale di un costume politico corrotto a Giolitti. Il D. fu infatti definito da Salvemini "il gran mazziere giolittiano" e Gioia dei Colle "la mecca del giolittismo meridionale".Le accuse degli avversari del D. poggiavano su una serie di fatti obiettivi. Tutti i presidenti dei seggi di Gioia del Colle, fra i quali il figlio del D., furono processati per aver falsificato i risultati delle elezioni e soltanto per prescrizione si ebbe una sentenza di non luogo a procedere. Per vari reati di minacce, corruzione e violenze furono invece condannati l'ispettore di Pubblica Sicurezza e alcuni seguaci del De Bellis. La stessa convalida dell'elezione del D. fu sottoposta al giudizio della Giunta delle elezioni.

In una lettera a Oddino Morgari, Salvemini si mostrò scettico sulla possibile invalidazione: "De Bellis è il giolittismo. Più scandalosa è stata la sua elezione, più interesse ha Giolitti a farla convalidare". Nel maggio 1909 l'elezione del D. venne infatti convalidata, anche se Giolitti ammise che in alcune zone d'Italia la lotta elettorale poteva aver assunto "un particolare carattere di violenza".

Nel maggio 1912 il D. si rese interprete presso il ministero dell'Interno delle preoccupazioni degli agrari di Cerignola, che paventavano nuove agitazioni promosse dalla locale lega contadina, alla cui testa era Giuseppe Di Vittorio. Nel febbraio 1913 il D., insieme con altri deputati, presentò al governo un'ampia ed importantissima relazione per la difesa della viticoltura, minacciata dall'infezione filosserica. La riforma elettorale, approvata nel giugno 1912, veniva intanto ad indebolire la posizione di alcuni notabili nei loro collegi. Nelle elezioni dell'ottobre 1913, il D. riuscì ad essere eletto grazie ad uno scarto di appena 37 voti sul socialista intransigente Sangiorgi e sul riformista Petruzzi. In seguito alle dimissioni di Giolitti, nel marzo 1914, il D. vide ulteriormente ridimensionarsi il suo potere e divenne vivace oppositore del nuovo capo del governo, Antonio Salandra. Agli inizi del 1915 il D. si adoperò attivamente, in concorso con Claudio Treves ed altri, per riportare al potere Giolitti.

Il 15 maggio di quello stesso anno, il D. scrisse a Giolitti per lamentare l'atteggiamento compiacente del governo verso i "comizi eccitanti alla guerra civile" ed il "teppismo studentesco massonico". Nell'agosto 1917 il D. espresse la propria adesione ad un discorso di Giolitti caratterizzato dalla sottolineatura dei diritti politici e sociali delle classi lavoratrici. Il D. fu anche presente, il 12 ott. 1919, al banchetto elettorale di Dronero, allorché Giolitti pronunziò il celebre discorso programmatico.

Nelle elezioni, che si svolsero a novembre, il D. non riuscì tuttavia ad essere eletto. Si votava per la prima volta coi sistema proporzionale a suffragio universale e, più dei candidati, contava il voto, di lista. Nel maggio 1921il D. si ripresentò come candidato liberale indipendente per la circoscrizione di Foggia nella lista del Blocco nazionale. Questa volta riuscì eletto, ma dovette subire l'esclusione dalla lista per la circoscrizione di Bari, su diretta richiesta di Salandra. Questi aveva, infatti, accettato di capeggiare la lista ispirata da Giolitti a patto che ne fosse escluso il D., suo acerrimo avversario. Intanto nella lista del Blocco veniva realizzandosi l'unione tra i vecchi notabili locali, come il D., ed i nuovi capi fascisti, che ne avrebbero ereditato il potere, come Giuseppe Caradonna. Nel biennio 1922-23 il D. fu membro della Commissione permanente Industria e Commercio. Nell'aprile 1924non riuscì a trovare posto in alcuna lista e rimase escluso, per la prima volta, dalla competizione elettorale. Ormai fuori dal gioco politico, venne progressivamente emarginato dal fascismo.

Il D. morì a Roma il 28 dic. 1928; aveva sposato Caterina Lepore, che gli era premorta.

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