CRIVELLI, Vittore

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 31 (1985)

CRIVELLI, Vittore

Pietro Zampetti

Figlio di Iacopo e fratello del più famoso Carlo, nacque a Venezia e fu anch'egli pittore. La prima notizia che lo riguarda lo dà presente a Zara, e risale al 1465 (Zampetti, 1960, pp. 227 s.; Di Provvido, 1972, p. 304).

Mancando qualsiasi documentazione sulla data di nascita, si può con qualche certezza supporre che fosse di pochi anni più giovane di Carlo, a causa degli stretti richiami stilistici che lo legano, in modo subordinato, al fratello. È dunque possibile ipotizzare che i due fratelli lasciassero assieme Venezia, per trasferirsi in Dalmazia, probabilmente al seguito dello Schiavone. Ad ogni modo nel 1465 il C. giovanissimo non era più, se viene chiamato "maestro Vittore Crivelli pittore".

La sua presenza a Zara ebbe una durata ben maggiore di quella di Carlo, che nel 1468 e forse da qualche tempo, era già presente nelle Marche. Infatti il C. vi è ricordato in documenti successivi fino al 1476, quando acquista una casa, impegnandosi a pagarla ratealmente, anche con dipinti da eseguire (Di Provvido, 1972, p. 310). Ma nel 1481 ha pure lui attraversato l'Adriatico per firmare un contratto per un dipinto da eseguire per la chiesa di S. Maria di piazza di Loro Piceno, opera andata dispersa (Crocetti, 1976); il documento venne steso a Fermo il 18 giugno dal notaio Antonio Bertacchini (Di Provvido, 1972, pp. 314 ss.). Il C. evidentemente prese stabile dimora in quella città, perché in atti successivi è sempre dichiarato come abitante a Fermo. Anzi vi prese in moglie una Solario, figlia di Pietro. Poiché anche il ben noto Antonio, pittore, era figlio di un Pietro, c'è da pensare che i due artisti entrambi veneziani di origine, fossero cognati. Il C., dunque, fa parte per se stesso e non segue Carlo ad Ascoli. Si direbbe, anzi, che, almeno in un secondo tempo, i due si fossero divisi il campo d'azione, avendo il C. svolto la sua opera soprattutto nel territorio di Fermo e della sua diocesi. Le sue opere più note sono il polittico di Torre di Palma (Fermo), quello di San Severino e un altro a Sant'Elpidio a Mare, conservati insitu con le loro strutture lignee. Ma moltissime altre sono andate disperse o smembrate, seguendo la stessa sorte di quelle di Carlo.

La vita del C. trascorse senza particolari eventi e non risulta che, una volta stabilitosi nelle Marche, se ne sia più allontanato; a Fermo aveva qualche proprietà. Una sua pretesa, abbastanza sorprendente, permette di stabilire la data di morte del fratello. Infatti, nonostante che Carlo avesse moglie e figli, il C., in data 3 sett. 1495 rivolse istanza al Comune di Ascoli Piceno (Di Provvido, 1972, p. 25) per esser nominato suo unico e legittimo erede. In data 12 ag. 1501 il C. assunse l'incarico di dipingere un polittico per la chiesa di S. Francesco di Osimo che non riuscì però ad eseguire, per la sopraggiunta morte. Di conseguenza, in data 21 apr. 1502, suo figlio Giacomo si impegnava (Di Provvido, pp. 344 ss.) a far terminare l'opera da Antonio Solario (di qui una riprova dell'ipotesi della parentela tra i due). Ma il Solario, anziché portare a compimento il polittico del C., preferì, poi, dipingere una Sacra Conversazione, la stessà che tuttora si trova nella chiesa dei conventuali a Osimo, allora dedicata a S. Francesco, e successivamente a S. Giuseppe da Copertino.

La struttura lignea del polittico, già completata, ed opera del maestro Giovanni di Stefano da Montelparo (Crocetti, 1976), fu poi utilizzata dal pittore fanese G. Presutti, aiuto del Solario, e si trova oggi a Monsanpietrangeli. La tradizionale ma dunque erronea attribuzione di quest'opera al C. ha spesso fuorviato la critica, che ha individuato presunti suoi rapporti con l'arte umbra, di competenza invece del Presutti.

Un gruppo di piccole tavole devozionali con la Madonna e il Bambino, abbastanza affini alle due certe di Carlo (Verona, Museo di Castelvecchio e San Diego, California, Fine Arts Gallery), offre subito l'indicazione della formazione dell'artista, avvenuta o direttamente nella bottega del fratello o, accanto a lui, nell'orbita padovana dello Squarcione.

Un'opera tipica della convergenza stilistica tra i due è la piccola Madonna Bayer (New York), assegnata dal Longhi (Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, Firenze 1946, p. 57) a Carlo, ma più verosimilmente del C., così come altra, di ubicazione ignota, già a Vienna, nella collezione Lanckoronski, tutte abbastanza affini ad una terza firmata (già con firma contraffatta di Carlo), in raccolta privata milanese (Di Provvido, 1972, tav. 6). A queste va aggiunta la Madonna adorante il Bambino, disteso avanti a lei - un motivo legato alla pittura lagunare, caro anche ai Vivarini -, appartenente alla raccolta Liechtenstein di Vaduz. Al C., infine, più che a Carlo, può essere assegnata la Madonna in raccolta privata di Zagabria, segnalata dal Prijateli (1963), attribuita incertamente a Carlo anche da A. Bovero (L'opera completa del Crivelli, Milano 1975, p. 84 n. 3), ma evidentemente al di sotto d'ogni legame col grande maestro.

Queste opere, dunque, mostrano i due fratelli accanto, e in comunità di gusto con lo Schiavone, del quale condividono la presenza a Zara, negli anni Sessanta. Il C. rivela subito la minore personalità rispetto al fratello (ed anche al dalmata), attenendosi inoltre ad un modulo compositivo e cromatico più disteso, meno incisivo e violento, e già evidentemente ripetitivo rispetto ai prototipi, sia del fratello sia dello Schiavone.

Al periodo dalmata - prolungatosi, come s'è visto fino al 1480 c. - dovrebbe risalire, secondo lo Zeri (1961), il pentittico del Museo Puškin di Mosca, da lui rivendicato all'artista. In quest'opera, notevole, appaiono più elementi vivariniano-squarcioneschi che influenza di Carlo, tanto da suggerire, appunto, l'ipotesi di una sua esecuzione legata al periodo in cui, essendo Carlo emigrato nelle Marche, i due erano lontani. Lo Zeri, nel presentare il polittico, scrive che esso contiene elementi desunti da Antonio Vivarini, anche se "il dato formale vivarinesco è sottoposto ad una flessione in senso antinaturalistico, ma secondo un'accezione che non è più quella ‛gotica', bensì di palese ascendente padovano".

Più difficile l'inserimento nell'elenco delle opere del C. - che raramente firma e data - dell'altro pentittico già a Grottammare ed ora nella Pinacoteca Vaticana, non firmato, ma datato 1481 die ultima Iulii, che si è voluto identificare (Crocetti, 1976) con quello stesso che l'artista si impegnò a dipingere, con contratto del 19 giugno di quell'anno, in precedenza ricordato. Ma l'opera si inserisce in modo anomalo nel contesto della sua attività e, pur tra incertezze, mostra un'affinità con l'arte di Carlo che mai si riscontra nel C.: essa è dunque legata ad un problema critico non risolto. La sua operosità marchigiana è quella di un abile artigiano, più che di un creatore, e la ripetizione di moduli orinai fissati ne è conferma. Nelle cose più felici - per es. la Madonna col Bambino e angeli adoranti, della coll. Benson, poi Duveen, quindi sul mercato di New York (Di Provvido, 1972, tav. 13) - si rifà con più attenta osservazione alle opere del fratello, persino nel ritmo delle dita, ma attenuando e addolcendo, sempre, la forza vitale che distingue e rende irripetibili le opere di quello. Egli indulge a un decorativismo fastoso, nelle vesti dorate, nei rilievi a pastiglia, nella stessa presenza di fiori e di frutta, iniziando dal festone che spesso sormonta il gruppo della Madonna col Bambino, che è un elemento decorativo (ma anche simbolico) di origine padovana, comune al fratello e allo stesso Schiavone. Il cammino del C. non presenta una evoluzione chiaramente definibile, attenendosi evidentemente a modelli ripresi dal fratello, anzi a quelli giovanili di lui, senza avvertire Pevoluzione - sia pure lenta - che distingue l'attività di Carlo a contatto con le esperienze locali (Niccolò Alunno e, forse, il Signorelli). La sua ultima opera nota, la Madonna col Bambino del Louvre, firmata e datata nel 1501, ripete ancora stancamente quelle sue giovanili.

Esprimere un giudizio sull'opera del C. è difficile, anche per la dispersione dei suoi polittici: solo a Fermo ve ne erano quattro, le cui parti probabilmente sono da ricercare, se non sono andate distrutte, tra le tante tavole e i molti pannelli sparsi nei musei di tutto il mondo.

La critica moderna - non molto attenta neppure a Carlo - dà poco spazio al C., giustamente considerato epigono di quello, quindi privandolo di un posto creativo nell'arte dei Quattrocento. "I suoi prodotti" - scrive lo Zeri (1961) - hanno "il valore di uno specchio in cui è lecito leggere i riflessi della genuina arte di Carlo e riflessi tanto più preziosi quando, presenti nei prodotti più antichi di Vittore, non possono che illuminare, e sia pur di rimando, la primitiva situazione del grande pittore veneziano".

Il C. si rivela, nelle sue innumerevoli Madonne, nei trittici, nei polittici, come un'edizione minore del maggior fratello. Talora egli riesce accettabile, sulla spinta di un mestiere raffinato e di un'eccellente qualità di artigiano. I suoi quadri son sempre oggetti preziosi, condotti con estrema raffinatezza formale, e i suoi polittici intatti (purtroppo quello di Torre di Palma, asportato, poi ritrovato a pezzi, ha subito danni gravi) sono sempre testimonianza di un altissimo mestiere. Una certa autorità gli si deve poi riconoscere nelle scene di racconto, come nella predella del polittico di Sant'Elpidio, dipinte con brio e vivacità, con un colore chiaro, festoso, senz'ombre. Anche al C., come a Carlo, molto deve l'arte marchigiana, specie nel Sud della regione. Tra i pittori che più risentono di lui va ricordato il delicato e sensitivo Stefano Folchetti da San Ginesio.

Fonti e Bibl.: Oltre alla bibl. alla voce Crivelli Carlo in questo Dizionario, e alla bibl. in Di Provvido, 1972, si veda: A. Ricci, Memorie stor. d. arti e d. artisti della Marca di Ancona, Macerata 1834, ad Ind.; G. Cantalamessa, Artisti veneti nelle Marche, in Nuova Antol., 1°ott. 1892, pp. 401-31; G. B. Cavalcaselle-G. Morelli, Catal. d. opere d'arte nelle Marche e nell'Umbria (1861-62), in Le Gallerie nazionali ital., II(1896), pp. 204, 209, 210, 216, 218 s., 231; J. A. Crowe-G. B. Cavalcaselle, A history of painting in North Italy, a cura di T. Borenius, London 1912, I, pp. 96-98; B. Geiger, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, Leipzig 1913, pp. 136 s.; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, VII, 3, Milano1914, pp. 394-97 (cfr. Index, a cura di J. D. Sisson, Nendeln 1975); F. Drey, Carlo Crivelli, München 1927; L. Serra, L'arte nelle Marche, II, Roma 1934, ad Ind.; P. Zampetti, Mostra d. Pittura veneta nelle Marche (catal.), Bergamo 1950, pp. 23 ss.; Id., Carlo Crivelli a Zara, in Arte veneta, XIV(1960), pp. 227 s.; Id., Crivelli e crivelleschi (catal.), Venezia 1961; F. Zeri, Appunti nell'Ermitage e nel Museo Puškin, in Boll. d'arte, XLVI (1961), pp. 231-36; K. Prijateli, Una proposta per il Crivelli, in Arte veneta, XVII(1963), pp. 161 ss.; L. Dania, La pittura a Fermo e nel suo circondario, Fermo 1968, ad Ind.; Id., Nuovi documenti sui Crivelli, in L'Appennino Camerte, 31 genn. 1970; S. Di Provvido, La pittura di V. C., L'Aquila 1972 (con ampia bibl.); A. Campolongo, Considerazioni stor. sul trittico a Laino Castello, in Brutium, LII (1973), 2, pp. 6 s.; G. Alparone, Fortuna critica dei trittico di S. Teodoro a Laino Castello ..., ibid., 4, pp. 9 ss.; S. Legouix, V. C. 's Altar-piece from the Vinci coll., in The Burlington Magazine, CXVII(1975), pp. 98-102; D. Domančić, Slike Vittorea Crivellija u Dalmaciii (Quadri di V. C. in Dalmazia: attribuisce al C. una Madonna già assegnata al Čulinović), in Prilozi Povijesti umjetnosti u Dalmaciji, XX (1975), pp. 106-12 (con riassunto in francese); F. Zeri, Un'Adorazione dei Magi di V. C., in Diari di lavoro, II, Torino 1976, pp. 71-74; G. Crocetti, V. C. e l'intagliatore M.°. Giovanni di Stefano di Montelparo, in Notizie da Pal. Albani, V (1976), 2, pp. 17, 28.

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