COTTAFAVI, Vittorio

Enciclopedia del Cinema (2003)

Cottafavi, Vittorio

Stefano Francia Di Celle

Regista cinematografico e televisivo, nato a Modena il 30 gennaio 1914 e morto ad Anzio (Roma) il 14 dicembre 1998. Fin dai suoi primi film manifestò uno spiccato interesse per l'interiorità dell'uomo e i segreti della coscienza e una forte tensione a rendere vitali i valori più autentici del cattolicesimo e del liberalismo.

Cresciuto in ambiente borghese, trascorse la prima infanzia a Torino e si trasferì a Roma nel 1921. Sviluppò in quegli anni una solida conoscenza della letteratura e della filosofia e, dopo un inizio universitario in giurisprudenza, si iscrisse al Centro sperimentale di cinematografia nel 1935. In seguito fu assistente di Mario Bonnard, Camillo Mastrocinque, Goffredo Alessandrini e Carlo Campogalliani e partecipò alla realizzazione di Quelli della montagna (1943) di Aldo Vergano, quindi esordì nella regia con I nostri sogni (1943), tratto da un'opera di U. Betti, una commedia dai toni cameriniani che fece scoprire a C. la sua innata capacità di strutturare il fraseggio dell'azione scenica in un raffinato stile di regia aderente al testo. Nell'Italia del dopoguerra C. faticò a schierarsi con gli intenti contenutistici e formali del Neorealismo e, vanificato il tentativo di realizzare due progetti cinematografici, collaborò con Vittorio De Sica per La porta del cielo (1945) e con Vergano per Il sole sorge ancora (1946). Solo nel 1949 riuscì a realizzare La fiamma che non si spegne, un film su Salvo D'Acquisto con intenti celebrativi nei confronti dell'arma dei Carabinieri, accolto dall'aperta ostilità della critica che vi ravvisò segnali di simpatia verso il fascismo. In realtà l'opera, caratterizzata dallo sguardo apolitico del regista, risentì del particolare momento storico, non propenso a riconoscere nel film la forma rigorosa e lo stile essenziale al servizio di una vicenda di sacrificio antinazista in ambiente rurale. Nonostante le difficoltà che seguirono, C. realizzò nei primi anni Cinquanta da un lato film di genere storico-avventuroso, dall'altro opere sulla condizione della donna nella società contemporanea in cui equilibrò materiale narrativo d'appendice con uno sguardo morale, in bilico tra il melodramma esplicito e il film d'arte neorealista. Gli originali risultati, apprezzati dalla critica francese e ignorati da quella italiana, trovarono in Traviata '53 (1953) un felice utilizzo di soluzioni linguistiche in direzione di un cinema introspettivo. Il genere storico-avventuroso, del quale è un esempio Il cavaliere di Maison Rouge (1953), tratto da A. Dumas, gli permise di dispiegare il rigore della mise en scène e di iniziare a disseminare le ricostruzioni d'epoca di osservazioni ironiche al fine di raggiungere uno straniamento di voluta ispirazione brechtiana. Questo procedimento diventò più esplicito nei film di ambientazione storico-mitologica: La rivolta dei gladiatori (1958), La vendetta di Ercole (1960) e Ercole alla conquista di Atlantide (1961) narrano vicende lontane da riferimenti spaziali e temporali precisi, perdono il loro aspetto contingente e assumono, senza trasgredire le regole dello spettacolo, quello metastorico dei sentimenti umani e delle idee filosofiche e religiose. In maniera ancora più evidente in I cento cavalieri (1964), il racconto romanzesco di un assedio nella Spagna medievale interseca fatti storici precisi con istanze della contemporaneità come se si trattasse di animare spiritualmente un affresco storico. L'insuccesso del film portò C. ad allontanarsi dal cinema e a continuare la sua attività di regia per la televisione, iniziata nel 1957 e confermata nel 1959 da un contratto con la RAI. L'avvicinamento al nuovo mezzo fu accompagnato e stimolato da un costante interesse per l'evoluzione tecnologica e da una puntuale riflessione teorica sulla differente percezione psicologica del cinema e della televisione. La produzione fu subito copiosa: L'avaro (1957), Hänsel e Gretel (1957), Casa di bambola (1958), Umiliati e offesi (1958) e Le notti bianche (1962), indifferentemente, quindi, testi teatrali, adattamenti di opere letterarie, opere liriche e anche biografie romanzate. Questi lavori contengono le basi della regia televisiva di C., impostata su un'accurata messa in scena aderente alla struttura drammatica e su un impiego libero e fantasioso di espedienti linguistici visivi. L'inserzione di notazioni critiche spesso dirette esplicitamente al pubblico, e per questa ragione volutamente didascaliche, arricchiscono e complicano le chiavi di lettura. Il taglio del bosco (1963), tratto dal romanzo di C. Cassola, fu il primo 'telefilm' realizzato con riprese in esterni e fu decisamente efficace nell'unione tra la visione oggettiva sull'attività di un gruppo di tagliatori di legna e l'approfondimento di una dimensione morale che si rivela inquietante. Seguirono, tra gli altri, La follia di Almayer (1971), A come Andromeda (1972), Con gli occhi dell'Occidente (1979), Maria Zef (1981) e Il diavolo sulle colline (1985). Particolarmente riuscita l'impostazione brechtiana data dall'autore alla trilogia del teatro antico: in Le Troiane (1967), Antigone (1971) e I Persiani (1975) i classici non vengono attualizzati quanto piuttosto resi 'problematici' nei nodi esistenziali e morali, e quindi vivi e interessanti nella loro dimensione drammatica.

Bibliografia

G. Rondolino, Vittorio Cottafavi, cinema e televisione, Bologna 1980.

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