LEIGH, Vivien

Enciclopedia del Cinema (2003)

Leigh, Vivien

Masolino d'Amico

Nome d'arte di Vivian Mary Hartley, attrice cinematografica e teatrale inglese, nata a Darjeeling (India) il 5 novembre 1913 e morta a Londra il 7 luglio 1967. Divenuta una stella a metà degli anni Trenta grazie ai successi teatrali, ben presto si affermò nel cinema dove si impose definitivamente il mito della sua bellezza. Questa era frutto di doti naturali ‒ occhi di uno straordinario color pervinca, pelle di porcellana, collo lunghissimo ‒ unite a calcoli sapienti per mascherare i difetti (mani troppo grandi, statura minuta, la voce esile, che con un intenso lavoro cercò sempre di irrobustire). Disciplinata professionista, sempre puntuale alle prove, limpida nella dizione, studiata nei gesti, la L. non ebbe forse un talento naturale prorompente, in compenso proiettò un fascino al quale il pubblico e la maggior parte della critica si arresero volentieri. Nella sua carriera fu premiata con due Oscar: per l'indimenticabile interpretazione di Scarlett (Rossella nella versione italiana) O'Hara in Gone with the wind (1939; Via col vento) di Victor Fleming, e per quella sofferta e intensa di Blanche in A streetcar named desire (1951; Un tram che si chiama desiderio) di Elia Kazan.

Figlia di un facoltoso agente di cambio che aveva cercato fortuna in India e di una donna che probabilmente aveva sangue indiano, fu educata (tra il 1920 e il 1931) in varie scuole cattoliche in Europa e prima di sposarsi diciannovenne con Herbert Leigh Holman, un noto avvocato, studiò alla Royal Academy of Dramatic Art di Londra, senza diplomarsi. Ben presto si stancò della vita di signora ricca e mondana, poco disposta a occuparsi della figlia avuta giovanissima, e si riavvicinò al mondo dello spettacolo, in alcuni film leggeri, tutti del 1935: Things are looking up di Albert De Courville, The village squire di Reginald Denham, Gentleman's agreement di George Pearson, Look up and laugh di Basil Dean. Debuttò in teatro, ma la grande occasione, che le portò uno strepitoso successo, le giunse nel maggio 1935 con The mask of virtue da K. Sternheim nell'adattamento di A. Dukes, vagamente derivato da Diderot, la cui protagonista, fanciulla dall'aria angelica e raffinata, si rivela una poco di buono. Il cinema maggiore non tardò ad accorgersi della sua fotogenia e pochi mesi dopo ottenne un contratto con il produttore Alexander Korda. Fu l'avversaria del protagonista in Dark journey (1937; Le tre spie) di Victor Saville, e soprattutto piacque in Storm in a teacup (1937; Patrizia e il dittatore) di Saville e Jan Dalrymple, sulle schermaglie tra una vecchietta che non vuole pagare la tassa per la sua cagnolina e il Provost del villaggio; Rex Harrison era il giornalista che aiuta la vecchietta, e la L. la figlia del 'dittatore'. L'alchimia tra i due fu gradevole e sembrò nata una nuova coppia brillante. Ma a quell'epoca la L. era innamorata, ricambiata, del nuovo astro nascente delle scene inglesi. La sua relazione con Laurence Olivier, sposato con una collega e partner, fu tenuta nascosta il più possibile, anche durante una tournée in Danimarca dove Olivier recitò Hamlet al castello di Elsinore e la L. impersonava Ofelia. Sempre a fianco di Olivier fu nel cupo 21 days (Fatalità o Tre settimane di paura) di B. Dean, girato nel 1937 ma uscito solo nel 1940: film deludente malgrado la sceneggiatura firmata dal regista con Graham Greene. Ottenne però un grande successo con Fire over England (1937; Elisabetta d'Inghilterra o Fiamme sull'Inghilterra), in cui il regista William K. Howard le affidò la parte di Cynthia Burleigh, una dama fidanzata di Michael Ingolby, agente segreto della regina impersonato da Olivier. Nel 1937 Korda la 'prestò' ad altri produttori, per A Yank at Oxford (Un americano a Oxford) di Jack Conway, da un racconto di M. Beerbohm, commediola sui contrasti tra inglesi e americani, nella quale la L. brillò malgrado la parte secondaria; e nel 1938 per St. Martin's Lane W.C.2 (I marciapiedi della metropoli) di Tim Whelan, che la vide in un atipico ruolo di suonatrice ambulante dall'improbabile accento cockney, ma che servì a mettere in risalto la grinta della donna sotto l'aspetto angelico. La bellezza quasi soprannaturale e le buone maniere di una educazione da lady coprivano infatti una determinazione ferrea e anche una vitalità non comune; con disinvoltura aristocratica, per es., la L. sbalordiva spesso i colleghi attori, il cui retroterra era piccolo-borghese, ricorrendo a un turpiloquio che in bocca sua sembrava affatto improbabile. I suoi film e la sua personalità contribuirono a farla scegliere tra migliaia di pretendenti per l'ambitissima parte di Scarlett O'Hara, la protagonista di Gone with the wind, tratto dal romanzo di M. Mitchell e prodotto da David O. Selznick per la Metro Goldwyn Mayer: la L. fu pari alle attese, creando un personaggio contemporaneamente appassionato e bamboleggiante, elegante e aggressivo, fragile e duro. Il film (iniziato da George Cukor, grande direttore di interpreti femminili, ai cui consigli la L. continuò a ricorrere anche dopo il suo allontanamento) fu un kolossal senza precedenti, che restò per molti anni campione assoluto di incassi, e non solo rese la L. una delle attrici più famose del mondo, ma ne fece anche uno dei più durevoli miti della storia del cinema. Subito la MGM si affrettò a metterla in un drammone strappalacrime di sicuro richiamo, Waterloo bridge (1940; Il ponte di Waterloo) di Mervyn LeRoy, appena finito di girare il quale arrivò l'Oscar per Gone with the wind, che collocò improvvisamente la L. su di un gradino più alto, almeno presso il pubblico del cinema, di quello dello stesso Olivier. Proprio nel 1940, avendo ottenuto il divorzio dai rispettivi coniugi, i due attori si sposarono; comparvero di nuovo insieme sullo schermo in That Hamilton woman di Korda, noto anche come Lady Hamilton (1941; Lady Hamilton o Il grande ammiraglio), in cui la L. impersonò la chiacchierata amante dell'ammiraglio H. Nelson in una forse poco congrua chiave di aristocratica leggiadria. La guerra riportò in patria gli Olivier che nel 1942 si esibirono in Cesare e Cleopatra di G.B. Shaw, poi trasformato in film (Caesar and Cleopatra, 1945, Cesare e Cleopatra) dall'inetto quanto intraprendente Gabriel Pascal, unico depositario della fiducia del drammaturgo. La lavorazione durò molti mesi, per le traversie della guerra ma anche a causa dei problemi di salute della L. minata da crisi depressive, e il risultato fu deludente. Ancora peggio andò Anna Karenina (1948) di Julien Duvivier, da L.N. Tolstoj, dove la L. fu inevitabilmente e sfavorevolmente paragonata a Greta Garbo, che l'aveva preceduta nella stessa parte nel film di Clarence Brown (1935). Trionfale, e premiata con un secondo Oscar (nonché con la Coppa Volpi alla Mostra del cinema di Venezia nel 1951) fu invece la sua successiva apparizione sugli schermi in A streetcar named desire, dal dramma di T. Williams che aveva già affrontato in teatro. Diede della stanca Blanche, che vive di sogni e di civetterie, un'interpretazione carica di un dolore segreto e di una torbida ricerca di diversioni erotiche, che a quel punto facevano parte della sua stessa personalità. Il suo matrimonio era infatti ormai in crisi, come dimostrò una lunga tournée teatrale in Australia, dopo la quale gli Olivier decisero di interpretare insieme Antonio e Cleopatra di W. Shakespeare e Cesare e Cleopatra di Shaw. Nel 1953 dovette lasciare a Ceylon il set di Elephant walk (1954; Il sentiero degli elefanti) di William Dieterle in seguito ad alcune crisi depressive e fu sostituita da Elizabeth Taylor. Dopo le cure riprese il lavoro in teatro, tornando al cinema nel sobrio The deep blue sea (1955; Profondo come il mare) di Anatole Litvak, dalla pièce di T. Rattigan, dove secondo alcuni risultò troppo raffinata per impersonare una donna alla deriva; altri invece ammirarono del personaggio la sofferenza e la solitudine affioranti sotto l'orgoglio. Fu comunque quasi la conclusione della sua carriera cinematografica, malgrado nuove notevoli prove in teatro ancora al fianco di Olivier (Lady Macbeth, e Lavinia in un cruento Tito Andronico). Da Olivier si separò nel 1957, ponendo termine anche a una lunga collaborazione professionale, e divorziò nel 1960. Sullo schermo apparve ancora in The Roman spring of Mrs. Stone (1961; La primavera romana della signora Stone), da T. Williams, fiaccamente diretto da José Quintero (tutte le scene con la L. furono in realtà girate lontano dalla città capitolina). Sempre più segnata dai problemi di salute, mostrò un'ultima volta le unghie caratterizzando con pungente eleganza un personaggio minore in Ship of fools (1965; La nave dei folli) di Stanley Kramer, poco fortunata rassegna di divi.

Bibliografia

R.F.R. Barker, The Oliviers. A biography, London 1953.

J.R. Taylor, Vivien Leigh, London 1984.

A. Walker, Vivien. The life of Vivien Leigh, London 1987.

H. Vickers, Vivien Leigh, London 1988.

G. Guandalini, Vivien Leigh: non solo "Via col vento", Roma s.d. [1990].

C.M. Molt, Vivien Leigh: a bio-bibliography, Westport (CT) 1992.

M. Capua, Vivien Leigh: ansia di vivere, Torino 2003.

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