VOLONTARÎ

Enciclopedia Italiana (1937)

VOLONTARÎ

Eugenio COSELSCHI

. Il volontarismo guerriero non è mai mancato in ogni grande età storica, caratterizzata da profondi dissidî ideali, e presso ogni popolo europeo. Le prime imponenti manifestazioni di spirito volontaristico furono le Crociate nel Medioevo. Al volontarismo deve l'Inghilterra l'origine della sua potenza navale e della costruzione del suo impero: volontarî del mare erano quei corsari che fiaccarono l'orgoglio spagnolo; volontarî coloro che conquistarono le Indie; volontarî del pari furono gli Spagnoli, i Portoghesi, gli Olandesi, che acquistarono imperi alle loro patrie. E se dall'età medievale e moderna si passa all'età contemporanea, solcata non più da contrasti religiosi né da mero spirito d'avventura ma da grandiose lotte ideologico-politiche, si trovano innanzi tutto i Polacchi, i quali combattono volontariamente sotto le bandiere francesi con la mistica fede che Dio avrebbe tenuto conto del loro sacrificio per le patrie altrui e l'avrebbe ricambiato con altrettanta felicità per la Polonia, quando il giorno della sua redenzione fosse giunto. Seguono i Tedeschi: la superba Prussia militarista di Federico II era caduta in un giorno, ma l'onore tedesco fu salvato dalle formazioni patriottiche volontarie, che iniziarono la riscossa. Dopo le guerre napoleoniche, gl'Inglesi con Th. Cochrane si fecero volontarî internazionali della libertà e posero le loro spade a servizio delle colonie ribelli dell'America latina, mentre Europei d'ogni nazione combattevano e morivano per l'indipendenza della Grecia. Al Risorgimento italiano diedero il loro generoso tributo di sangue specialmente gli Ungheresi e ancora i Polacchi. Né sono da trascurare, nel campo ideologico avverso, le formazioni volontarie degli emigrati francesi durante le guerre della rivoluzione; ricordiamo anche i Francesi, gli Spagnoli, i Belgi, gl'Irlandesi, che, accorsero in Italia in difesa dell'ideale legittimista, cioè dell'unione del trono e dell'altare.

Ma il volontarismo, nonostante tutto ciò, è stato presso ogni popolo europeo un fenomeno sporadico. Il volontarismo polacco è durato tanto quanto le lotte per l'indipendenza di quel popolo. Il volontarismo ungherese è stato ancora píù effimero; quello legittimista francese ebbe proporzioni numeriche infime rispetto ai contingenti delle medievali gesta Dei per Francos; il tedesco, dopo la bella fiammata della guerra di liberazione, si spense nel sec. XIX ed è risorto solo ai nostri giorni con le camicie brune hitleriane.

Ciò che nella storia delle altre nazioni europee è stato un episodio, è stato ed è per l'Italia una tradizione: come tradizione, infatti, è sentito il volontarismo dagl'Italiani e come tradizionale caratteristica dell'anima italiana esso viene confermato dai più obiettivi osservatori stranieri. E invero, senza risalire, come taluno vorrebbe, all'ordo equester del tempo dei Gracchi, alla costituzione di Servio Tullio, alle formule del nomina dare e dell'evocatio, alle bandite a mezzo dei conquisitores, all'abuso della vocatio, che sotto l'Impero aprì la via al mercenarismo, è un fatto, ed è rimasto impresso nella memoria dei popoli europei, che quando l'Italia rivelò per la prima volta all'Europa il suo volto guerriero, lo rivelò sotto la forma dei volontari, dei condottieri, dei capitani di ventura, dei grandi generali e ufficiali e ingegneri militari a servizio degli stati stranieri. Nello sfrenato individualismo, tipico degl'Italiani di un tempo, nella ricchezza della pianta uomo prodotta dalla terra italiana, si vide, e da molti si vede ancora, la causa di tale forma guerriera. E individualismo, spirito d'avventura, personale volontà di potenza, furono le contingenze storiche che se da un lato impedivano una sana vita nazionale, dall'altro costituirono le caratteristiche di questo primo volontarismo italiano.

Ma il vero volontarismo italiano, che è sentito come volontarismo senz'altro dalla coscienza storica comune, sorge solo quando nel seno degl'Italiani spunta un genuino sentimento nazionale: allora la tradizione volontaristica degli avventurieri dei primi secoli dell'età moderna si trasforma nel volontarismo patriottico dei tempi nostri. Le prime formazioni di questa nuova forma di volontarismo furono organizzate dalla Cisalpina e ad esse, sotto le grandi ali di Bonaparte, toccò l'onore di portare per la prima volta alla vittoria il tricolore. Ai volontarî si debbono le prime energiche affermazioni del Risorgmento e capo di volontarî era quell'eroico generale Lahoz, che morendo sotto le mura di Ancona nel 1799, confidava a un ufficiale cisalpino di aver avuto per ideale di "cacciare dalla veneranda Italia Tedeschi e Francesi, perché noi stessi di noi signori diventassimo" (Botta). Non furono questi che i primi germi del volontarismo italiano, germi che Napoleone si affrettò a sopire e che gl'Inglesi non riuscirono a risvegliare nel 1813-14. Tra le formazioni volontarie filelleniche europee si confusero i nuclei volontari italiani corsi a combattere per l'indipendenza greca e il sacrificio di Santorre Santarosa non ebbe il debito risalto.

Il volontarismo italiano prese una propria fisionomia solo con le imprese di Garibaldi in America e con quelle di M. Fanti, D. Cucchiari, Giacomo e Giovanni Durando, N. Fabrizi e altri molti in Spagna. In Spagna, nelle guerriglie tra carlisti e cristini dal 1836 al 1840, i volontarî italiani, parte nella legione straniera formata a Marsiglia e parte costituenti il reggimento dei "Cacciatori di Oporto" si coprirono di gloria in Catalogna, nel vecchio reame di Valenza, nell'Aragona. Nelle guerre di Spagna, gl'Italiani appresero quella guerra per bande, che tentarono poi di applicare in patria. Intanto nelle Americhe, dopo brillantissime imprese di guerra di corsa, Garibaldi organizzava nel 1843 una legione di 500 Italiani e riportava a S. Antonio al Salto una gloriosa vittoria (8 febbraio 1846). Quando scoppiarono le rivoluzioni del 1848, pullularono addirittura nuclei di volontarî in tutta Italia e il fenomeno volontaristico vi assunse le forme più imponenti. Sorsero innumerevoli formazioni volontarie, tra le quali le più notevoli furono quelle dei Bersaglieri Lombardi, comandati dall'eroico Luciano Manara; della già legione di Montevideo, reduce dei trionfi d'America; del battaglione volontarî toscani, che doveva immortalarsi a Curtatone e a Montanara. Le reminiscenze romane, sempre vive in Italia, fecero dare a molti di questi corpi il nome di legione (Legione Africana, Legione Bolognese, Legione Franco-Italiana, ecc.), mentre gli entusiasmi neoguelfi facevano a molti altri preferire il termine di crociata (Crociata Bellunese, Crociata di Feltre, Crociata Piacentina) o di crociati (Crociati Ceneda, Crociati Padovani, Crociati Napoletani, Crociati Veneziani, Crociati Vicentini, ecc.). I contributi notevoli alla lotta, che diedero questi corpi franchi, specialmente nella difesa del Veneto, furono in parte resi vani dai dissidî col comando piemontese e dalle non giuste diffidenze verso la monarchia sabauda. I volontarî accusavano Carlo Alberto di temere il loro armamento e di non volerli adoperare; i generali piemontesi accusavano i volontarî d'indisciplina e di presunzione. Una nube s'interpose nel 1848 tra le forze militari - dell'esercito regolare piemontese e delle formazioni di volontarî - alle quali, nella loro concorde discordia, il Risorgimento deve il suo realizzarsi; ma quando la monarchia fu momentaneamente vinta sui campi di Novara, lo spirito volontaristico italiano compì miracoli nel 1849. "Due città" (Venezia e Roma), scrisse il Cattaneo, "con armi irregolari e fortuite, ressero allora contro due grandi potenze", e si vide "uno stuolo di volontari, mescolati a caso da ogni popolo d'Italia, trarre dal sepolcro il nome di Roma, e a fronte dei primi soldati del mondo, riconsacrarlo con la vittoria". Ma tale eroismo, se valse a tener alto l'onore militare italiano, non valse al successo: gli elementi rivoluzionarî, come Garibaldi, finirono col persuadersi che senza l'appoggio di numerose truppe regolari, un nemico così gagliardo e disciplinato, come l'Austria, non si sarebbe mai vinto. Così la guerra del 1859 presentò il volontarismo nella forma d'un brillante complemento alle milizie regolari, e Garibaldi non esitò a indossare la divisa del generale sardo e ad assumere il comando del corpo volontario dei Cacciatori delle Alpi, organizzato dai generali regi con elementi emigrati venuti da ogni parte d'Italia. La prudenza d'uno stato regolare impediva però al regno di Sardegna le più audaci iniziative; e Garibaldi riprese nel 1860 la sua libertà d'azione. Con la spedizione dei Mille il volontarismo italiano toccò l'apice della sua fortuna. Un regno intero fu liberato per opera sua; al Volturno Garibaldi ebbe forze volontarie cospicue e il volontarismo, fenomeno prevalente sino allora delle regioni tendenzialmente repubblicane (Lombardia, Liguria, Romagne), si estese in Sicilia (Cacciatori dell'Etna) e nel Mezzogiorno (Cacciatori Irpini, Battaglione del Sannio, Cacciatori del Vesuvio, Volontarî Lucani). Il volontarismo sarebbe divenuto allora una forza organica dello stato italiano se la politica di Cavour non lo avesse tempestivamente impedito con la spedizione regia nelle Marche e nell'Umbria, lo scioglimento dell'esercito garibaldino e le riforme militari di Manfredo Fanti. La politica moderata non valse tuttavia a scuotere l'abnegazione patriottica di Garibaldi, che mantenne fede al suo programma "Italia e Vittorio Emanuele", tenne per un decennio con i suoi volontarî desta l'aspirazione nazionale a Roma capitale (Aspromonte e Mentana) e nella guerra del 1866, messo alla testa d'un corpo di 35.000 volontarî, vinse a Monte Suello (3 luglio), a Condino (16 luglio) e a Bezzecca (20 luglio) e col suo "Obbedisco", quando gli fu comandato di sgombrare il Trentino, mostrò di saper conciliare volontarismo e disciplina.

Ma il volontarismo italiano, che nel Risorgimento finisce col fondersi senza residui nel garibaldinismo, non credeva di esaurire il suo compito nella lotta per la redenzione patria, e poneva la sua spada a servigio di ogni causa nobile e grande. Nato nell'America latina in difesa del piccolo Uruguay contro l'Argentina di Rosas, il garibaldinismo non dimenticò mai le sue origini. All'annuncio della rivoluzione polacca del 1863, nuclei garibaldini condotti da Francesco Nullo accorsero contro i Russi e Garibaldi stesso, d'accordo con Vittorio Emanuele II e Mazzini, meditava una grande spedizione di volontarî per sollevare i popoli oppressi dell'Europa danubiana e balcanica; ma varie contingenze gl'impedirono di realizzare il suo disegno.

Caduto Napoleone III e invasa dai Prussiani la terra di Francia, Garibaldi, dimenticando Mentana, andò in aiuto della nazione sorella e riportò a Digione una sanguinosa vittoria. La tradizione di Garibaldi venne continuata dai figli e dai nipoti: la spedizione in Grecia del 1897 e la spedizione nelle Argonne nel 1914 sono nella scia della tradizione garibaldina.

La partecipazione alla guerra mondiale segnò in Italia un'ondata di volontarismo, un volontarismo assai più largo della semplice tradizione garibaldina, un volontarismo, che per la varietà e la ricchezza degli elementi di cui fu composto, ricorda quello del 1848: volontarismo di rivoluzionarî (Mussolini, Corridoni) e di nazionalisti, volontarismo d'irredenti e di repubblicani; volontarismo anche di liberali e di democratici. Il volontarismo degl'irredenti chiuse allora gloriosamente il volontarismo romantico e patriottico dell'Ottocento, di cui conservava il pathos nobilissimo. Non vi è città redenta o che l'ingiustizia degli alleati e dell'associato non permise di redimere, che non abbia il suo martire volontario: Battisti, Sauro, Rismondo.

Nell'atto stesso che la forma ottocentesca del volontarismo italiano si spegneva nella guerra, realizzando i suoi obiettivi, spuntava un'altra forma di volontarismo più adatta al nuovo clima spirituale dal seno stesso delle truppe regolari: l'arditismo. Gli arditi di guerra fvrono tra i pionieri della riscossa nazionale. Da essi soprattutto, D'Annunzio trasse gli uomini per la sua impresa fiumana, nella quale con un nuovo pathos politico risorgeva la tradizione garibaldina dei colpi di mano eroici del Risorgimento. Ma spettava a un romagnolo, della terra classica del volontarismo italiano, dare un nuovo volto al volontarismo italiano. Ciò che in Garibaldi era uno stato d'animo, un fatto, la fusione della disciplina nazionale e della spontaneità volontarista, diventa con Mussolini un istituto politicomilitare, la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (v.). Nel fascismo il volontarismo italiano, riuscendo a dominare sé stesso, tocca il suo culmine: l'individualismo centrifugo garibaldino viene superato dal disciplinato unitarismo fascista. Il volontarismo fascista non si restringe alla semplice azione interna, né all'espansione coloniale italiana, ma tende a spandere le sue idee nel mondo come dimostra la partecipazione di volontarî italiani alla lotta per la liberazione della Spagna, intrapresa dal gen. Franco: partecipazione che è stata illustrata dall'eroico comportamento di questi volontarî nelle giornate di Málaga, Guadalaiara, Bilbao, Santander.

Bibl.: La bibliografia sul volontarismo italiano è di scarso valore: manca una storia organica; cfr. intanto i lavori fondamentali di E. Ghisi, Il tricolore italiano, Milano 1931; E. Rota, Del contributo dei Lombardi alla guerra del 1848: il problema del volontarismo, in Nuova rivista storica, 1928, pp. 1-52; C. Cesari, I corpi volontari italiani dal 1848 al 1870, Roma 1927; A. Monti, La guerra santa d'Italia in un Epistolario inedito di L. Torelli, Milano 1931.

L'Associazione nazionale volontarî di guerra.

Dopo Vittorio Veneto i volontarî di guerra, pur senza ancora costituire un omogeneo sodalizio nazionale, formarono dei vivaci raggruppamenti che diedero ottimi e valorosi elementi alla rivoluzione delle Camicie Nere, sin dal suo inizio: a Milano e a Firenze molti volontari di guerra operarono in primissima linea agli ordini del Duce e cooperarono alla fondazione dei primi Fasci di combattimento. Inoltre, costituirono il fior fiore di quei legionarî che, partendo da Ronchi, diedero Fiume all'Italia. L'azione offerta da questi volontarî nel periodo che va dal 1919 all'ottobre del 1922, sarà sempre ricordata nella storia del fascismo.

La grande Associazione nazionale che riunì tutte le forze del volontarismo italiano. sorse nel 1923. Fin dalla fondazione fu nominato presidente onorario dell'Associazione Benito Mussolini. Il 1° Convegno nazionale fu inaugurato sul Campidoglio il 2 giugno 1924. E quivi, a" a presenza di S.M. il Re, il Duce consegnò ai volontarî la bandiera intessuta dalle donne milanesi nel 1858, con le seguenti parole: "Consacro questa vostra bandiera con coscienza tranquilla e con animo assolutamente puro. Sono sicuro che essa, in pace e in guerra, sarà sempre il segno di raccolta per tutti i giovani animosi i quali vorranno seguire il vostro mirabile esempio. E se domani gli eventi esigeranno altri sacrifici, io sono sicuro che voi sarete ancora una volta fra i primi e vi trascinerete dietro tutte le forze della nazione, in modo che attraverso questa coordinazione di sforzi e di sacrificio si possano attingere tutte le mète e raggiungere tutte le vittorie". Presidente dell'Associazione fu, sin dall'inizio, Eugenio Coselschi.

L'opera dell'Associazione, che per organizzazione e disciplina ha carattere militare, è prevalentemente politica e culturale; solo in parte assistenziale. Ispirata dalla fede nell'espansione e nella grandezza della patria, essa vuole affermare l'antica e nuova civiltà d'Italia, alimentare nella coscienza del paese il senso dell'espansione coloniale, propagare, soprattutto nelle giovani generazioni, il culto delle memorie e degli eroi, sostenere e propagandare tutte le rivendicazioni nazionali, esaltare ed espandere nel mondo i valori spirituali della civiltà di Roma. A tale scopo, l'Associazione diffonde il suo pensiero anche a mezzo di giornali (La Volontà d'Italia), riviste, libri da essa editi e divulgati.

L'Associazione raccoglie nelle proprie file non soltanto i volontarî della guerra 1914-18 e i legionarî di Fiume, ma anche tutti coloro che, non avendo obblighi di leva o di servizio, ed essendosi perciò spontaneamente offerti, abbiano partecipato, combattendo, alle prime campagne d'Africa, alla guerra italo-turca, alle successive campagne di Libia e alla campagna d'Etiopia e tutti coloro che abbiano volontariamente combattuto per difendere, in qualsiasi paese, i principî della libertà e della giustizia e la civiltà universale di Roma.

Dopo anni di lavoro tenace l'Associazione nazionale volontarî di guerra, con la fusione dei Volontarî giuliani, della Legione trentina fondata da Cesare Battisti, dei Volontarî libici, dei Volontarî ciclisti e di quelli d'America e dei legionarî accorsi in Africa Orientale, è oggi una potentissima forza spirituale e materiale. Comprende circa 100.000 soci, raggruppati in 385 sezioni e gruppi; il suo labaro, decorato da 65 medaglie d'oro dei suoi gloriosi caduti, fu fregiato dal Duce, in occasione del grande raduno volontaristico di Roma del 2 giugno 1934, della massima distinzione onorifica per gli enti e per le associazioni: il Capo del Littorio.

La guerra d'Africa per la conquista dell'Impero non poteva non rappresentare per un'organizzazione di volontari un'affermazione di fede e d'azione. Intere legioni di soci della grande organizzazione portarono le loro appassionate aspirazioni sul terreno del combattimento, inquadrati nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Si ebbero così: 26.000 e più domande di arruolamento presentate alle sezioni e gruppi di volontarî dell'Associazione; 23.000 volontarî e "Azzurri" sottoposti, per il tramite dell'Associazione, ad accertamenti sanitarî; 16.378 Volontarî e "Azzurri" effettivamente partiti per l'A.O., dei quali 1558 operai.

A riconoscimento dello slancio generoso e del valore dimostrato dai volontarî, nei sette vittoriosi mesi della guerra, sta la concessione, a soci dell'Associazione, di 8 medaglie d'oro, di centinaia di medaglie d' argento e di bronzo, di croci al valor militare, di encomî e promozioni per merito di guerra.

Tutti i volontarî ammessi nell'Associazione sono vincolati da un giuramento, di cui ecco il testo: "Per le antiche memorie della nostra Gente; per le tradizioni della nostra storia, fatta di sacrifici e di eroismi; per gli intimi legami dei nostri focolari, per la fede comune e per le comuni speranze, giuro di offrire ogni mio pensiero, ogni mia azione, anche il mio sangue e la mia stessa vita alla Maestà del Re Imperatore, al Duce fondatore dell'Impero, e all'Italia immortale; giuro di difendere, con tutte le forze e contro ogni forma di bolscevismo ateo e distruttore, i valori spirituali e universali della civiltà di Roma; giuro di difendere e potenziare il risorto impero del popolo italiano, e di farlo, agli ordini del Duce, sempre più grande e più glorioso nel mondo".