VOLONTARIATO

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1995)

VOLONTARIATO

Ester Capuzzo

Per v. s'intende l'attività solidaristica svolta o da strutture organizzative a carattere privatistico, che erogano senza scopo di lucro servizi in campi diversi a favore della collettività, o da singoli individui in forma del tutto spontanea all'esterno della loro famiglia. Con la progressiva crisi del welfare state, che ha comunque visto l'intervento statale incapace di assicurare il raggiungimento di una completa giustizia sociale tra tutti i cittadini, anche per i crescenti sprechi della spesa pubblica e per una certa inefficienza dei servizi, il fenomeno del v. ha acquisito una dimensione sempre più vasta. Non sempre infatti la gestione pubblica, a causa delle sue carenze, riesce da sola ad affrontare i crescenti problemi della società moderna sia nel campo dell'assistenza tradizionale (malati, anziani, poveri, minori abbandonati o maltrattati, portatori di handicap, persone psicologicamente labili, alcolisti, ecc.), sia nell'ambito delle nuove emergenze (droga, AIDS, barboni, immigrati, ecc.). Questo accade non soltanto perché non vi sono risorse sufficienti, ma anche perché è del tutto impossibile venire incontro a queste complesse e difformi esigenze sociali esclusivamente mediante l'intervento di strutture pubbliche e di personale a esse legato da un rapporto professionale, naturalmente limitato o standardizzato, mentre illimitati e privi di regole sono i bisogni delle persone cui devono essere indirizzati aiuti e sostegni. Di fronte a ciò negli ultimi decenni è esploso il ruolo svolto dal v. che è divenuto, di fatto, insostituibile.

Il volontariato in Italia. - Si stima che in Italia siano circa 500.000 le persone che operano nelle più di 9000 organizzazioni (tab. 1) di v.; queste, che sono di matrice sia cattolica che laica, indirizzano la loro azione verso il settore socio-sanitario e quello civico (nell'ambito delle attività educative, culturali, sportive e della protezione civile; v. tab. 2). Il v. rientra nell'ambito dell'art. 18 Cost. che tutela il diritto dei cittadini di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non siano vietati al singolo; la libertà delle organizzazioni di v. è tutelata anche dagli artt. 33 e 38 Costituzione.

A parte alcuni scarsi riferimenti al v. presenti a partire dalla metà degli anni Settanta in provvedimenti disciplinanti materie diverse (l. 26 luglio 1975 n. 354, l. 22 dicembre 1975 n. 685, l. 22 maggio 1978 n. 194), è nella legge istitutiva del servizio sanitario nazionale (l. 23 dicembre 1978 n. 833) che si rintraccia il primo intervento legislativo mirante a stabilire il principio che le associazioni di v. possano concorrere al conseguimento dei fini istituzionali del servizio sanitario nazionale espletando un'attività avente rilevanza pubblica (art. 1, comma 5), per la quale s'individua nella convenzione lo strumento atto a regolamentare i rapporti tra queste associazioni e le unità sanitarie locali, e che tra tali associazioni possano essere comprese quelle istituzioni, aventi carattere associativo, le cui attività si fondano su prestazioni volontarie e personali di terzi (art. 45, comma 2). Ulteriori riferimenti sono presenti in diverse leggi successive che disciplinano materie nel cui ambito l'attività delle organizzazioni di v. risulta essere rilevante, come la l. 26 febbraio 1987 n. 49 che detta norme sulla cooperazione dell'Italia con i paesi in via di sviluppo e il d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 contenente norme sull'uso delle sostanze stupefacenti e psicotrope nonché sulla prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza.

Il riconoscimento istituzionale del fenomeno del v. è avvenuto con l'emanazione della legge-quadro 11 agosto 1991 n. 266 che, oltre a regolamentare i rapporti tra le istituzioni pubbliche e le organizzazioni private, garantendo a queste la tutela della propria autonomia, ha definito, secondo determinate caratteristiche, l'attività di v. come prestazione individuale, spontanea e gratuita, effettuata mediante l'organizzazione cui appartiene il volontario, senza fini di lucro e per scopi esclusivamente solidaristici, precisando che tale attività non può essere remunerata e che al volontario possono essere rimborsate dall'organizzazione di cui fa parte soltanto le spese effettivamente sostenute entro limiti prestabiliti; viene affermata la generale incompatibilità tra la qualità di volontario e quella di lavoratore subordinato, nonché il diritto per i lavoratori appartenenti alle organizzazioni di v. registrate di poter usufruire delle forme di flessibilità dell'orario di lavoro previste dagli accordi collettivi e compatibili con l'organizzazione aziendale. La l. 266/1991 ha delineato la figura delle organizzazioni di v. che per realizzare il loro fine solidaristico devono avvalersi "in modo determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti" rimettendo l'adozione della loro forma giuridica alla scelta di coloro che ne fanno parte con l'unico limite funzionale della "compatibilità con lo scopo solidaristico" (una sentenza del TAR per la Lombardia - Sezione di Brescia, del 30 novembre 1992, n. 1285 ha ritenuto ammissibile per le organizzazioni di v. l'adozione anche della forma della cooperativa per il raggiungimento del previsto scopo solidaristico). Siffatto scopo viene individuato nei caratteri strutturali e funzionali da inserire "negli accordi degli aderenti, nell'atto costitutivo o nello statuto" delle organizzazioni stesse. Tali caratteri consentono, pertanto, alle organizzazioni di v. di ottenere l'iscrizione in appositi registri tenuti da regioni e province autonome e, quindi, di accedere a contributi pubblici, di stipulare convenzioni, di beneficiare di agevolazioni fiscali.

Si tratta, in sostanza, di: contributi dello stato, di enti e istituzioni pubbliche finalizzati al sostegno di specifiche e documentate attività, rimborsi derivanti da convenzioni; riconoscimento di facoltà anche per le associazioni prive di personalità giuridica di acquistare beni mobili registrati e beni immobili necessari allo svolgimento della loro attività, nonché di ricevere donazioni e lasciti testamentari in deroga a quanto disposto dal codice civile; esenzione dalle imposte di bollo e di registro sugli atti costitutivi e su quelli relativi all'esercizio delle loro attività; deducibilità dall'imponibile delle erogazioni liberali in denaro a favore delle organizzazioni iscritte da almeno due anni negli appositi registri; esenzione da IRPEG e ILOR delle attività produttive e commerciali svolte da queste organizzazioni per i loro fini istituzionali.

Per questo motivo la l. 266/1991 "ha attribuito notevole importanza a tutto il procedimento costitutivo delle organizzazioni di volontariato e, soprattutto, al controllo dell'Autorità amministrativa sull'atto costitutivo o sullo statuto delle organizzazioni richiedenti l'iscrizione". Contro il provvedimento di rifiuto di iscrizione da parte dell'Autorità amministrativa regionale il legislatore ha ammesso il ricorso al TAR la cui decisione può essere appellata al Consiglio di stato in sede di reclamo. Per ciò che riguarda, invece, la componente strutturale dell'organizzazione la nuova normativa ne ha delineato i caratteri prevedendo "la democraticità della struttura, l'elettività e la gratuità delle cariche associative nonché la gratuità delle prestazioni fornite dagli aderenti, i criteri di ammissione e di esclusione di questi ultimi, i loro obbighi e diritti". Il legislatore ha, poi, implicitamente previsto l'esistenza dell'assemblea degli aderenti che deve approvare il bilancio dell'organizzazione nel quale saranno indicati beni, contributi, lasciti da essa ricevuti.

Il censimento della multiforme realtà del v. è stato affidato a un osservatorio nazionale istituito con un decreto del 16 dicembre 1991 presso la presidenza del Consiglio e dotato di un fondo per realizzare progetti sperimentali di v. anche in collaborazione con gli enti locali, cui sono stati attribuiti una serie di compiti di studio, consulenza e informazione, inclusa la promozione, ogni tre anni, di una Conferenza nazionale del volontariato.

Il modello che il legislatore ha tenuto presente nel regolare il complesso fenomeno del v., quindi, sembra essere quello che si riferisce ad attività di v. esplicantisi in settori nei quali tradizionalmente operano gli istituti di beneficienza e assistenza rimanendo, così, estranee all'ambito applicativo della l. 266/1991 tutte le attività tendenti a realizzare fini educativi, culturali e scientifici. Trattandosi di una legge-quadro, finalizzata a promuovere principi generali e di indirizzo, essa ha determinato l'emanazione di provvedimenti normativi maggiormente adeguati alla regolamentazione del v. da parte delle regioni e delle province autonome. Decreti attuativi della l. 266/1991 sono stati emanati dal ministero del Tesoro (21 novembre 1991) per la costituzione di fondi speciali per il v. presso le regioni e dal ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato (14 febbraio 1992, poi modificato da D.M. 16 novembre 1992) sull'obbligo assicurativo per le associazioni di v.; con l. 8 novembre 1991 sono state disciplinate le cooperative sociali operanti nell'ambito del volontariato.

Bibl.: G. Manganozzi, Legislazione sul volontariato: codice delle leggi statali e regionali aggiornato al 31 dicembre 1984, Bologna 1985; L. Tavazza, Volontariato ed enti locali, Napoli 1985; G.B. Verbari, Il volontariato come terzo modello organizzativo tra pubblico e privato, in Studi in memoria di Vittorio Bachelet, vol. 3, Milano 1987, pp. 531-55; Id., v. Volontariato sanitario, in Novissimo Digesto Italiano, Appendice, 7, Torino 1987, pp. 1165-74; L. Meneghini, Nuovi valori costituzionali e volontariato: riflessioni sull'attualità, Milano 1989; A. Pinzauti, Il volontariato e le sue leggi, Padova 1990; Volontariato e solidarietà, a cura di A. Ippolito e L. Tavazza, Torino 1991; M. Costanza, Profili privatistici della normativa sulle organizzazioni di volontariato, in Il Corriere Giuridico, 1991, pp. 1071-76; P. Consorti, La legge quadro sul volontariato, in Il Tetto, 1992, pp. 179-85; P. Morabito, Legge-quadro sul volontariato n. 266 dell'11 agosto 1991. Luci ed ombre, in Rivista Amministrativa, 1992, pp. 33-57; L. Menghini, Il lavoro nella legge-quadro sul volontariato, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 1992, pp. 733 ss.; A. Panico, La legge quadro sul volontariato. L. 11 agosto 1991 n. 266, Napoli 1992; V. Italia, Il volontariato. Organizzazioni, statuti e convenzioni, Milano 1992; V. Panuccio, v. Volontariato, in Enciclopedia del diritto, 46, ivi 1993, pp. 1081 ss.; V. Italia, Considerazioni sulla forma giuridica delle organizzazioni di volontariato, in Studi in memoria di Vittorio Ottaviano, vol. 1, ivi 1993, pp. 487-94; P. Rescigno, Autonomia privata e legge nella disciplina del volontariato, in Giurisprudenza Italiana, 1993, p. iv, 1-6; N. Riccardelli, "Cooperative" di volontariato e libertà di forme nella legge quadro sul volontariato, in Giurisprudenza Commerciale, 1993, pp. 642-58; M. Olivetti, v. Volontariato, in Enciclopedia Giuridica, 32, Roma 1994; Fondazione Italiana per il Volontariato, Annuario del volontariato sociale italiano, ivi 1994; Id., Il volontariato sociale italiano, ivi 1995. Per un approfondimento dei problemi affrontati dal v. si vedano anche i Quaderni di volontariato, 1-6 [Roma] s.d. e la Rivista del Volontariato, editi dalla Fondazione Italiana per il Volontariato.

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