VULCANO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1966)

VULCANO (Volcanus, Vulcanus)

E. Paribeni

Divinità romana del fuoco, identificata ufficialmente in seguito con il dio Efesto. Il nome viene ritenuto di impronta etrusca, per quanto il suo corrispondente nel mondo etrusco non sia l'oscuro Velchans ma il dio Sethlans. Allo stesso modo non sembra di poter stabilire alcun rapporto con il dio cretese della vegetazione Velchanos che ci appare in aspetto giovanile, seduto in un rigoglio di rami nelle mònete di Festo.

V. appartiene indubbiamente allo strato più antico della religione romana. Sua pàredros, accanto ad altre divinità meno note come Stata e Maia è spesso la veneranda Vesta (v.). Un flamine è assegnato al suo culto e il Volcanal, il centro di culto più antico e venerato, è per tradizione una fondazione di Romolo, che tra l'altro vi eresse una sua statua (Plin., Nat. hist., xvi, 236). Il sito esplorato ai piedi del Campidoglio, tra il Comizio e il Tempio di Saturno sembra confermare l'assunzione che dovesse trattarsi di un'area aperta, forse un altare con una fiamma perenne. Un tempio presso il Circo Flaminio venne invece eretto nel 215 a. C.

È opinione comunemente accettata che il V. romano non corrisponde che in parte all'Efesto ellenico. V. è infatti un dio elementare, che personifica la potenza distruttrice e benefica del fuoco. A lui sono sacri il fuoco sotterraneo che sbocca nei vulcani e il fuoco celeste, la folgore. Sappiamo infatti di statue folgorate che vennero rimosse e ricoverate nel Volcanal; tra esse quella di un guerriero ritenuto Orazio Coclite. Gli aspetti di divino artefice non sono invece altro che riflessi del carattere della divinità ellenica che gli corrisponde. Tuttavia dai documenti esistenti, per lo più statuette bronzee largamente sparse in tutto il territorio dell'Impero, è da dedurre che l'aspetto consueto del dio fosse quello del dio Efesto, il divino artefice indossante l'exomìs dei lavoratori, in capo un pileus conico. Tra le più antiche e rare immagini del dio, le monete repubblicane che figurano una testa barbata ricoperta dal pileo o quelle che semplicemente riportano gli attributi del dio, il pileo e le tenaglie, sono state poste in relazione non tanto con l'antico dio romano, quanto con la conquista di Lipari, isola sacra ad Efesto.

Non ci sono pervenute immagini del dio come dovettero esistere e come sono attestate dalla tradizione. Sappiamo tuttavia di una statua di V. eretta nel Volcanal apparentemente in occasione del grande restauro di età augustea: e di un'altra malinconicamente isolata dinanzi alle porte del tempio di Marte Ultore che ospitava invece le immagini trionfali degli amanti, Marte e Venere (Ov., Tristia, ii, 295). V. appartiene al numero delle grandi divinità, gli dèi Selecti di Varrone in opposizione agli dèi Incerti, e di conseguenza figura nelle serie dei dodekathea, seppure in aspetto praticamente indistinguibile dal suo corrispondente Efesto. In un famoso Lectisternium decretato nel 217 a. C. nel momento più drammatico dell'invasione di Annibale, V. figurava accanto a Vesta. Ed è ugualmente presumibile che una statua di V. doveva esistere tra quelle di bronzo dorato degli Dei Consentes sotto il Campidoglio.

V. è anche la divinità principale di Ostia. Peraltro l'esplorazione della città non ha fornito alcun dato sulla localizzazione del tempio o del luogo di culto pertinente alla divinità. E ugualmente gli unici dati figurativi che è possibile riferire a V. tra il materiale scultoreo di questa città, sono una statuetta marmorea che riprodurrebbe il tipo di Efesto creato da Alkamenes e un singolare Efesto imberbe e con clamide, inserito in un raffinato dodekatheon neoattico ispirato con ogni probabilità ad archetipi prassitelici. È da ricordare che anche il famoso puteal Libonis noto in immagini monetarie e in rilievi, portava come decorazione i simboli di V., le tenaglie e il berretto conico.

Bibl.: G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, Monaco 1912, p. 232 ss.; id., in Roscher, VI, 1924-37, c. 356 ss., s. v. Vulcanus; M. Guarducci, in Scritti in onore di B. Nogara, Roma 1937, p. 183 ss.; M. Delcourt, Héphaistos, Parigi 1957, p. 204 ss.; G. Becatti, Dodekatheon ostiense, in Ann. Sc. Arch. It. Atene, N. S., I-II, 1935-45 (1942), p. 85 ss.