VULCI

Enciclopedia dell' Arte Antica (1997)

Vedi VULCI dell'anno: 1966 - 1997

VULCI (v. vol. VII, p. 1208)

A. M. Sgubini Moretti

Le ricerche e gli studi che hanno interessato in questi ultimi anni V. e il suo territorio hanno consentito di approfondire numerosi problemi. Si sono soprattutto venuti chiarendo gli antefatti della formazione della grande città di età storica, da individuarsi nella fitta fioritura di insediamenti che dall'età eneolitica sino a quella protovillanoviana interessa la media valle del Fiora. Analogamente si è andato precisando quel complesso processo sinecistico che, maturato nel corso della prima Età del Ferro, determinò lo sviluppo del centro urbano e la progressiva organizzazione del territorio che a esso fece gradualmente capo.

Studi determinati da nuovi ritrovamenti e verifiche sistematiche dei materiali di vecchi scavi conservati nei depositi del museo, inaugurato nel 1975 nel Castello della Badia, hanno reso possibile precisare ulteriormente le componenti delle molteplici attività produttive e delle vivaci manifestazioni artistiche che connotano l'articolato panorama culturale vulcente. È il caso, p.es., di quella esuberante produzione ceramica etrusco-geometrica che si sviluppa nel Villanoviano evoluto e che trova proprio a V., negli ultimi decennî dell'VIII sec. a.C., uno dei maggiori centri di produzione. Frequentemente caratterizzata dal ricorso a forme vascolari locali e soprattutto da una sintassi decorativa che largamente attinge al repertorio formale euboico-cicladico, essa è stata riferita a botteghe e, talora, a singole personalità di ceramisti probabilmente immigrati dalla Grecia e attivi forse a V., o nel suo territorio, in quel contesto ambientale, comunque, ove circolano nello stesso lasso di tempo prestigiosi vasi d'importazione quale il cratere del Pittore di Cesnola.

Se l'Orientalizzante Antico vulcente resta ancora sostanzialmente documentato dalla Tomba del Carro di Bronzo (680-670 a.C.), scoperta nel 1965 nella necropoli dell'Osteria, e da poche altre testimonianze tanto raffinate quanto isolate (oreficerie a Londra e a Monaco di Baviera, uovo di struzzo di Montalto di Castro, ecc.), dati maggiori si sono acquisiti per l'Orientalizzante maturo. A tale periodo infatti si può ora riferire un nucleo di vasi, decorati a figure nere e importati dall'area greco-orientale (oinochòe rodia del Wild Goat Style, databile intorno al 650-640 a.C.), e da Corinto (oinochòai e squat-olpe databili fra il Protocorinzio Tardo e il Transizionale) e soprattutto un imponente complesso funerario riportato in luce nel 1982 nella necropoli dell'Osteria, ove era stato peraltro individuato sin dal 1967. La tomba, a cinque camere disposte secondo uno schema planimetrico che ricorda il tipo ceretano B2 del Prayon, ha restituito pregevoli materiali del corredo (arỳballoi del Protocorinzio Medio 2 e del Protocorinzio Tardo; kỳlikes e pisside del Protocorinzio Tardo, ricchi buccheri fra cui due arỳballoi finemente incisi, ecc.), che assicurano una datazione della tomba, rimasta in uso diversi decennî, negli anni intorno alla metà del VII sec. a.C. Ma ciò che soprattutto caratterizza il monumento è la ricca decorazione architettonica: se nel caso dei soffitti, del tipo a padiglione, questa ripropone modelli ceretani - e conferma dunque la circolazione di maestranze specializzate già supposta a proposito della perduta Tomba del Sole e della Luna - la presenza di una grande finta porta scolpita sulla parete di fondo della camera esterna destra manifesta una scelta di soggetti ornamentali che sembrano proprî del patrimonio culturale locale e risultano diffusi, del resto, poco più tardi anche in altri monumenti noti nel territorio.

Sempre nell'ambito della necropoli dell'Osteria è da segnalare l'importante rinvenimento di una tomba a cinque camere del tipo a cassone vulcente, cioè con vestibolo a cielo aperto, che aggiungendosi ad altri ormai celebri contesti (quali la Tomba della Panatenaica, l'altra del Pittore della Sfinge Barbuta, ecc.), offre nuova documentazione per, la conoscenza di quel momento di splendida fioritura che fu per V. l'Orientalizzante Recente. Malgrado l'ampio sconvolgimento forse risalente al secolo scorso, la tomba, esplorata nel 1981, ha restituito un ricco corredo che vede associati vasi di importazione dai centri greci e greco-orientali (oinochòai del Corinzio Transizionale e del Corinzio Antico, arỳballoi del Corinzio Antico e Medio, coppe «ioniche» tipo A1 e A2, bucchero ionico, una rara kỳlix laconica, ecc.) e vasi di produzione locale. Fra questi ultimi spicca in particolare una raffinata oinochòe del Pittore delle Rondini che, riferibile alla prima fase della produzione dell'artista, ripropone in uno dei fregi decorativi il motivo eponimo del Maestro.

Ancora nell'area dell'Osteria, ma nella parte occidentale del sepolcreto, va ricordato il rinvenimento (scavi 1986) di una tomba a dado di età arcaica. Questa importante testimonianza, per ora unica a V., è ubicata in un settore della necropoli interessato da fitte presenze monumentali di età arcaica cui si sovrapposero successivamente più modeste tombe (a camera, a nicchia, a fossa chiuse da tegole) di età ellenistica.

Altri interventi hanno interessato le necropoli orientali. Nel settore NO della Polledrara è stata esplorata (scavi 1986) una tomba a tre camere di cui quella di sinistra risulta in asse con un'altra camera di modestissime dimensioni. Scavate a notevole profondità nel masso friabile e interamente costruite, le camere funerarie, con soffitto a doppio spiovente e columen piano, si aprono su un ampio vestibolo a cielo aperto dominato da una solenne facciata con paramento a blocchi di pietra tufacea squadrati e accuratamente posti in opera. Una ricerca di effetti coloristici può essere forse individuata nell'impiego di blocchi di nenfro posti con funzioni di architravi a sottolineare le aperture delle porte. Il monumento, che denota una collaudata tecnica costruttiva, certo frutto di precoci quanto sinora insospettate esperienze maturate nell'ambito dell'architettura vulcente di età orientalizzante, può essere datato nei decennî centrali della seconda metà del VII sec. a.C. In tal senso orientano i materiali frammentari del corredo (òlpai e oinochòai tardoprotocorinzie-transizionali, kotỳle transizionale, coppe «ioniche» tipo A1 e A2, ceramiche di imitazione corinzia, ecc.).

Sempre nella necropoli della Polledrara, indagini condotte fra il 1984 e il 1987 hanno interessato il Tumulo della Cuccumelletta che, ora restituito alla sua originale dignità, presenta un tamburo costruito con blocchi parallelepipedi di nenfro posti in opera per taglio, con tecnica analoga dunque a quella della non lontana, ma più imponente Cuccumella. Elementi soprattutto utili a una più precisa collocazione cronologica del complesso si sono potuti acquisire grazie all'esplorazione dell'area posta immediatamente a NO del monumento, area che è risultata densa di presenze in parte connesse con lo stesso. È il caso in particolare di un edificio che, realizzato con tecnica costruttiva analoga e allineato al settore NO del tumulo cui risulta quasi tangente, è orientato verso S e appare prospiciente al lato Ν del dròmos della tomba. L'edificio, rinvenuto in una situazione di estremo sconvolgimento forse ricollegabile, come del resto quella di tutta l'area, agli scavi ottocenteschi, manifesta una peculiare planimetria che farebbe pensare a una sua possibile originaria destinazione cultuale (sacello funerario?). Esattamente in corrispondenza di tale struttura, ma a una quota di gran lunga inferiore, è ricavata una tomba a più camere, distribuite anche a livelli diversi, del tipo a vestibolo a cielo aperto e con ripido dròmos a gradini orientato verso N. Malgrado la violazione subita, il monumento può essere datato in base ai materiali del corredo riferibili alle deposizioni più antiche (parti di una kỳlix «ionica» di tipo A1, calice di Chio tipo I Hayes, due rari alàbastra acromi greco-orientali, ecc.) nell'ultimo trentennio del VII sec. a.C. e permane in uso per alcune generazioni. Lo scavo ha chiaramente evidenziato l'intensa occupazione di questo settore del sepolcreto che appare utilizzato sia nell'Orientalizzante Antico (epoca cui si possono riferire alcune tombe a fossa profonda ubicate immediatamente a NO del «sacello»), sia nel corso dell'età arcaica, in epoca comunque successiva a quella che vede la realizzazione dei complessi monumentali (si segnala fra gli altri il rinvenimento di una tomba a cassa di tufo ubicata fra il tumulo e il «sacello», risultata priva di materiali, ma forse confrontabile, vista la sua particolare collocazione, con strutture similari che, investigate nel 1883 dal Marcelliani, restituirono vasi attici a figure nere).

Altri consistenti interventi hanno interessato la Cuccumella e l'area a essa circostante. Nel 1985 si è proceduto infatti all'asportazione di una consistente porzione delle terre di risulta degli scavi ottocenteschi che occultavano completamente il perimetro esterno del tumulo, riportando così in evidenza circa un quarto del suo imponente tamburo. Nella stessa occasione si è individuata e liberata dalla terra di riempimento una tomba con vestibolo a cielo aperto e dròmos orientato a o, che conserva superiormente resti di un coronamento (ara?). In considerazione dell'ubicazione, il monumento potrebbe essere forse identificato con una delle due tombe di analoga tipologia esplorate dal Marcelliani nel 1883, per quanto queste ultime appaiano caratterizzate da corridoi d'accesso con andamento curvilineo. Altre indagini condotte nel 1988 a SE del tumulo hanno reso possibile individuare un'altra importante struttura funeraria in parte ricavata nel banco roccioso, in parte accuratamente costruita con blocchi parallelepipedi di tufo. Rinvenuta priva di materiali del corredo e composta di un'unica camera con soffitto a doppio spiovente e columen piano, la tomba, accessibile attraverso un breve e ripido dròmos, conserva ancora parte dell'imponente coronamento esterno. Una specifica rilevanza assume questo nuovo monumento in quanto come la già ricordata, ma più antica tomba costruita della Polledrara - di cui sembra costituire una variante tipologica - si inserisce nel novero delle c.d. tombes de pierre, offrendo dunque ulteriore testimonianza di modelli architettonici di ormai consolidata sperimentazione a V., peraltro in precedenza noti attraverso la bibliografia ottocentesca e da documenti d'archivio, di più recente pubblicazione, relativi ai primi scavi di Luciano Bonaparte. A O di tale monumento è stato riportato in luce (scavi 1989-90) un imponente altare del tipo ad ante, probabilmente destinato al culto funerario, intorno al quale si dispongono, secondo schemi regolari, numerosi ipogei per lo più del tipo con vestibolo a cielo aperto, già depredati. A SO di tale settore è stata rinvenuta la «Rotonda», un sepolcro a tumulo di età romana già esplorato nel secolo scorso e successivamente perso.

Particolarmente intensa è stata l'attività della Soprintendenza anche nella necropoli di Ponte Rotto ove sono state realizzate complesse e delicate opere di restauro e conservazione dei monumentali sepolcri gentilizî di ormai antico ritrovamento, prima fra tutti la Tomba François. In quest'area, inoltre, si è indagato un ipogeo, già individuato nel 1959 e denominato «del Delfino» per i resti dell'originaria decorazione pittorica. I materiali del corredo sinora rinvenuti (ceramica dipinta a fasce tipo Sovana, vasi a vernice nera di fabbrica volterrana, tarquinese e locale, ecc.) chiariscono l'orizzonte cronologico del complesso che, in precedenza attribuito assai poco convincentemente al II sec. a.C., sembra piuttosto ascrivibile alla seconda metà del IV sec. a.C. La tomba s'inserisce dunque in un'epoca che, precedente alla conquista romana di V., vede la realizzazione nella necropoli di Ponte Rotto di altri notevoli monumenti sepolcrali di cui sono titolari importanti famiglie dell'aristocrazia locale.

Se di grande rilevanza appaiono le testimonianze che vengono via via restituendo le necropoli, altre evidenze archeologiche, anch'esse di recente acquisizione, consentono parimenti una più puntuale conoscenza dell'assetto territoriale dell'antico centro. Grazie a una serie di fortunate scoperte che integrano precedenti testimonianze risalenti agli scavi Marcelliani e Mengarelli, risulta ora infatti certa l'esistenza di una serie di complessi santuariali che, dislocati in corrispondenza delle maggiori vie d'accesso a V. e talora ubicati a poca distanza da acque sorgive, si scaglionano intorno alla città, formando una sorta di «cintura sacra». In tal senso depongono i ritrovamenti verificatisi ai margini del pianoro della Polledrara (area che ha restituito resti di decorazioni architettoniche di un tipo analogo a quello presente su esemplari provenienti dalla c.d. acropoli) e soprattutto quelli di Fontanile di Legnisina. In quest'ultima località, presso la sponda sinistra del Fiora e a poca distanza dalla porta SE della città, è stato esplorato un importante complesso cultuale, dedicato a Uni e in uso dal V sec. a.C. sino al I sec. d.C.

Le strutture risultano pertinenti al podio di un tempio a pianta rettangolare e conservano nella pars postica una partitura strutturale interna che, costituita da due muri longitudinali definiti da un altro muro trasversale, assicura l'esistenza di un'originaria tripartizione di questa parte dell'elevato. Minori i dati utili a precisare la soluzione planimetrica adottata nella pars antica. Immediatamente a E e in stretto rapporto con il tempio è stato inoltre individuato un imponente altare costituito da un recinto quadrangolare realizzato in blocchi di nenfro e arricchito su tre dei quattro lati con eleganti cornici di base. Presso l'angolo NE della struttura era collocato un ricco deposito votivo che ha restituito materiali che assicurano la pratica di un culto essenzialmente connesso con la fertilità, ma ricco anche di implicazioni legate alla sfera agrario-funeraria cui riconduce la presenza di dediche votive a Vei/Demetra. Fra i numerosi ex voto, anche di tipo anatomico, si distingue soprattutto un gruppo di statuette di bronzo di cui una, raffigurante un offerente e databile intorno al 300 a.C., conserva un'importante dedica a Uni.

Altre consistenze monumentali sono state individuate sempre nell'ambito del comprensorio extraurbano (scavi 1986-87). Un poderoso muro in blocchi di tufo con parametro esterno in nenfro è stato individuato a Ponte Sodo ed è forse riferibile a un edificio cultuale, solo dubitativamente ricollegabile però con strutture di incerta interpretazione scoperte negli anni '50 nella stessa località. Imponenti resti di costruzioni sono stati rinvenuti nella vallecola sottostante alla porta O della città.

Altre acquisizioni si possono registrare nell'area urbana. Oltre a un gruppo di frammenti architettonici di ritrovamento superficiale, databili alla fine del VI-inizî del V sec. a.C., si ricordano i risultati conseguiti a seguito di sondaggi di scavo compiuti nel 1985 nel settore O del pianoro. Questi hanno interessato l'area dell'imponente rudere in laterizio che, forse ricollegabile con il complesso termale di cui si hanno notizie ottocentesche, si eleva a poca distanza dal c.d. Tempio Grande, risultando prospiciente alla zona ove si tende a localizzare il foro di età romana. Le indagini hanno posto in evidenza come il complesso in questione, databile in base alla tecnica edilizia nel II sec. d.C., sia impostato su preesistenti strutture, per ora di incerta destinazione, ma nel cui ambito si distingue parte di un poderoso muro in opera quadrata di tufo con andamento EO, che potrebbe essere pertinente a un edificio monumentale. Tra il materiale di riempimento, distribuito in un arco cronologico assai ampio, si segnalano frammenti di ceramiche attiche a figure rosse, di bucchero nero e grigio.

Fondamentali dati connessi con le vicende e il popolamento di V. in età imperiale sono emersi nel 1975 con la scoperta di un santuario mitraico realizzato a ridosso del muro perimetrale orientale della Domus del Criptoportico. Tale edificio, oltre ad arricchire la mappa relativa alla diffusione del culto di Mitra in Etruria, offre consistenti contributi anche da un punto di vista più propriamente storico-religioso. Del tutto peculiare è infatti la soluzione architettonica adottata nella realizzazione dei due alti podia che, addossati come di consueto alle pareti lunghe del santuario, presentano sulla fronte una sequenza di sei piccoli archi a tutto sesto. A questi corrispondono altrettanti piccoli vani, coperti con volte a botte che, interpretati in chiave simbolica, sono stati posti in rapporto con i successivi gradi di iniziazione dei devoti al culto. Di notevole livello qualitativo sono, inoltre, le sculture cultuali che consistono in un gruppo maggiore di Mitra tauroctono, cui risultano connessi le statue del corvo e di Cautes (l'unico dei due dadofori ritrovato) e un secondo gruppo di Mitra tauroctono, di piccole proporzioni, del quale si segnala l'insolita soluzione figurativa adottata nel rendimento del lato posteriore. Sembra trattarsi nell'insieme di un complesso unitario per stile e cronologia che, databile in età post-severiana, è forse attribuibile all'opera di maestranze urbane. Lo stato in cui questi marmi sono stati rinvenuti ha fatto pensare a una distruzione violenta subita dal santuario, ipotesi che ha trovato successiva conferma nello scavo che, nel 1979, ha interessato il vano antistante al mitreo. In questo ambiente che doveva assolvere a funzioni di anticamera, sono state infatti rinvenute, sotto il crollo delle pareti e della copertura, chiare tracce d'incendio. Analogamente significativa è apparsa la giacitura delle ceramiche, tutte frammentarie e pertinenti e vasi di uso comune e di culto (si ricordano in particolare due crateri con piccoli recipienti applicati sulle spalle e decorati con serpenti plastici). Tali ritrovamenti, documentando una sicura frequentazione del mitreo nel corso del III e per buona parte del IV sec. d.C., consentono di fissarne la distruzione nei decennî finali del secolo, forse in conseguenza dell'editto di Teodosio (380 d.C.).

Nell'area di Regisvilla (Montalto di Castro), importante centro portuale che, paragonabile per importanza a Pyrgi o a Gravisca, costituì il principale approdo vulcente, gli scavi (1977-1980) hanno posto in evidenza il carattere di regolarità che è alla base del tessuto urbano. Sono state inoltre individuate ed esplorate, in punti diversi dell'insediamento, strutture di età arcaica che si estendono a interessare anche l'area su cui più tardi s'impostò una grandiosa villa di età romana. Di particolare importanza l'esito degli accertamenti condotti su due nuclei abitativi, uno dei quali, attestato su un asse stradale con andamento NESO, presenta una pianta quadrangolare che si articola intorno a un cortile a forma di T, forse scoperto. Lo scavo di tali strutture (che sembrano essere state in uso per lo spazio di circa un secolo e cioè tra la fine del VI e la fine del V sec. a.C.), ha restituito materiali ceramici per lo più di importazione, utili dunque a confermare la fisionomia scopertamente commerciale dell'antico centro le cui poderose strutture portuali si conservano ancora oggi sommerse nel tratto di mare antistante all'attuale linea di costa.

Museo. - Nel 1975 è stato inaugurato il museo archeologico di V. che ha sede nel Castello della Badia, ubicato presso l'omonimo Ponte. Tale struttura, creata al fine di offrire un'opportuna quanto sintetica panoramica dell'antico centro etrusco, accoglie una serie di significative testimonianze relative sia agli insediamenti preistorici della valle del Fiora, sia soprattutto a V. e alle sue estesissime necropoli, ampiamente documentate attraverso contesti funerarî che dal IX-VIII sec. a.C. giungono sino alla piena età romana. Particolarmente importanti, inoltre, i materiali provenienti da santuarî che, individuati nell'area urbana e nel territorio circostante, sono documentati attraverso i caratteristici ex voto databili per lo più in età medio-repubblicana. Notevolmente ricca è la sezione dedicata alla scultura funeraria in pietra che, costituendo una delle più singolari espressioni della cultura artistica vulcente, trova nel Castello della Badia un'ampia rassegna attraverso una serie di monumenti che dal primo arcaismo giungono sino alla piena età ellenistica.

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