Wavelets

Enciclopedia del Novecento (2004)

Wavelets

IIgnazio D'Antone

di Ignazio D'Antone

SOMMARIO: 1. Introduzione. ▭ 2. La trasformata wavelet continua. ▭ 3. La trasformata wavelet discreta. ▭ 4. Analisi a multirisoluzione. ▭ 5. Proprietà delle wavelets. ▭ 6. Applicazioni. ▭ 7. Il futuro delle wavelets. ▭ Bibliografia.

1. Introduzione.

L'analisi dei segnali e delle immagini, nel mondo scientifico, è spesso effettuata rappresentando la grandezza in esame in un dominio differente da quello naturale del tempo o dello spazio, in modo da evidenziarne meglio alcune caratteristiche significative. La grandezza trasformata è espressa da un insieme di funzioni base con proprietà note: un musicista, per esempio, raffigura gli accordi musicali nel dominio delle note singole, di cui conosce bene le proprietà.

La rappresentazione più nota è quella che si ottiene utilizzando la 'trasformata di Fourier' (FT, Fourier Transform), sviluppata a partire dai lavori di Jean Baptiste Joseph Fourier nel primo ventennio dell'Ottocento, che utilizza, come funzioni base, sinusoidi di diversa frequenza. La FT è definita come:

e la trasformata inversa come:

dove i è l'unità immaginaria ed eiωt = cosωt + i senωt. Questa rappresentazione può essere letta in due modi: da un lato, fornisce un metodo per ottenere la funzione f (t) dalla sua trasformata di Fourier ftt; (ω) e, dall'altro, permette di decomporre f (t) in una sovrapposizione di funzioni periodiche eiωt, cioè sinusoidi e cosinusoidi, con coefficienti dati dalla trasformata di Fourier.

Consideriamo, ad esempio, la corda di uno strumento musicale che riproduce la nota 'la': nella situazione ideale, la corda vibra alla frequenza di 440 Hz ed emette un suono puro. La curva che rappresenta la posizione dei singoli punti della corda nel tempo ha un andamento sinusoidale e la trasformata di Fourier del suono emesso ha un solo coefficiente, quello relativo alla sinusoide di frequenza ν = ω/2π = 440 Hz. Nella realtà, invece, i suoni emessi da sistemi quali le corde degli strumenti musicali non sono puri e, in base al teorema di Fourier, sono rappresentati da un'onda a frequenza fondamentale e da una serie di onde sinusoidali a frequenza multipla, dette armoniche, le cui ampiezza e differenza di fase rispetto all'onda fondamentale sono date dalla (1).

La FT è usata con successo in molte applicazioni, ma è adatta essenzialmente all'analisi dei segnali stazionari, quei segnali, cioè, che non subiscono rapide variazioni nel tempo. Se il segnale ha una discontinuità, ovvero una rapida variazione, si producono molti coefficienti non nulli nella trasformata. Un'onda quadra, ad esempio, è rappresentata da una sinusoide fondamentale e dalla sovrapposizione di altre sinusoidi, di frequenza sempre più alta e ampiezza sempre minore, tendenti ad appiattire gli estremi e riprodurre il segnale squadrato; occorre 'sommare' un numero infinito di queste funzioni periodiche per ottenere il segnale originario.

Nel caso di segnali non stazionari, è preferibile usare una rappresentazione che utilizzi funzioni di base non estese su tutta la linea del tempo, come avviene per le sinusoidi, ma che siano invece localizzate in un intervallo di tempo, in modo da poter associare alle caratteristiche del segnale anche un'informazione di carattere temporale. Si parla in questo caso di funzioni a supporto compatto.

Per ottenere una trasformata con una migliore localizzazione tempo-frequenza, Dennis Gabor, nel 1946, adattò la FT applicando una 'finestra temporale' su una porzione del segnale e calcolandone la FT a diversi istanti di tempo. Egli ottenne così una rappresentazione bidimensionale tempo-frequenza del segnale, nota come trasformata di Fourier a breve termine (STFT, Short-Term Fourier Transform).

Nel piano tempo-frequenza (t, ν) la localizzazione del segnale è rappresentata geometricamente da un rettangolo di dimensioni Δt e Δν, determinate dalla funzione finestra. Per il principio di indeterminazione di Heisenberg (v. Strang e Nguyen, 1996) l'area del rettangolo è limitata inferiormente (Δt • Δν ≥ 1/4π), per cui una migliore risoluzione temporale diminuisce quella in frequenza e viceversa. Intuitivamente, per misurare il contenuto in frequenze di un segnale occorre osservarlo per un certo periodo di tempo e quanta più precisione viene richiesta alla misura delle frequenze, tanto più grande deve essere l'intervallo di tempo in cui effettuare l'osservazione. Inoltre, l'ampiezza costante della finestra nella STFT non permette una buona analisi dei segnali non stazionari, il cui contenuto in frequenza varia col tempo. Una finestra di tempo piccola è adatta a rivelare componenti di frequenza alta, ma dà una risposta insoddisfacente per le componenti di frequenza bassa. È quindi desiderabile avere una funzione finestra di ampiezza non fissata, ma che decresca sia nel dominio del tempo che in quello della frequenza, ottenendo in tal modo, come funzioni base, delle piccole onde compresse o dilatate: le wavelets, talvolta chiamate 'ondine' in italiano.

L'analisi con le wavelets, nata nei primi anni ottanta del Novecento, è stata inizialmente utilizzata per l'elaborazione di segnali geofisici (v. Grossman e Morlet, 1984). Nella seconda metà di quel decennio la teoria matematica è stata rigorosamente formalizzata (v. Daubechies, 1988; v. Mallat, 1989; v. Meyer, 1990-1991). Nel decennio successivo si è manifestato un interesse sempre crescente verso questo strumento matematico che rappresenta la sintesi formidabile di teorie e concetti sviluppati in campi diversi: analisi di segnali, compressione di suoni o di immagini, studio di processi non lineari a geometria frattale, analisi numerica.

2. La trasformata wavelet continua.

La trasformata wavelet continua (CWT, Continuous Wavelet Transform) di una funzione f (t) è definita come

in cui ψba(t) rappresenta la famiglia di funzioni

ottenute dalla dilatazione (parametro di scala a) e dalla traslazione (parametro di traslazione b) di una funzione, detta wavelet madre, ψ(t).

È possibile esprimere la funzione f (t) come combinazione lineare delle wavelets, con coefficienti dati dalla (3), il cui valore misura la 'somiglianza' di f (t) con la corrispondente wavelet ψa,b(t).

Con le wavelets si ottiene pertanto una rappresentazione bidimensionale del segnale in cui la tassellazione del piano scala-tempo si presenta costituita da rettangoli di dimensioni variabili e con area costante: a scale alte corrispondono finestre temporali più larghe e quindi wavelets dilatate, mentre a scale basse corrispondono finestre temporali più strette e quindi wavelets compresse (v. fig. 1). La fig. 2 mostra la CWT per un segnale doppler. Poiché le funzioni dilatate sono lentamente variabili e quindi a bassa frequenza, mentre le funzioni compresse contengono componenti di alta frequenza, si può tradurre l'informazione data dalla CWT nel piano frequenza-tempo ponendo ν ≈ 1/a .

A differenza della STFT, che è una tecnica limitata dalla risoluzione fissa, la trasformata wavelet si adatta al contenuto in frequenza del segnale e permette, pertanto, di avere una buona risoluzione in tutto il piano frequenza-tempo. Inoltre, la CWT possiede una trasformata inversa e quindi permette di ricostruire il segnale dalla mappa frequenza-tempo. Occorre tuttavia che sia verificata una 'condizione di ammissibilità' (v. Daubechies, 1992), dalla quale segue che la wavelet ψ(t) deve essere una funzione oscillante con media zero, cioè

e con trasformata di Fourier ψ᾿(ω) tendente a zero per ω → 0 e per ω → ∞; cioè la wavelet deve avere lo spettro in frequenza di un filtro lineare passa banda.

3. La trasformata wavelet discreta.

La trasformata wavelet continua CWT è ridondante perché usa due variabili, a e b, rispettivamente di dilatazione e di traslazione, per rappresentare una funzione della sola variabile tempo. La ridondanza si può ridurre discretizzando i parametri a e b. Per garantire la necessaria copertura dell'asse temporale, occorre che a scala grande, quindi con wavelets 'lunghe', si abbia il passo di traslazione lungo e, viceversa, a scala piccola, quindi con wavelets 'corte', si abbia il passo di traslazione corto. Inoltre, per avere un'incertezza relativa sulla frequenza Δn/ν costante, la discretizzazione del parametro di scala deve essere logaritmica.

La ridondanza, pertanto, si può ridurre campionando i parametri a e b su una griglia rettangolare in cui (b,a) =

si ottiene in tal modo una griglia logaritmica a base 2, detta 'griglia diadica'. Le funzioni wavelets dell'insieme così ottenuto sono pertanto definite da:

dove ψ(t) è la wavelet madre.

La f (t) può essere rappresentata da una sovrapposizione di wavelets con differenti parametri di dilatazione e traslazione:

in cui i dj,k sono i coefficienti wavelet dell'espansione in serie. Questa rappresentazione è nota come trasformata wavelet discreta (DWT, Discrete Wavelet Transform), ed è più adatta per le elaborazioni digitali di segnali o di immagini della CWT, la quale, invece, si presta meglio a rivelare le singolarità di una funzione f (t) (v. Mallat, 1998) o per studiare frattali e auto-somiglianza (v. Arneodo e altri, 1994).

La più semplice wavelet madre è quella di Haar (v. Mallat, 1998), definita nell'intervallo [0, 1) da:

Dalla (6) si possono ricavare le altre wavelets, definite nell'intervallo [0, 1) secondo il seguente prospetto a piramide (trascurando il fattore di normalizzazione 2j/2):

La scala j varia da - ∞ a + ∞. Se vengono usate solo le wavelets di scala j ≥ 0, esse non sono sufficienti per rappresentare tutte le funzioni (ad esempio, la funzione costante su [0,1) non può essere rappresentata da questa collezione di wavelets di Haar); ciò diviene possibile aggiungendo una funzione ϕ(t), detta 'funzione padre', in modo che, per opportuni coefficienti ck:

Nel caso delle wavelets di Haar ϕ(t) = 1 per t ∈ [0,1), ϕ(t) = 0 per t ∈ [0,1). In questo modo una funzione costante può essere rappresentata da un multiplo della ϕ(t). La (9) ha un'interpretazione intuitiva: una funzione può essere rappresentata da una serie di funzioni traslate della funzione padre ϕ(t), che rappresenta il comportamento a grande scala (bassa frequenza) della funzione f (t), più una famiglia di wavelets ψj,k(t), a scale differenti, che rappresentano il comportamento a piccola scala (alta frequenza) in grado di evidenziare le variazioni rapide e le discontinuità nella funzione f (t).

La funzione ϕ(t) è anche chiamata 'funzione di scalamento', poiché, sia per la wavelet madre ψ(t) che per la funzione padre ϕ(t), valgono le seguenti equazioni a due scale:

con hk = (-1)kg1-k (v. Strang e Nguyen, 1996).

Quindi tutto si riduce allo studio di una funzione di scalamento ϕ(t) opportuna. Nel caso delle funzioni di Haar in [0,1) le equazioni a due scale si riducono alle seguenti:

che si possono facilmente esprimere graficamente (v. fig. 3).

La funzione di scalamento ϕ(t), con la normalizzazione usuale

ha la trasformata di Fourier ϕ᾿(ω) di un filtro passa basso. In pratica lo spettro del segnale viene suddiviso nello spettro passa basso della funzione di scalamento e in un certo numero di spettri passa banda delle wavelets (v. fig. 4). Per rappresentare, ad esempio, la funzione f (t) = 5ϕ(2t) + 3ϕ(2t - 1), cioè una funzione che ha il valore 5 nell'intervallo

e il valore 3 nell'intervallo

dalle equazioni a due scale si ottiene:

Quindi, con la base di Haar non normalizzata, il coefficiente del filtro passa basso, associato alla funzione di scalamento, si ottiene calcolando il valore medio, mentre il filtro associato ai dettagli, cioè alla funzione wavelet, si ottiene calcolando la semidifferenza. Si osservi come la generale operazione di somma di prodotti (operazione di 'convoluzione') che realizza il filtraggio, nel caso della base di Haar non normalizzata porta a semplici operazioni di semisomma e semidifferenza; i coefficienti del filtro sono g0 = 1, g1 = 1 e h0 = 1, h1 = - 1.

L'equazione a due scale (cioè contenente t e 2t), trascurata per molto tempo, viene ora presa in considerazione sempre più spesso per descrivere quei processi che presentano un comportamento autosomigliante a scale diverse.

4. Analisi a multirisoluzione.

La suddivisione dello spettro ottenuta con la trasformata wavelet ha suggerito l'uso di banchi di filtri per effettuare l'analisi dei segnali con le wavelets. Nel caso di una discretizzazione diadica si ha un banco di filtri a Q costante, essendo Q il rapporto tra frequenza centrale e banda passante. Questo tipo di analisi fornisce, pertanto, una decomposizione del segnale in sottobande ('codifica a sottobande') con banda che aumenta linearmente con la frequenza. Ogni banda spettrale è approssimativamente larga una ottava e, in questa forma, la trasformata wavelet può essere vista come un analizzatore di spettro.

Per decomporre il segnale si può usare un banco di filtri a cascata (v. Mallat, 1989), una tecnica strettamente legata alla 'analisi a multirisoluzione', che è uno schema di codifica per approssimazioni successive in cui il segnale viene decomposto in versioni a risoluzioni diverse. Ogni risoluzione usa una coppia di filtri: la prima è costituita da un filtro passa basso associato alla funzione di scalamento, che fornisce un'immagine globale approssimata del segnale, e da un filtro passa alto, associato con la wavelet madre, che fornisce i dettagli del segnale; sull'uscita proveniente dal filtro passa basso, cioè sulle componenti di approssimazione, si applica una nuova coppia di filtri passa basso e passa alto per ottenere un'ulteriore decomposizione del segnale a una risoluzione dimezzata. E così via.

L'equivalenza tra codifica wavelet, codifica a sottobande e analisi a multirisoluzione è uno dei risultati più importanti della teoria, che ha permesso di trasportare i concetti della trasformata wavelet nelle applicazioni in cui in precedenza si usava la codifica a sottobande - come nella compressione vocale - e nella codifica a multirisoluzione delle immagini. Ciò ha portato anche alla nascita di nuove tecniche di progetto dei banchi di filtri e alla costruzione di wavelets con particolari caratteristiche spettrali.

Poiché l'uscita di un filtro ha lo stesso numero N di dati dell'ingresso, a ogni passo della decomposizione, cioè all'uscita di ogni coppia di filtri, si ha sempre un numero 2N di dati doppio di quello dei dati in ingresso. Per superare l'inconveniente dovuto a un eccessivo numero di dati da manipolare, si applica la tecnica del sottocampionamento, o decimazione (v. Vetterli e Kovacevic, 1995), che consiste nel prelevare un dato ogni due nella sequenza. Si ottiene pertanto un numero di coefficienti wavelet pari al numero dei dati in ingresso.

L'algoritmo descritto in questa versione prende il nome di FWT (Fast Wavelet Transform). L'esempio in fig. 5 mostra come ricavare la FWT di un segnale discretizzato utilizzando la base di Haar non normalizzata, in cui il filtro passa basso è realizzato calcolando il valore medio dei campioni, mentre i filtri dei dettagli sono calcolati con la semidifferenza dei campioni. Si osservi come i valori a un livello, ad esempio [8 4] ottenuti al primo livello, sono una rappresentazione a risoluzione più grossolana dei valori del livello precedente, in questo caso [7 9 6 2], corrispondente in qualche senso a effettuare uno zoom del segnale.

Un sistema a multirisoluzione è caratterizzato da diverse proprietà, tra le quali: a) la funzione di scalamento è ortogonale alle sue traslazioni per valori interi; ad esempio, nel caso della base di Haar, il prodotto scalare della ϕ(t) con qualunque sua traslazione di valori interi è nullo; b) il segnale a una data risoluzione contiene tutte le informazioni necessarie al calcolo dell'approssimazione alle risoluzioni più basse, come si può notare dall'esempio precedente; c) qualunque segnale può essere approssimato con una precisione arbitraria; aumentando la risoluzione, cioè al diminuire della scala, l'approssimazione converge progressivamente al segnale, mentre diminuendo la risoluzione, cioè all'aumentare della scala, sia i coefficienti di approssimazione, sia quelli di dettaglio conterranno sempre meno carico informativo e convergono a zero.

Per un vettore di lunghezza N = 2j l'operazione di filtraggio viene applicata (2j-1 + 2j-2 + … + 1) = (2j - 1) volte per ottenere i coefficienti di dettaglio e una volta per ottenere l'approssimazione, quindi in totale 2j = N. Quindi l'algoritmo FWT ha una complessità algoritmica di ordine N, che è conveniente se confrontata con la complessità della trasformata veloce di Fourier (FFT, Fast Fourier Transform) che è dell'ordine di N log2 N.

Con la tecnica a multirisoluzione si ha l'iterazione del filtro passa basso soltanto, ottenendo così una decomposizione ad albero logaritmico. Questo è utile quando le basse frequenze contengono più informazioni delle alte frequenze. Per alcuni segnali ciò non è vero. Per ottenere l'albero di decomposizione completo occorre iterare entrambi i filtri, utilizzando ad esempio le funzioni di Walsh (v. D'Antone, 1995). Tra questi due alberi estremi, ottenuti con le funzioni di Haar e con le funzioni di Walsh, ci sono numerose decomposizioni possibili (v. Strang e Nguyen, 1996). Utilizzando opportune tecniche di ottimizzazione (v. Coifman e Wickerhauser, 1992), si può pertanto selezionare l'albero più adatto a una certa applicazione.

L'algoritmo di ricostruzione del segnale f (t) a partire dai coefficienti è ricondotto a operazioni di filtraggio e sovracampionamento (la tecnica del sovracampionamento consiste nell'inserimento di uno zero ogni due dati successivi della sequenza di ingresso). Con una opportuna scelta dei coefficienti dei filtri di decomposizione e di ricostruzione è possibile ricostruire esattamente il segnale originario (filtri a 'perfetta ricostruzione').

5. Proprietà delle wavelets.

Sono state riportate in letteratura un certo numero di wavelets (v. fig. 6) con differenti proprietà, alcune tra le più importanti delle quali sono l'ortogonalità, la localizzazione nel tempo e in frequenza, la simmetria, il numero di momenti nulli e la regolarità. Illustreremo ora brevemente l'utilità di tali proprietà.

Le wavelets non ortogonali sono linearmente dipendenti e realizzano delle 'trame ridondanti' di wavelets. Le wavelets ortogonali, invece, sono linearmente indipendenti e realizzano una 'trama esatta' di wavelets. Se l'obiettivo è una compressione dell'informazione, è preferibile una trasformata ortogonale, in modo da ottenere la ricostruzione perfetta del segnale originale evitando ridondanza.

Per rivelare singolarità locali in segnali o immagini, una wavelet deve essere concentrata nel tempo, cioè avere una buona localizzazione temporale, e quindi la scelta viene orientata verso wavelets con supporto compatto.

I coefficienti della trasformata di un segnale decrescono rapidamente se la wavelet ha un sufficiente numero di momenti nulli. Si definisce momento di ordine p della wavelet l'integrale

Se la wavelet ψ(t) ha n momenti nulli, cioè Mp = 0 per p = 0,1,…,n, allora i polinomi di grado n sono soppressi da queste wavelets. I coefficienti di una decomposizione a wavelets misurano la somiglianza tra una wavelet e il segnale, quindi una wavelet con molti momenti nulli produce una decomposizione con pochi coefficienti. L'effetto pratico di avere momenti nulli è quello di concentrare l'informazione del segnale in un numero relativamente piccolo di coefficienti. Inoltre, per rappresentare un segnale molto smussato con pochi coefficienti occorre scegliere delle wavelets che abbiano una certa regolarità. Il grado di regolarità q di una wavelet è dato dal suo ordine massimo di derivabilità q. Per avere una regolarità maggiore di n, una wavelet deve avere almeno (n + 1) momenti nulli (v. Daubechies, 1988). La wavelet di Haar, che ha soltanto un momento nullo (la media), non è regolare e, pertanto, non è adatta a codificare segnali o immagini molto regolari, in quanto produrrebbe una decomposizione fortemente discontinua.

Un'altra proprietà che è utile nell'analisi delle immagini è la simmetria. La trasformata wavelet di un'immagine speculare non è la trasformata wavelet speculare a meno che la wavelet non sia simmetrica. Simmetria e ortogonalità sono incompatibili, eccetto che per le wavelets di Haar. È possibile, comunque, progettare wavelets con asimmetria maggiore o minore.

Possiamo concludere che la scelta di una base di wavelets per una certa applicazione è effettuata selezionando le wavelets con le proprietà più adatte per quella applicazione. Esiste una grande varietà di basi di wavelets: a supporto compatto, a banda limitata, ortogonali, biortogonali, multi-wavelets, pacchetti di wavelets, fino alla scelta della base migliore in un dizionario ridondante di basi (wavelet packets).

Tra le wavelets più diffuse ricordiamo la wavelet di Haar (1910), quella di Morlet (1982), quella di Meyer, quella 'sombrero' e, tra le più usate, le wavelets di Daubechies (1988). Queste ultime sono a supporto compatto nel dominio del tempo, hanno un buon decadimento nel dominio della frequenza e inoltre si può controllarne la regolarità.

6. Applicazioni.

L'estensione delle basi di wavelets al trattamento di dati bidimensionali, ad esempio immagini, viene realizzata in base a concetti sviluppati da Stéphane Mallat. Spesso questa decomposizione è effettuata usando 'prodotti separabili' di una wavelet unidimensionale e di una funzione di scalamento unidimensionale. L'immagine viene elaborata, prima per righe e poi per colonne, mediante un banco di filtri unidimensionali (v. figg. 7 e 8). Questa soluzione è molto efficiente dal punto di vista computazionale, in quanto richiede il calcolo di due filtraggi unidimensionali anziché di uno bidimensionale, con una complessità, quindi, dell'ordine di 2N e non N2. Per la decomposizione unidimensionale è possibile usare la FWT.

Si osservi che i valori della FWT di una funzione sono costituiti dall'approssimazione, data dal valore medio, e dai dettagli, che sono valori piccoli da sommare o sottrarre all'approssimazione. Pertanto, la FWT si può codificare con un minor numero di bit rispetto alla funzione. È quindi più efficiente memorizzare o trasmettere la FWT del segnale, invece che il segnale stesso. Una delle più importanti applicazioni della trasformata wavelet è, appunto, la compressione di segnali e immagini.

I valori più significativi dei coefficienti nella decomposizione in wavelets spesso sono concentrati verso le basse frequenze (v. fig. 9), cioè sono più significativi i valori dei coefficienti delle approssimazioni che quelli dei dettagli.

Nel caso di segnali audio, la decomposizione in ottave è particolarmente adatta alla struttura del sistema uditivo umano, e la codifica a sottobande diadica è applicata con successo. La compressione audio nello standard MPEG1 del Moving Picture Experts Group, definito per la codifica di segnali video, è realizzato appunto mediante un opportuno banco di filtri; tra questi ricordiamo il noto sistema di compressione MP3 (cioè la parte audio del sistema MPEG1-layer3), basato su una trasformata di tipo coseno, la Discrete Cosine Transform (DCT), in cui il segnale campionato viene convertito nei suoi componenti di frequenza. Alcuni moderni algoritmi di compressione usano le wavelets, ma non è ancora provato che tali algoritmi siano più efficienti della DCT, a causa della periodicità intrinseca nei segnali audio.

Nel caso delle immagini, la quantizzazione, effettuata nel dominio della FWT, consente di ottenere tassi di compressione superiori a quelli ottenuti con altre trasformate, come la DCT, e non comporta errori di quadrettatura. Il database di impronte digitali dell'FBI è stato compresso di circa 1:20 utilizzando la DWT. Il recente standard JPEG 2000 del Joint Photographic Experts Group è basato, appunto, sulla trasformata wavelet. Nel trattamento delle immagini la rappresentazione in multirisoluzione permette di avere una prima approssimazione a bassa risoluzione e di aggiungere solo successivamente i dettagli, procedimento utile, ad esempio, nella trasmissione progressiva via Internet.

La capacità della trasformata wavelet di evidenziare l'istante in cui si ha una rapida variazione nel segnale è stata utilizzata con successo nelle analisi biomediche, ad esempio in esperimenti di spettroscopia a risonanza magnetica e nell'analisi di segnali da elettrocardiogramma, in cui è importante individuare i picchi o riconoscere le forme d'onda elementari contenuti nel segnale. Per rivelare una discontinuità nel segnale è sufficiente la wavelet di Haar, mentre per rivelare un'interruzione nella derivata i-esima del segnale occorre usare una wavelet regolare con almeno i momenti nulli. Poiché il rumore è caratterizzato da rapide variazioni sovrapposte al segnale, è possibile filtrare il rumore presente in un segnale o in un'immagine sopprimendo i coefficienti di dettaglio sotto una certa soglia nella decomposizione wavelet (v. fig. 10).

Le wavelets sono particolarmente utili nello studio dei sistemi che intrinsecamente sono invarianti per cambiamento di scala, ad esempio i frattali, strutture geometriche caratterizzate da autosomiglianza a differenti scale. Analizzando con la trasformata wavelet continua un segnale con caratteristiche frattali si ottiene uno 'scalogramma' in cui i coefficienti della decomposizione wavelet sono simili su scale differenti (v. fig. 11).

Per usare le wavelets in applicazioni con griglie irregolari, non diadiche, o su superfici non piane, utili in geofisica o in computer graphics, è stata sviluppata una tecnica di lifting (v. Daubechies e Sweldens, 1998) per costruire delle wavelets, dette di 'seconda generazione', che a differenza di quelle di 'prima generazione', basate su traslazione e dilatazione di una wavelet madre, sono ottenute prendendo una semplice wavelet di partenza e migliorandone gradualmente (lift) alcune proprietà, come la regolarità e i momenti nulli.

La somiglianza tra la trasformata wavelet e alcuni sistemi biologici di percezione uditiva e visiva ha indotto alcuni autori a proporre modelli basati sulle wavelets per l'elaborazione dell'informazione nei primi livelli di tali sistemi.

7. Il futuro delle wavelets.

La trasformata wavelet si è dimostrata un potente strumento di analisi e di sintesi, dotato di affascinanti e profonde proprietà matematiche. Una base di wavelets ha sicuramente le caratteristiche di una buona base: infatti fornisce una rappresentazione compatta del segnale in quanto, nel dominio trasformato, l'energia è concentrata su pochi coefficienti, il che è utile non solo per la compressione dei segnali, ma anche per l'analisi, poiché permette l'elaborazione di un minor numero di coefficienti. Inoltre ha le caratteristiche di semplicità computazionale richieste a una buona base. Come per le rappresentazioni di Fourier, esiste un algoritmo veloce (FWT) per il calcolo della trasformata.

Gli studi attuali sono rivolti a consolidare la teoria confrontandola con altri metodi per la localizzazione dell'informazione nel piano tempo-frequenza, per l'approssimazione di funzioni, per lo studio di singolarità e per l'analisi di sistemi non stazionari, non uniformi. Per confermare i vantaggi dei metodi basati sulle wavelets nella soluzione di problemi non lineari, occorrerà estendere lo studio ai sistemi multiscala con relazione non lineare tra le scale, all'approssimazione non lineare nella compressione dei dati, all'analisi di dati campionati su superfici non piane e griglie non regolari. Occorrerà capire e controllare i problemi di instabilità in alcune applicazioni basate sulla tecnica di lifting delle wavelets di seconda generazione. Parallelamente, sarà necessario sviluppare nuove architetture di processori dedicati all'esecuzione della trasformata nel modo più efficiente possibile, per l'analisi in tempo reale di segnali e per la compressione di immagini o di video.

Per tutte queste ragioni, è nostra convinzione che le wavelets ancora per parecchio tempo terranno vivo l'interesse degli studiosi di matematica, fisica, statistica, ingegneria, informatica e di scienze in generale.

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