Xenotrapianti

Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2007)

Xenotrapianti

Pascal Bucher
Leo H. Bühler
Philippe Morel

I primi trapianti in pazienti umani di tessuti e organi provenienti da animali sono stati sperimentati alla fine dell'Ottocento. Ciò accadde ancora prima che venissero tentati i trapianti clinici tra umani. Tuttavia, la ricerca medica negli anni successivi ha orientato la pratica della sostituzione di organi principalmente verso gli allotrapianti, i quali sono diventati, e sono di fatto rimasti per molti decenni, l'unico approccio accreditato dalla comunità scientifica. Purtroppo, negli ultimi tempi i trapianti tra umani hanno sofferto della cronica mancanza di organi disponibili, e ciò ha fortemente limitato lo sviluppo della ricerca nel campo degli allotrapianti, oltre a condizionarne l'utilizzo clinico e terapeutico. Per supplire a questa carenza sono state individuate alcune nuove fonti di organi e di cellule. Per esempio, sono state migliorate le tecniche di prelievo post mortem di tessuti da pazienti di cui sia stata accertata non solo la morte cerebrale ma anche quella cardiaca. Inoltre, sono state incrementate le possibilità di trapianto da donatori viventi e dai cosiddetti 'donatori marginali' (per es., gli ultrasessantenni) precedentemente considerati non adatti allo scopo. Tra le fonti alternative, si sta sperimentando l'uso di cellule staminali e di linee cellulari umane per produrre in vitro o in vivo i tessuti richiesti.

Gli xenotrapianti ‒ che vengono effettuati utilizzando organi e tessuti provenienti da animali appartenenti a specie diverse da quella del ricevente ‒ sembrano però essere una delle possibilità più promettenti. L'uso delle scimmie antropomorfe, pur vantaggioso per molti aspetti, presenta il problema dell'eccessiva somiglianza tra le specie, che renderebbe molto facile la trasmissione di malattie all'uomo. Per questo motivo, nonché per altre ragioni di carattere pratico (facilità di allevamento, rapidità di riproduzione e di crescita), il maiale è considerato l'animale più adatto per la donazione degli organi: il suo grado di somiglianza con l'uomo è sufficiente a consentire il trapianto ma minimizza il rischio di trasmissione di patologie.

Esistono comunque numerosi ostacoli che limitano il possibile uso degli organi suini per trapianti nei Primati. Si verificano infatti reazioni di rigetto estremamente rapide e potenti per cause immunologiche, ed esiste comunque il rischio di trasmissione di patologie suine all'organismo che riceve il trapianto. Ottenere dei maiali geneticamente modificati, capaci di minimizzare la risposta immunitaria, è stato un passo molto importante e nei test clinici effettuati i tessuti prelevati da suini così manipolati hanno fatto registrare un notevole incremento dei tempi di sopravvivenza successivi al trapianto, che sono arrivati fino a sei mesi. Permane tuttavia il rischio di infezione da parte dei virus suini, peraltro aumentato dal fatto che spesso la pratica del trapianto rende necessaria l'immunosoppressione del paziente, il quale si trova di conseguenza maggiormente esposto a infezioni di ogni tipo. Ciò rende ancor più pressante la necessità di cooperare a livello internazionale affinché i futuri test clinici siano realizzati rispettando criteri di sicurezza nonché etici.

Barriere immunologiche

Soprattutto per ragioni logistiche, il maiale è considerato l'animale più adatto per la donazione di organi. Gli organi suini trapiantati nell'uomo o in Primati non umani, in assenza di specifiche terapie, vengono rigettati in pochi minuti in maniera iperacuta grazie all'attivazione del complemento che è mediata dagli anticorpi. Il rigetto iperacuto è dovuto all'incompatibilità tra il donatore e il ricevente negli organi xenotrapiantati vascolarizzati, ed è caratterizzato dalla distruzione del parenchima e dei vasi del tessuto trapiantato immediatamente dopo la riperfusione, con estese emorragie e trombosi interstiziali. Questo rigetto è indotto dalla reazione degli anticorpi naturali contro gli antigeni del donatore.

Il principale antigene nel mirino degli anticorpi xenogenetici naturali dell'uomo è costituito dal residuo zuccherino galattosio-α1,3-galattosio (Gal), che è presente sulla superficie delle cellule dei Mammiferi inferiori e delle scimmie del Nuovo Mondo. La presenza di anticorpi naturali contro il Gal nell'uomo e nelle scimmie del Vecchio Mondo dipende dalla diversa evoluzione che ha avuto in queste specie la difesa immunitaria primaria contro i patogeni batterici. Le principali componenti coinvolte nel rigetto iperacuto sono rappresentate dagli anticorpi xenoreattivi, dal complemento e dalle cellule endoteliali. È stato dimostrato che la soppressione degli anticorpi xenoreattivi è in grado di prevenire il rigetto iperacuto, ma è anche noto che il complemento svolge un ruolo importante in questo processo, soprattutto attraverso l'attivazione normale da parte degli anticorpi xenoreattivi ma anche, in maniera diretta, senza legarsi a essi. Il rigetto iperacuto può quindi essere prevenuto mediante l'inattivazione del complemento, ottenuta utilizzando diversi agenti (come, per es., il cobra venom factor o il recettore-1 solubile del complemento stesso).

Tuttavia, la persistenza o il ritorno di anticorpi anti-Gal, e lo sviluppo di nuovi anticorpi anti-suino (non Gal indotti), provocano un fenomeno cui sono stati dati diversi nomi: rigetto vascolare acuto, rigetto ritardato del trapianto, oppure rigetto umorale acuto del trapianto. Il rigetto ritardato del trapianto rappresenta una forma iperacuta ritardata, in cui vengono attivate le cellule T e si ha la produzione di anticorpi specifici contro il tessuto trapiantato. Il rigetto cellulare, diverso da quello osservato negli allotrapianti, è un fenomeno che è relativamente raro riscontrare in forma isolata nei modelli di xenotrapianto: più spesso, esso è associato al rigetto umorale acuto. Tuttavia, la natura esatta del rigetto cellulare acuto o dei successivi rigetti cronici ‒ per esempio, patologie vascolari del tessuto trapiantato ‒ è ancora poco conosciuta.

Il donatore ideale

Il maiale è dunque la specie prescelta per la donazione, e questo in base a considerazioni relative alla selezione, all'allevamento, ai costi e all'etica. Sebbene si tratti di una specie immunologicamente discordante dall'uomo, le sue caratteristiche anatomiche, fisiologiche e biochimiche mostrano una certa compatibilità con esso. Al contrario, certe differenze fisiologiche e anatomiche, come la morfologia del cuore, la posizione del fegato e il pathway metabolico dei reni, possono costituire un problema. Nonostante le somiglianze biologiche, le xenoproteine potrebbero essere meno efficaci delle alloproteine. Infine, rispetto ai Primati non umani, i maiali possiedono un altro vantaggio: essi possono essere manipolati geneticamente con una certa facilità ed esprimere quindi geni estrinseci, permettendoci di eliminare così alcuni ostacoli relativi agli xenotrapianti.

Nei primi anni Novanta del XX sec. vennero sviluppati maiali transgenici, nei quali fu inserito il gene per lo Human decay accelerating factor (hDAF): i primi studi in cui essi furono impiegati come donatori per xenotrapianti in Primati non umani mostrarono significativi progressi nei tempi di sopravvivenza al trapianto. Infatti hDAF è un gene regolatore del complemento umano, che ne inibisce l'attivazione a contatto con organi xenotrapiantati e che protegge dunque dal rigetto iperacuto. Tuttavia, gli organi hDAF non hanno mostrato una sopravvivenza superiore a tre mesi, ed è stato dimostrato che quando vengono trapiantati in Primati con intensa immunosoppressione essi vengono comunque rigettati da meccanismi umorali. Più recentemente, è stato anche dimostrato che l'uso di organi di maiali transgenici nei quali è stato introdotto il gene CD46 per la produzione di una proteina di regolazione del complemento protegge gli organi trapiantati dal rigetto iperacuto in babbuini senza immunosoppressione.

Una nuova era: il maiale GT-KO

Nel 2003, la PPL Therapeutics e un gruppo di ricerca di Pittsburgh comunicarono la nascita del primo maiale omozigote GT-KO (α1,3-galattosil-trasferasi knock out), nel quale è stato disattivato il gene che esprime il principale xenoantigene riconosciuto dagli anticorpi naturali umani anti-Gal. Anche la Immerge Biotherapeutics aveva annunciato la produzione di maiali GT-KO e, in collaborazione con il gruppo del Massachusetts General Hospital, ha presentato i primi risultati in vivo del trapianto di cuore dai maiali GT-KO a babbuini immunosoppressi all'American Transplant Congress di Boston, nel maggio del 2004. L'immunosoppressione consisteva in una terapia di induzione con globuline anti-timociti umani, seguita da una terapia di mantenimento che combinava un (anti-CD154) umano, mofetil micofenolato e metilprednisolone. Per prevenire complicazioni trombotiche, veniva somministrata eparina in infusione continua, in combinazione con aspirina. La sopravvivenza media dell'organo trapiantato fu di circa 80 giorni, ma alcuni cuori arrivarono fino a 180 giorni, mostrando chiaramente che con i nuovi organi provenienti da maiali modificati si potevano ottenere notevoli progressi nei tempi di sopravvivenza. In diversi cuori xenotrapiantati si verificarono microangiopatie trombotiche; per giungere alla sopravvivenza di lungo periodo, dunque, occorre affrontare i disturbi della coagulazione. Grazie a ulteriori modifiche genetiche, questi problemi potrebbero trovare una soluzione e i risultati migliorare ulteriormente, tanto da consentirci di iniziare nuovi test clinici in un futuro prossimo.

Oggi vengono prodotti anche maiali eterozigoti GT-KO per α1,2-fucosilosil-trasferasi, allo scopo di ottenere animali omozigoti senza Gal che esprimano l'antigene umano. Questi maiali transgenici e knock out potrebbero eliminare il bisogno sia dell'espressione di hDAF sia della somministrazione di glicoconiugato solubile.

Incompatibilità fisiologiche

L'esistenza di un certo numero di incompatibilità molecolari tra maiale e uomo è nota. Le loro differenze biochimiche riguardano la viscosità del sangue, il metabolismo del fegato, gli enzimi e gli ormoni. Un problema di non facile soluzione, che l'ingegneria genetica potrebbe aiutare a risolvere, è l'incompatibilità tra i fattori di coagulazione: essa può infatti aumentare l'attività procoagulante del sangue nell'organo trapiantato, con conseguente trombosi.

Disturbi della coagulazione si osservano in modelli discordanti di xenotrapianti di organi e cellule, e sono dovuti alla differenza delle modalità emostatiche tra specie diverse. Mentre è dimostrato che i derivati dell'eparina, l'antitrombina III e l'inibitore della prostaciclina prevengono alcuni problemi legati all'incompatibilità della fisiologia della coagulazione e delle piastrine, serviranno ulteriori ricerche per identificare i fattori determinanti di questi processi, così da fronteggiare l'incompatibilità tra i pathway nel maiale e nell'uomo, prima di nuovi xenotrapianti clinici. L'esposizione del sangue umano a isole pancreatiche allogeniche genera una reazione infiammatoria che provoca l'attivazione della coagulazione, e tale fenomeno sembra amplificarsi nel trapianto di isole xenogeniche, come è stato dimostrato nel caso di isole cellulari suine. Tale infiammazione potrebbe essere inibita dall'eparina, dall'antitrombina umana ricombinante o dal solfato di destrano.

La sperimentazione

Dal primo tentativo di xenotrapianto clinico del 1894, che consistette nell'impianto sottocutaneo di parti di pancreas di pecora in pazienti diabetici, sono stati realizzati diversi progressi. Il primo test clinico di xenotrapianto cellulare è stato effettuato in Svezia nel 1994, trapiantando isole suine in 10 pazienti diabetici. Non si osservò alcun miglioramento nel fabbisogno di insulina del ricevente, ma fu dimostrata la sopravvivenza delle cellule xenotrapiantate nei pazienti con forte immunosoppressione. Nell'ultimo decennio, dopo aver osservato un'indipendenza dall'insulina di oltre nove mesi in un paziente diabetico che aveva ricevuto un trapianto di isola incapsulata, un nuovo approccio allo xenotrapianto cellulare ha destato l'interesse della comunità scientifica. Il caso, infatti, ha confermato che l'immunoisolamento della cellula può proteggere il trapianto dal rigetto, garantendone allo stesso tempo una soddisfacente funzionalità nel ricevente.

Attualmente sono in corso test clinici di cellule neurali xenotrapiantate. Essi consistono nell'impianto di cellule neurali suine dopamminergiche destinate al trattamento dei gangli neurali basali in pazienti affetti dal morbo di Parkinson. La corretta funzionalità dell'organo trapiantato e la riduzione del fabbisogno di farmaci nel ricevente, probabilmente legate alla protezione dal rigetto dovuta alla barriera sangue-cervello, sono incoraggianti. Alcuni dati, presentati al XIXth International Congress of the Transplantation Society tenutosi a Miami nel 2002, hanno invece sollevato scetticismo nella comunità scientifica. L'équipe di ricerca di David White e Rafael Valdes ha riferito di aver ottenuto l'indipendenza dall'insulina in un paziente e la riduzione del fabbisogno in altri cinque, dopo il trapianto, in dodici adolescenti non immunosoppressi, di isole suine combinate con cellule di Sertoli suine. Se da un lato tali risultati confermano la fattibilità di questo approccio, per confermarne la validità è necessaria un'ulteriore sperimentazione in modelli animali preclinici di grandi dimensioni.

Xenotrapianto cellulare

Sono allo studio diversi modelli di xenotrapianto cellulare, in particolare per lo xenotrapianto di isole pancreatiche. La scarsità di pancreas umani disponibili per trapianti di interi organi o di isole ha infatti spinto la ricerca verso fonti xenogeniche. Le isole di origine suina sono state giudicate le più adatte, analogamente a quanto è accaduto con l'insulina suina, impiegata con successo per decenni nei pazienti diabetici e molto simile all'insulina umana. Tuttavia, ottenere isole suine comporta ancora notevoli difficoltà, e questo è uno dei fattori determinanti per le future applicazioni cliniche. Secondo alcuni studi, le nuove preparazioni di collagenasi sono in grado di regolare l'attività della proteasi neutra, e ciò potrebbe migliorare sul piano quantitativo la produzione di isole suine.

In recenti esperimenti è emersa l'importanza del blocco costimolatorio nella prevenzione del rigetto di isole xenotrapiantate o, addirittura, nel favorire l'accettazione a lungo termine del trapianto. Con anticorpi monoclonali anti-CD154 o proteine di fusione CTLA4-Ig, isole xenogeniche discordanti trapiantate potrebbero sopravvivere a lungo: infatti, è stato dimostrato che eseguendo lo xenotrapianto discordante di isole in topi trattati con l'anticorpo anti-CD154 (MR1) la reazione del ricevente agli antigeni del donatore viene disattivata e il tessuto trapiantato può sopravvivere. Alcuni farmaci sviluppati recentemente, come FTY720 e l'everolimus, sono stati presi in considerazione per l'eventuale impiego nello xenotrapianto di isole. Infatti alcuni risultati hanno mostrato una sopravvivenza maggiore delle isole suine trapiantate in Primati non umani trattati con basiliximab, everolimus, FTY720 e anticorpo monoclonale anti-CD154: l'indipendenza dall'insulina, secondo tali studi, è superiore ai cento giorni senza patologie significative grazie all'azione comune del blocco costimolatorio e di farmaci di uso clinico.

L'immunoisolamento per mezzo dell'incapsulamento del tessuto trapiantato, un metodo per superare le barriere immunitarie che ostacolano lo xenotrapianto di isole, sembra interessante al fine dell'eliminazione dei rischi associati all'immunosoppressione di lungo periodo. Isole suine incapsulate in trapianti sottocutanei si sono rivelate efficaci nel correggere l'iperglicemia in Roditori non immunosoppressi. Tuttavia, se nella maggior parte delle ricerche si osserva una normalizzazione della glicemia nel breve periodo, la sopravvivenza a lungo termine delle cellule incapsulate è ancora difficoltosa a causa dello sviluppo di fibroblasti intorno alle capsule.

Il trapianto di epatociti sta progredendo rapidamente: in esperimenti recenti sono stati trapiantati epatociti suini nella milza di topi cirrotici senza immunosoppressione, ottenendo il ripristino delle funzioni del metabolismo e la sopravvivenza prolungata del ricevente. Tali risultati dimostrano che è possibile aiutare un fegato malato per mezzo di cellule xenogeniche, ma i protocolli devono essere verificati in modelli animali preclinici di grandi dimensioni.

Le xenozoonosi

Un notevole problema legato allo xenotrapianto è il rischio di trasmissione alla specie umana di patogeni derivati dagli animali. Le xenozoonosi sono uno dei principali argomenti di dissuasione dall'utilizzo dello xenotrapianto clinico umano. L'esempio della SARS (Severe acute respiratory syndrome) ha ricordato chiaramente il rischio di trasmissione di patogeni virali xenogenici all'uomo. La storia ha mostrato la portata di tale rischio nel 1918, quando il trasferimento di un virus dell'influenza dal maiale all'uomo causò la morte di milioni di persone in tutto il mondo. Il pericolo è inoltre ancora maggiore nel caso in cui il ricevente dello xenotrapianto sia immunosoppresso.

Fortunatamente, le tecniche convenzionali di derivazione e allevamento sono in grado di eliminare la maggior parte dei microrganismi zoonotici dalla specie donatrice. Tuttavia, non esistono ancora tecniche efficaci contro PERV (Porcine endogenous retrovirus), e l'infezione è stata documentata in alcuni casi in vitro. Ciononostante, nelle stesse condizioni in vitro non è stato possibile riprodurre la trasmissione virale all'uomo da cellule appartenenti a varietà selezionate di maiale nano, né è stata osservata in vivo la trasmissione di PERV all'uomo o a Primati non umani in seguito all'esposizione a tessuti suini vivi, per esempio nel caso di bioreattore epatico extracorporeo. Tali discrepanze tra i risultati in vitro e in vivo possono essere spiegate dalla presenza di un'immunità naturale contro PERV nell'uomo e/o nei primati: nel siero umano essa è stata in effetti recentemente dimostrata. Innanzitutto, si è osservato che il siero umano può inibire l'infettività di PERV nei confronti delle cellule umane in vitro. Inoltre, esso è in grado di promuovere l'inattivazione virale attraverso il pathway mediato dal complemento. Questa proprietà del siero umano è stata inibita dall'addizione di determinanti antigenici sintetici Gal, e quindi la presenza di Gal sulle particelle virali potrebbe avere un ruolo importante in tal senso.

Altri studi hanno confermato questo risultato, mostrando che il siero umano o l'anticorpo anti-Gal possono impedire l'infezione delle cellule umane da parte di PERV in vivo in topi con immunodeficienza grave combinata (SCID, Severe combined immunodeficiency). Ciò mette in evidenza il pericolo legato all'impiego di maiali GT-KO come donatori per xenotrapianti umani. L'uso di tessuto proveniente da tali animali, infatti, potrebbe essere correlato a un maggiore rischio di trasmissione di PERV. Nascendo dalle membrane cellulari, le particelle PERV incorporano parti delle stesse. Di conseguenza, le particelle PERV di maiali di tipo selvatico esprimono determinanti antigenici Gal e diventano così bersagli per anticorpi naturali, mentre ciò non avviene con le particelle PERV di maiali GT-KO.

Mentre è dimostrato che il citomegalovirus suino scompare nei piccoli di maiale se essi vengono svezzati precocemente, recentemente se ne è osservata l'associazione a lesioni dell'organo trapiantato in modelli di xenotrapianto da maiale a primate, e si è ipotizzato che esso potrebbe rappresentare un patogeno potenzialmente trasmissibile nei pazienti trapiantati immunosoppressi.

Etica e regolamentazione

Recentemente, a Città del Messico è stato intrapreso un test clinico sullo xenotrapianto di isole suine e cellule di Sertoli in pazienti diabetici. Tale test ha destato una certa inquietudine nella comunità scientifica in merito all'adeguata supervisione da parte di un'autorità nazionale di regolamentazione, e sperimentazioni precliniche su animali non sono state riportate in letteratura. Poiché diversi Paesi stanno effettuando o progettando xenotrapianti senza una specifica regolamentazione, c'è il rischio che degli 'xenoturisti' si rechino in questi Paesi per sottoporsi liberamente a tali pratiche, e che essi tornino poi a casa senza alcun controllo, con il pericolo di sviluppare o diffondere nuove malattie.

Il Comitato Etico dell'International Xenotransplantation Association, una sezione dell'International Transplantation Society, ha stabilito alcune linee guida per i nuovi test clinici sugli xenotrapianti. Come ha sottolineato il comitato stesso, è necessaria la cooperazione internazionale allo scopo di concordare procedure comuni di supervisione e standard che regolino l'uso di donatori animali e controllino i riceventi di xenotrapianto. Questi sono alcuni dei punti suggeriti dall'International Xenotransplantation Association: (a) i test clinici di xenotrapianto devono essere effettuati sotto la supervisione di un ente nazionale governativo di regolamentazione; (b) essi devono essere svolti con il consenso e la supervisione di un comitato istituzionale, a garanzia della condotta etica della ricerca umana e del trattamento etico e rispettoso dei diritti degli animali; (c) nei test devono essere impiegati solo animali ospitati in colonie chiuse, da cui siano assenti agenti patogeni conosciuti e potenziali; (d) devono sussistere dati preclinici tali da giustificare il test clinico, prendendo in considerazione il rischio che esso comporta per i soggetti che partecipano alla ricerca e per la società.

Nel gennaio 2004, il Consiglio Esecutivo dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato la bozza di risoluzione EB113.R5 riguardante il "trapianto di organi e tessuti nell'uomo", che contiene le linee guida relative a xenotrapianti e che è stata successivamente accettata da tutti gli stati membri. Essa sollecita a seguire linee guida specifiche, come per esempio l'autorizzazione allo xenotrapianto solo in presenza di un efficace controllo normativo e di vigilanza da parte delle autorità sanitarie nazionali, l'individuazione di misure protettive rispetto al rischio di trasmissione secondaria di patogeni xenogenici che potrebbero aver infettato i riceventi, e la collaborazione internazionale finalizzata alla prevenzione e al controllo delle infezioni dovute a xenotrapianti. In virtù del suo ruolo internazionale, l'OMS potrebbe promuovere un'iniziativa comune per definire le linee guida in collaborazione con l'International Xenotransplantation Association o la creazione di un registro internazionale dei soggetti che hanno ricevuto uno xenotrapianto per raccogliere e interpretare i risultati di tutti i test clinici. Nei test, i riceventi e le persone a stretto contatto con essi dovrebbero essere controllati per un lungo periodo; infine, è necessario creare un deposito nazionale di raccolta di campioni provenienti dal maiale donatore e dall'individuo ricevente per il controllo e la conservazione.

Per quanto riguarda la percezione sociale dello xenotrapianto, una ricerca svedese condotta su un campione della popolazione generale e dei pazienti in attesa di trapianto di rene ha rivelato che il trapianto di cellule è ritenuto preferibile rispetto al trapianto di organo da entrambi i gruppi. Tuttavia, circa l'80% per cento della popolazione e il 90% dei pazienti erano favorevoli alla prosecuzione della ricerca nel campo dello xenotrapianto. Recentemente, una ricerca italiana realizzata tra gli studenti universitari ha mostrato che il 78% di loro è favorevole alla possibilità di xenotrapianto umano. La collaborazione internazionale per mettere a punto le necessarie linee guida diventa dunque indispensabile per evitare abusi e salvaguardare la sicurezza dei pazienti, nonché per coordinare gli studi futuri dal punto di vista sanitario, clinico ed etico.

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