Yiddish

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Lingua degli Ebrei ashkenaziti, nata intorno al 10° sec., quando Ebrei provenienti dalla Francia e dall’Italia settentrionale si stabilirono in Renania. Il termine deriva dal ted. jiddish, alterazione dell’aggettivo jüdisch «giudeo». Si diffuse in vaste aree dell’Europa centrale e orientale. Prima della Seconda guerra mondiale, era parlato in Europa, negli USA, nell’America Meridionale, da una popolazione di circa 11 milioni di individui. In seguito alla Shoah e poi all’assimilazione, sia volontaria (in Israele o negli USA), sia forzata (come è stata in URSS), lo y. è minacciato di estinzione.

Origini e caratteristiche

La lingua y. adopera nella scrittura i caratteri ebraici, conformandosi all’uso semitico (omissione delle vocali), per le molte parole derivate dall’ebraico e dall’aramaico, mentre adotta con poche eccezioni un sistema fonetico di modello europeo (con indicazione di consonanti e di vocali) per gran parte dei termini acquisiti dalle parlate dei diversi paesi di residenza. Lingua di fusione (shmeltssprakh), lo y. nel corso della sua evoluzione ha assimilato e trasformato in modo originale elementi germanici, ebraico-aramaici, slavi, romanzi. In passato lo si ritenne una filiazione diretta del Mittelhochdeutsch (medio-alto tedesco), di cui avrebbe conservato anche strutture morfologiche e sintattiche; studi successivi hanno indicato delle affinità con vari dialetti tedeschi medievali. È posteriore e controversa la teoria secondo cui lo y. deriverebbe da una base slava (giudeo-serba), che avrebbe costituito il tramite per lo sviluppo dell’ebraico moderno. Alla metà del 13° sec., quando gli Ebrei di area tedesca in seguito alle persecuzioni cominciarono a spostarsi verso Est, lo y. iniziò ad acquisire caratteristiche proprie arricchendosi di termini e forme sintattiche mediate dalle parlate slave.

Il primo documento in y. ritrovato è una benedizione che compare all’interno del Maḥsōr («Libro di preghiere») di Worms, e risale probabilmente al 1275, anche se è nota l’esistenza di glosse in y. risalenti al 1040 circa. Nella periodizzazione generalmente accettata, questa fase, detta dello y. antico, termina nel Cinquecento; la produzione di tale periodo era prevalentemente dedicata alla pubblicazione di concordanze bibliche, glossari e traduzioni di parti della Bibbia a cui, a partire dal 16° sec., si affiancarono poemi epici e racconti in prosa (mayses) di contenuto biblico, poemi storici e cavallereschi. Il primo libro a stampa conosciuto, pubblicato a Cracovia, risale al 1534, anche se il centro della stampa in y. era l’Italia settentrionale (Padova, Cremona, Mantova, Verona), paese di elezione di Elia Levita (15°-16° sec.), autore delle prime opere in y. a carattere secolare. Alla fine del Seicento si sviluppò anche il teatro y., che ha le sue probabili origini nella tradizione orale del Purimspil, una sorta di rappresentazione carnevalesca. Secondo una delle prospettive di studio più accreditate lo y. rappresenterebbe il simbolo della volontà degli Ebrei di dividersi dal circostante mondo cristiano (necessità dettata dall’esigenza di mantenere le proprie tradizioni) ma, allo stesso tempo, di intrecciare con questo mondo una fitta rete di scambi, a livello commerciale e culturale.

Lo y. si caratterizzò come punto di passaggio, ma non di fusione, fra due culture, ebraica e cristiana; lo studio di questa lingua andrebbe inserito in una prospettiva comparativistica all’interno della linguistica generale. Risulterebbe riduttivo limitare lo y. a una lingua degli strati meno colti, elevando l’ebraico al livello alto della comunicazione; è infatti ben più complessa e dinamica la relazione fra i due mezzi espressivi. Tuttavia la relazione y.-ebraico rispecchierebbe il rapporto fra i vernacoli europei medievali e il latino. Diffusosi in epoca moderna è invece lo stereotipo che considera lo y. mame-loshn («lingua della mamma»), in netta contrapposizione al loshn-koydesh («lingua sacra»), l’ebraico. Lo y. restò comunque una lingua prevalentemente parlata dagli strati meno colti della popolazione e dalle donne; tale carattere di lingua materna e femminile è stato messo in risalto e rivalutato come una delle peculiarità più salienti dell’espressione letteraria moderna in yiddish.

A partire dalla seconda metà del 18° sec., si iniziò a combattere l’uso dello y., considerato disprezzabile jargon, simbolo dell’asservimento culturale e politico, a favore della completa assimilazione linguistica. L’effetto prodotto fu il declinare del cosiddetto y. occidentale nei paesi di area tedesca, mentre nell’Europa dell’Est la lingua si diffuse paradossalmente anche grazie agli scrittori illuministi, che avevano riconosciuto nello y. l’unico mezzo linguistico con cui avvicinarsi alle masse. Quasi contemporanea (18° sec.) è la nascita del ḥasidismo (➔), che dalla Polonia raggiunse l’Austria-Ungheria, la Russia, la Lituania e le regioni limitrofe. Capolavori della letteratura hasidica sono i racconti mistici di Nachman di Breslavia (18°-19° sec.), apparsi postumi (1815) in una versione bilingue y.-ebraico.

Cultura y. del Novecento

La dialettica fra Illuminismo e ḥasidismo fu arricchita, alla fine dell’Ottocento, da quella che vide opposti da una parte il partito Bund, il grande movimento operaio ebraico (sorto a Vilnius nel 1897) che considerava lo y. propria lingua nazionale (oltre a postulare il riscatto sociale e politico delle masse ebraiche), e dall’altra il nascente sionismo che riteneva lo y. simbolo dell’asservimento della Diaspora. In questo periodo però, pur partendo da posizioni illuministe, scrittori come Mendelè Mōkēr Sĕfarīm, I.L. Peretz e S. Aleichem nel volgere di pochi decenni resero lo y. un linguaggio letterario compiuto e raffinato. Dopo di loro lo y. espresse una letteratura moderna a livello europeo, pur rimanendo viva l’idea che questa lingua rappresentasse un linguaggio corrotto, simbolo della degenerazione di un popolo privato di dignità nazionale.

Nel 1908, alla conferenza di Czernowitz, si fronteggiarono i sostenitori dello y. e quelli dell’ebraico, che riconobbero lo y. come una delle lingue del popolo ebraico. Nel 1920, a Vilnius, il teatro Vilner Trupe («la Compagnia di Vilnius») mise in scena la maggiore opera teatrale y.: Der Dybbuk di S. An-Sky. Nel periodo fra le due guerre, New York e Varsavia costituirono i maggiori centri letterari; in Polonia in particolare si sviluppò un’importante letteratura ebraica trilingue (in y., ebraico e polacco) e una ricchissima stampa periodica che arrivò a contare fino a 150 testate. Le differenze dialettali, la dispersione in un’area geografica estremamente vasta e, soprattutto, la mancanza di un sistema amministrativo e scolastico unificato, rallentarono il formarsi di una lingua unica, che venne codificata solo alla fine degli anni 1930. In URSS, dopo la rivoluzione, si elaborò una variante che espelleva qualsiasi forma semitica, quindi legata alla cultura tradizionale, per introdurre importanti modifiche grafiche. Nonostante l’esperimento (del resto destinato a un fallimento totale) della creazione, nel 1929, della Regione Autonoma Ebraica del Birobidžan, che postulava l’uso dello y. come lingua ufficiale, il patrimonio culturale y. sovietico subì un rilevantissimo ridimensionamento. I maggiori scrittori y. sovietici, fra cui D. Bergelson, D. Hofsteyn, L. Kvitko, P. Markish, I. Fefer, vennero tutti fucilati nel 1952; D. Nister era morto in carcere due anni prima.

Durante il periodo della Shoah, si sviluppò una straordinaria letteratura e memorialistica in yiddish. Nella Varsavia occupata dai nazisti lo storico E. Ringelblum riunì importanti documenti storici e letterari in un archivio clandestino che porta il suo nome. Dello stesso periodo sono gli scrittori I. Katzenelson, autore di Dos lid funm oysgeharg’etn yidishn folk (1943-44; trad. it. parziale 1966; completa Il canto del popolo ebraico massacrato, 1995), A. Sutzkever e numerosi altri che hanno prodotto, in condizioni estreme, opere di grande drammaticità.

Negli anni 1940 lo y. venne introdotto per la prima volta come materia di studio in alcune università statunitensi; nel 1952 fu inaugurata la cattedra di y. all’Università di Gerusalemme e in Europa vennero elaborate le prime grammatiche in questa lingua. La consacrazione ufficiale dello y. come espressione culturale è avvenuta solo nel 1978, con l’assegnazione del Nobel a I.B. Singer (➔). Tra gli altri autori si ricordano i poeti J. Glatshteyn e I. Manger, i romanzieri S. Ash, I.J. Singer, C. Grade e il drammaturgo H. Leivick, autore del poema drammatico Der Goylem (1925), ispirato alla leggenda del Golem.

Si calcola che lo y. sia parlato, almeno come seconda lingua, da circa due milioni di persone, ma si ritiene che sia un numero destinato a diminuire. Nonostante le iniziative ufficiali a favore della tutela di questa lingua (UNESCO, Consiglio d’Europa), sono numerose le riviste letterarie che hanno cessato la pubblicazione. Centri di ricerca, in Israele, negli USA e in Europa (Oxford, Parigi e Treviri), oltre a tutelare la produzione passata, hanno formato traduttori e nuovi scrittori in yiddish. In Italia alcune cattedre universitarie hanno ospitato e organizzato seminari di y., e notevole è l’attività di promozione compiuta in ambito teatrale da M. Ovadia e dalla sua Theaterorchestra. Lo y. continua inoltre a mantenere un ruolo esclusivo per l’identità religiosa e la trasmissione culturale in ambienti di tradizionalismo rigoroso di origine ashkenazita in Israele, negli USA e nei Paesi dell’ex URSS.

Musica

Per musica y. si intende lo stile musicale praticato dai musicisti ebrei dell’Europa centro-orientale; contiene elementi del folclore tedesco, polacco, ungherese, rumeno, ai quali si uniscono antiche formule di canto e preghiera ebraiche, una base tonale che mescola modi antichi ebraici, modi medievali europei, modi arabi, acquistando un sapore del tutto nuovo. In particolare, è detta klezmer (➔) la musica per piccole bande destinata soprattutto alle danze e alle feste, ma anche a momenti più rituali (matrimoni ecc).

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