CONTARINI, Zaccaria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 28 (1983)

CONTARINI, Zaccaria

Giuseppe Gullino

Nacque a Venezia nel 1452 da Francesco di Nicolò e da Contarina Contarinì di Giovanni. Il padre, giureconsulto e letterato apparteneva al ramo della famiglia detto "dagli Scrigni", che possedeva vaste proprietà fondiarie nel Padovano, ed in particolare a Piazzola. Dopo aver studiato a Padova nel 1475 il C. sposò Alba DonA di Antonio "dalle Rose", che gli portò in dote 5.000 ducati, costituiti da un gruppo di case nel sestiere di Sah Polo. Le ricchezze familiari e la sua cultura decisero della sua vita, che fu totalmente assorbita dalla attività diplomatica, nella quale giunse a ricoprire le massime cariche dello Stato e a sostenere numerose ambascerie all'estero. Non ancora quarantenne aveva già varcato Oe volte i confini della Repubblica, sia pure per missioni limitate ad un ambito di pura rappresentanza: nel 1490, infatti, era stato ambasciatore a Mantova, in occasione del matrimonio del marchese Francesco Gonzaga con Isabella d'Este e nel '91 aveva ricoperto analogo incarico presso Ercole d'Este, in occasione delle nozze di Beatrice d'Este con Ludovico il Moro.

Ben diverso respiro rivestì la sua terza missione, alla quale fu eletto nel maggio del 1492, assieme a Francesco Cappello: ancora una volta si trattava di rappresentare la Signoria ad un matrimonio, ma adesso erano nozze regali, quelle cioè di Carlo VIII con Anna di Bretagna.

Si sapeva ben poco dei ventiduenne sovrano e delle direttrici che avrebbe impresso alla sua politica; si parlava, è vero, di un suo interesse per il Napoletano, si ventilava anche l'ipotesi di un intervento nel Sud della penisola, ma erano voci ancora allo stato embrionale, prive di riscontro: compito dei due inviati era dunque di penetrare le intenzioni del re, di valutarne la personalità, e gli umori. Il viaggio durò poco più di un mese, ed il colloquio decisivo con Carlo avvenne l'8 luglio: l'impressione fu tutt'altro che positiva, come traspare dal giudizio che il C. fornì nella relazione da lui letta in Senato nel settembre 1492. Il re gli appare di sgradevole persona, "tardus in locutione", e persino quelli che potrebbero essere pregi, a ben vedere non sono che difetti: "... io tengo per fermo quod de corpore et ingonio parum valeat, tamen è laudato da tutti in Parigi per gagliardissimo a giocar alla palla, in caccia e alla giostra, nei quali esercizi vel bene vel male mette e distribuisce tempo assai". Non diverso il giudizio sulla regina: una fanciulla di soli diciassette anni e zoppa, benché "per l'età sua astutissima, di sorte che quello che si mette in animo, o con risi o con pianti, omnino lo vuole ottenere. È gelosa, e avida della maestà dei re oltramodo, tanto che da poi che è sua moglie ha preterito pochissime notti che non abbia dormito con sua maestà, ed in questo ha anche fatto buona operazione rispetto che la si trova gravida in mesi otto". Due giovani, insomma, sostanzialmente immaturi, che certo non potevano apportare novità di rilievo sulla scena della politica internazionale, tanto più che il sovrano era gravemente minacciato da "tre potentissime inimicizie", con l'Impero, la Spagna e l'Inghilterra: "le quali differenze - così concludeva il C. - né io né alcuno con chi ho parlato vedono modo di assestarle salvo con grandissimo pregiudizio di questo re".

Si ingannava, come sappiamo; del resto, la spedizione italiana del '94 colse di sorpresa quasi tutte le corti della penisola. Per il momento, quindi, il rassicurante giudizio fornito dalla relazione fu bene accolto a Venezia, e questo valse al C. la fiducia della Signoria, che l'anno seguente lo inviò nuovamente in missione presso Ludovico il Moro, per rafforzare l'alleanza della lega italiana, e poi dal re dei Romani, assieme a Girolamo Lion.

Si trattava di un'ambasceria straordinaria, formalmente motivata dalle imminenti nozze del sovrano con Bianca Maria Sforza; in pratica, però, le commissioni. che vennero impartite ai due inviati il 12 nov. 1493, affidavano loro il compito di appianare talune divergenze territoriali e di sondare le intenzioni di Massimiliano verso il comune pericolo turco, che minacciava da vicino il regno d'Ungheria ed i possedimenti veneziani in Dalmazia e nel Friuli. Entrambi i problemi vennero affrontati, ed apparentemente avviati a soluzione, nel gennaio 1494: riguardo al primo, il re propose di affidare ad una commissione mista l'arbitrato delle contestazioni che Nrrequieta nobiltà croata e friulana andava suscitando tra i suoi domini e quelli della Repubblica; quanto al secondo, il colloquio decisivo si verificò qualche giorno più tardi: l'importanza dell'incontro venne debitamente sottolineata dall'ora inusitata della convocazione (avvenuta in piena notte), dalla segretezza (Massimiliano li ricevette nelle sue stanze, alla sola presenza dei servitori), dalla franchezza del linguaggio tenuto; fatto spiegare un gran mappamondo, il sovrano entrò subito nel vivo dei discorso: "Io ho doy modi - disse - ad offender questo diavol incarnato del Turco, el primo è: cum potentissimo exercito andar per la Hongaria a Belgrado..., e poi per la Valachia minor, et mazor, andar a trovarlo dove el fusse", ma la difficoltà dei progetto consisteva nell'assicurare i rifornimenti alle truppe, in un paese sterile, per cui "convegnaressimo abbandonar nel inverno quello havessimo acquistado l'istade"; l'alternativa poteva dunque consistere nel limitare le operazioni terrestri alla sola invasione della Bosnia e, nel contempo, impegnare a sud il nemico, con l'occupazione delle coste albanesi; ma per far questo occorreva una grossa flotta, quale soltanto "la volontà de tutj li altri christiani" avrebbe potuto allestire: in sostanza, l'imperatore subordinava la partecipazione alla lotta contro gli Ottomani alla costituzione di una lega che comprendesse, oltre a Venezia, il papa, Napoli, la Spagna, e si attestava su una posizione interlocutoria e dilatoria. Era esattamente quello che Venezia voleva sentire: riluttante, come sempre. alla guerra, essa intendeva procurarsi delle carte da giocare in funzione antiturca, ma se legarsi le mani; da questo punto di vista, i dispacci dei due ambasciatori si rivelarono perfettamente in sintonia con gli umori dell'Assemblea cui erano rivolti: dietro l'apparente oggettività della narrazione, possiamo cogliere infatti un senso di compiaciuta rinuncia a forzare la situazione, a giungere a delle conclusioni, e questo ci fa maggiormente rimpiangere la mancanza della relazione, che dell'ambasceda avrebbe potuto fornire una sintesi più esplicita.

La permanenza in patria del C. fu di breve durata, giacché la spedizione italiana di Carlo VIII sconvolse l'equilibrio politico della penisola e fece passare in secondo piano l'impegno contro il Turco: un anno dopo il ritorno a Venezia, egli dovette ripartire per la Germania, assieme a Benedetto Trevisan, per ratificare la lega conclusa con il pontefice, il re cattolico e Ludovico il Moro. La missione ebbe inizio il 4 maggio 1495 e si concluse positivamente qualche mese più tardi, dopo che l'esercito francese era stato sconfitto a Fornovo: il gradimento dell'imperatore si tradusse nel conferimento al C. delle insegne di cavaliere, quello della Signoria nella licenza di rimpatrio, che venne accordata il 13 novembre; senonché da Nordiingen partì il solo Trevisan, mentre al C. veniva notificata un'ulteriore commissione presso Massimiliano, il cui arrivo in Italia era sollecitato da più partì.

La restaurazione sul trono napoletano di Ferdinando II comportava una serie di problemi e risvegliava gli appetiti delle potenze, mentre la nobiltà locale voleva farsi arbitra della situazione; nel timore di un altro intervento francese, nel gennaio del '96 l'ambasciatore pontificio invitava formalmente l'imperatore ad avvicinarsi "ad limites Italiae". A quest'ultima soluzione parve aderire anche Venezia, giacché la presenza francese nel Mezzogiorno avrebbe potuto compromettere il possesso dei porti pugliesi che, proprio allora, essa si era assicurata; nel maggio 1496 l'eccitazione giunse al massimo e le discussioni in Senato - come testimonia il Sanuto, coi suo colorito linguaggio - si fecero serrate, "perché le cosse di ogni banda boglivano. Et di la venuta de' franzesi, hora se intendeva venivano, hora no, siché era quasi febre terzana. Fo divulgato tal deliberatione di far vegnir Maximiano in Italia...". Il C., però, riferiva da Landsberg che le Comunità svizzere, incuranti della minacciata scomunica pontificia, si erano pronunciate per il re di Francia e che l'imperatore era sì disposto a scendere in Italia, per farsi incoronare a Roma, ma che per questo gli era necessario un consistente aiuto finanziario, sicché chiedeva 30.000 ducati a Venezia ed altrettanti a Milano. Il denaro gli venne consegnato tramite il podestà di Rovereto, e Massimiliano si avvicinò alle Alpi; giunto a Innsbruck, però, alzò il prezzo: adesso voleva dalla Repubblica altri 30.000 ducati, a titolo di prestito, per convincere anche i suoi nobili a seguirlo. Ovviamente il C. cercò di rimuoverlo da un proposito che indovinava sgradito ai Pregadi, ma la sua azione risultò sterile. In un dispaccio del 27 giugno non gli restava che render conto dei propri sforzi, dei tentativi posti in atto "cum quelle ample raxon et justificationi se po addurre a questo proposito... Sua Maestà mi rispose: Domine orator, nuy approbamo et appreciamo tuto quello ci dite, tamen vi pregamo che a satisfattione nostra scriviate tuto questo discorso vi habiamo fatto compiutamente alla Ill.ma Signoria. Et cussì gli promisi...".

Posto di fronte a tanta determinazione, il Senato non osò opporre un netto rifiuto, ma almeno chiese delle garanzie: in pegno dei 30.000 ducati, l'imperatore avrebbe potuto fornire "qualche sua terra, maxime Trieste e Pordenon ch'è vicino al Friul, in mezzo di le terre nostre". Spettò tuttavia al successore Francesco Foscari continuare la spinosa trattativa, ed il 12 luglio 1496 il C. poteva presentarsi in Senato, a render conto di quattordici mesi di missione.

A Venezia poté godere di tre anni di relativa tranquillità, nei quali la sua azione politica fu limitata alla normale attività in Senato o a funzioni di carattere puramente rappresentativo presso l'ambasciatore cesareo Girolamo Vento o il condottiero Soncino Benzoni; ebbe modo, pertanto, di dedicarsi con maggior attenzione ai suoi dieci figli e all'amministrazione dei beni, ai quali aggiunse, nel '98, uno splendido palazzo sul Canal Grande, a S. Trovaso, che da allora costituì l'abitatone della famiglia. Il 9 giugno 1499 era provveditore sopra l'Esazion del danaro, quando fu eletto podestà e capitano a Rovigo; il Polesine era venuto a far parte dei domini della Serenissima solo da pochi anni, ma nel.reggimento il C. non incontrò particolari difficoltà: la relazione infatti, letta in Senato il 19 sett. 1500, tocca solo questioni di ordinaria amministrazione, quali il funzionamento della Camera fiscale e le opere di arginamento dei fiumi. Eletto oratore in Ungheria il 16 dicembre di quello stesso anno, riuscì ad evitare la nomina, ricordando le numerose legazioni già sostenute, ma qualche mese più tardi non poté sottrarsi alla sua terza missione presso l'imperatore, stavolta in qualità di ambasciatore ordinario.

L'incarico lo tenne lontano da Venezia dall'agosto 1501 al gennaio 1503: suo compito era quello di assicurare alla Repubblica l'appoggio di Massimiliano contro il Turco e il Valentino. Alla prima richiesta l'imperatore rispose positivamente, ma alla seconda non riservò buona accoglienza, e quando, nel novembre 1502, l'ambasciatore gli propose di mettersi a capo di una lega contro il Borgia, egli così rispose, secondo quanto riferisce il Sanuto: "Non audeo, e dè di la man su la spalla di esso orator nostro dicendo: Oportet, quod isti incipiant". A questo punto, la missione dei C. era conclusa, e tornò a Venezia, accolto "con gran laude de tutti".

Savio di Terraferma dall'ottobre 1503 al marzo 1504, fu confermato in tale carica nei due anni successivi, e tra l'ottobre 1505 ed il settembre 1507 fece parte dei Consiglio dei dieci; nel frattempo i rapporti con Massimiliano si erano deteriorati e, dopo la vittoriosa campagna veneziana della primavera del 1505, toccò ancora una volta al C. recarsi a Trento per stipulare la tregua. Terminata la breve legazione, nell'agosto egli partì per Cremona, dov'era stato eletto capitano, e qui, nel dicembre, il Caroldo gli scriveva che a Cambrai si era stipulata un'alleanza tra Luigi XII, Massimilianoil re d'Aragona, il papa, i quali "hanno etiam convenuto, che niun de lhoro debia nominar né acceptar venitiani per confederati".

Gli avvenimenti precipitarono, ed i dispacci che il C. inviò alla Signoria dal suo osservatorio cremonese, punta avanzata del dispositivo militare veneziano in Terraferma, ci .permettono di seguire da vicino le vicende della drammatica primavera del 1509: dapprima le voci che annunciavano l'arrivo in Italia del re di Francia, poi le manovre militari, il febbrile allestimento delle fortificazioni, il concentrarsi, infine, a Parma e Piacenza delle temute fanterie guasconi.

Venne il 14 maggio, e ad Agnadello la potenza veneziana crollò nello spazio di poche ore; il C. si rinchiuse nel castello di Cremona, deciso a resistere, ma il tradimento delle truppe lombarde ne provocò la consegna ai Francesi. Fu portato a Afilano, e poi in Francia, presso Parigi. Invano l'imperatore, che verso il C. manifestò costantemente stima ed amicizia, cercò di ottenerne la consegna, ed ugualmente inutili si dimostrarono i tentativi posti in atto dai figli per liberarlo, dietro pagamento di riscatto o mediante uno scambio di prigionieri: nel dicembre 1509 il C. li rassicurava delle sue condizioni; stava bene, era trattato "et tuto ci despiazer che io ho, è che io dubito de vostra madre e de tutti vui più che de mi". La prigionia durò quasi quattro anni; poi, quando ormai la liberazione pareva imminente, si ammalò.

Annota il Sanuto, l'11 aprile 1513, che certamente era giunta la notizia della sua morte, "perché a caxa sua tutti pianzevano".

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arbori de' patritii..., II, p. 454; Venezia, Civ. Museo Correr. Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti..., c. 181rv; per la dote della moglie, Ibid., Mss. P. D. C. 2650/4, c. 113r; Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. It., cl. VII, 15 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, I, cc. 289v, 301v. Per i dispacci delle ambascerie in Germania del 1493-94 e del 1501-02, Ibid., Mss. It., cl. VII, 1044 (= 9608), cc. 88r-121v; Mss. It., cl. VII, 990 (= 9582): Zaccaria Contarini, dispacci al Senato;su quest'ultima ambasceria cfr. anche, all'Archivio di Stato di Venezia, Lettere di ambasciatori ai capi del Consiglio dei dieci, b. 12, nn. 1-5. Sulla prigionia in Francia, nel castello dell'ammiraglio di Boissy, Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 1933 (= 9059): Documenti e lettere della fam. Contarini;per il testamento e la sepoltura a Parigi, Venezia, Civ. Museo Correr, Mss. Gradenigo 300/XX, c. 26rv. Sulle ambascerie del 1492 e del 1496, cfr. rispettivamente: Le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato..., a cura di E. Alberi, s. 1, IV, Firenze 1860, pp. 3-26; Dispacci al Sonato veneto di Francesco Foscari e di altri oratori all'imp. Massimiliano I nel 1496, in Arch. stor. ital., VII (1844), 2, pp. 725-730, 733-746. Sull'attività polit. dei C. cfr. inoltre: Calendar of State Papers.. relating to English afflairs... existing in the archives... of Venice.... a cura di R. Brown, I, London 1864, pp. 219-245, 340; M. Sanuto, Diarii, I-XI, XIV-XVI, Venezia 1879-1886, ad Indices; P. Bembo, Rerum Venetarum historiae, in Degl'istorici delle cose veneziane..., II, Venezia 1718, pp. 252, 255, 301; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Venez., Venezia 1842-1853, V, pp. 306 ss., 314, 404; VI, p. 629; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, a cura di L. Firpo, I (Germania 1506-1554), Torino 1970, pp. II-III, V, VII; V (Francia 1492-1600), ibid. 1978, pp. IV-V.

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