Zenone di Cizio

Enciclopedia Dantesca (1970)

Zenone (Zeno) di Cizio

Giorgio Stabile

Filosofo greco, nato a Cizio (Cipro) nel 336-335 e morto nel 264-263 a.C.; figlio di mercanti, venne ad Atene dove fu alunno del cinico Cratete, dei megarici Stilpone e Diodoro e degli accademici Senocrate e Polemone. Verso il 300 diede vita a una propria scuola che, per aver sede nel portico di Atene dipinto da Polignoto (detto perciò Stoà poikíle) prese il nome di " Stoa ", " Portico " o " Stoicismo ".

A Z. si fanno perciò risalire le fondamentali dottrine dello stoicismo (per cui v. STOICI; STOICISMO) poi sviluppate dal discepolo e successore Cleante e recate a compiutezza e sistemazione definitiva dal terzo scolarca Crisippo (v.). Di Z. ci rimangono pochi frammenti e un cospicuo elenco di scritti; dalla testimonianza delle Vitae philosophorum di Diogene Laerzio che dedicò un lungo capitolo a Z. (VII I 1-160), sappiamo che il filosofo morì, secondo alcuni, consunto dalla vecchiaia e, secondo altri, suicida.

Di Z., contrariamente a molti altri filosofi greci, D. fa più volte menzione. Anzitutto lo ricorda come iniziatore e capo degli Stoici: Furono dunque filosofi molto antichi, de li quali primo e prencipe fu Zenone (Cv IV VI 9). Dopo aver esposto la morale stoica, di cui poneva in risalto i tratti rigoristici quali l'atarassia, l'apatia e la ricerca della virtù fuori di ogni utilità, D. concludeva: E costoro e la loro setta chiamati furono Stoici, e fu di loro quello glorioso Catone (§ 10).

Un semplice cenno preteritivo è invece in XXII 4 Lasciando dunque stare l'oppinione che di quello [cioè del fine della felicità] ebbe Epicuro filosofo, e di quello ebbe Zenone, venire intendo... a la verace oppinione d'Aristotile e de li altri Peripatetici, dove l'accostamento con Epicuro e Aristotele indica che, sotto il nome di Z., D. intende indicare l'intera setta degli Stoici.

Di maggiore rilievo è un terzo passo, in cui D. pone Z. accanto a Socrate e a Seneca, quali esempi di suprema dedizione alla Sapienza, a cui non disdegnarono di sacrificare volontariamente la vita: troviamo li altri che per questi pensieri la loro vita disprezzaro, sì come Zeno, Socrate, Seneca, e molti altri (Cv III XIV 8).

Tale cenno alla morte volontaria di Z., ha fatto a molti ritenere che qui D. intendesse riferirsi a Z. di Elea, filosofo presocratico vissuto nel V sec. a.C. - che la tradizione ricorda morto tra le torture per aver osato opporsi, in nome della libertà di Elea, al tiranno Nearco (cfr. Cic. Nat. deor. III XXXIII 82, Tusc. II XXII 52; Diog. Laerzio IX 5; Valerio Mass. III III 3) - o comunque che D. riferisse erroneamente a Z. di Cizio un episodio della vita di Z. di Elea (v. per questo T. Bottagisio, Il limbo dantesco, Padova 1898, 380-385; P. Renucci, D. disciple et juge du mond gréco-latin, Parigi 1954, 394 e 176, 265-266, 378, 380; F. Mazzoni, Il canto IV dell'" Inferno ", in " Studi d. " XLII [1965] 193-194).

In realtà tra i due Z. non mancano confusioni e contaminazioni nella dossografia medievale. È il caso, tra gli altri, del testo di Boezio di Cons. phil. I III 9, che forse è all'origine dello stesso passo dantesco. Parlando del " certamen " tra " sapientia " e " stultitia " presso gli antichi, Boezio ricorda alcuni esempi di rinuncia alla vita in nome appunto della Filosofia-Sapienza: " Quod si nec Anaxagorae fugam, nec Socratis venenum, nec Zenonis tormenta, quoniam sunt peregrina, novisti, at Canios, at Senecas, at Soranos, quorum nec pervetusta nec inlecebris memoria est, scire potuisti ". Ebbene, anche se i " Zenonis tormenta " risultano alla nostra acribia filologica quelli patiti fino alla morte da Z. di Elea, ciò non impedì a un commentatore di Boezio - e, probabilmente, allo stesso D. se questo passo ebbe presente - di riconoscere in quello Z. lo Z. stoico: " Zenon primus philosophus stoicorum fuit, qui invenit orane peccatum uniforme esse. Hic multa pericula pertulit pro philosophia " (Saeculi noni autoris in Boetii Consolationem philosophiae commentarius, ediz. E. T. Silk, Roma 1935).

Altro caso è quello di Gualtiero Burley che nel suo De Vita et moribus philosophorum dedica, nell'incertezza, tre capitoli (XXV, LXVIII e LXXIX) rispettivamente a uno " Zeno euticensis " (cioè Z. di Cizio), a uno " Zeno stoicus " (cioè il medesimo) e a un " alius philosophus nomine Zenon de quo scribit Valerius " (cioè Z. di Elea).

In ogni caso, a parte la considerazione che il ‛ disprezzo della vita ' di Z. di Elea non fu testimoniato, come per Socrate e Seneca, col suicidio ma con un supplizio sopportato fino alla morte, resta il fatto che del suicidio di Z. di Cizio, accennato nelle Vitae diogeniane, era data esplicita testimonianza in Lattanzio il quale, appunto, poneva lo Z. stoico tra quei pagani che, avendo sentore dell'immortalità dell'anima, " sibi ipsi manus intulerunt " onde affrettare la migrazione celeste: " multi ergo ex iis qui aeternas esse animas suspicabantur, tanquam in coelum migraturi essent, sibi ipsi manus intulerunt, ut Cleanthes, ut Crysippus, ut Zenon [cioè i tre scolarchi stoici], ut Empedocles... et ex Romanis Cato, qui fuit in omni sua vita stoicae vanitatis imitator " (Div. inst. III XVIII 5, compendiato in Epit. inst. 34 [39] 8-9 " qui ut mortem contempsisse dicerentur, voluntariam necem sibi intulerunt, Zeno Empedocles Crysippus Cleanthes Democritus et hos imitatus Cato "). Lo stesso Gualtiero Burley nel citato capitolo LXXVIII sullo " Zenon stoicus philosophus " ricordava che " mortem sibi intulit ut post mortem felicius viveret " (così anche Vincenzo di Beauvais Spec. Hist. VI 26).

E l'accostamento a Catone, derisorio in Lattanzio, doveva costituire per D. una ben diversa suggestione ideale, sullo sfondo dei grandi temi dell'amore della sapienza e della libertà del volere (v. CATONE; LIBERTÀ; SAPIENZA; VOLONTÀ). Del resto, come si è visto, nell'esporre la dottrina degli Stoici, accanto al loro primo e prencipe... Zenone D. si era preso cura di ricordare il glorioso Catone: la loro comune militanza stoica doveva costituire, ai suoi occhi, l'unica legittima motivazione del loro comune suicidio.

Di qui la presenza di Z. nel Limbo dantesco (If IV 138 quivi vid'ïo... / Empedoclès, Eraclito e Zenone) a cui l'abilitava una dottrina per tanti aspetti ‛ figura ' e ‛ preparazione ' del cristianesimo, e una morte quale volontaria ‛ testimonianza ' di quella dottrina.

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