ZINCO

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1995)

ZINCO

Franco Salvatori
Paolo Schlechter

(XXXV, p. 946; App. II, II, p. 1137; III, II, p. 1146; IV, III, p. 870)

Produzione - Dopo i notevoli incrementi registrati fino alla prima metà degli anni Settanta, la produzione mondiale di z., anche a seguito della crisi recessiva innescata dagli shocks petroliferi, è stata contraddistinta da un periodo di relativa stabilità: il totale mondiale, dopo il minimo raggiunto nel 1982, è lentamente risalito fino ad attestarsi nel 1993 su valori di poco superiori a quelli già raggiunti alla vigilia della prima impennata petrolifera. Oltre agli effetti diretti connessi al maggior costo dell'energia, dato il largo ricorso ai metodi elettrolitici per la sua produzione, ha inciso su tale andamento la particolare struttura della domanda di zinco. L'utilizzazione di tale metallo, infatti, è rimasta fortemente legata al settore dei prodotti siderurgici (galvanizzazione e sherardizzazione dell'acciaio) che, come noto, è stato tra i più colpiti dai processi di ristrutturazione e riorganizzazione industriale seguiti alle crisi degli anni Settanta. Inoltre, è anche aumentata considerevolmente la sostituzione e la surrogazione dello z. a favore dell'alluminio e delle materie plastiche più leggere, mentre assai scarso è stato lo sviluppo di tecnologie di riciclaggio, ostacolate dall'estrema dispersione delle utilizzazioni finali che rende difficile e costoso il recupero, o rese impossibili dagli impieghi distruttivi. In tale contesto la geografia della produzione di z. rimane influenzata dal vistoso incremento fatto registrare dalla metallurgia cinese che, dato il notevole ridimensionamento di quella delle repubbliche ex sovietiche, risulta la più cospicua del mondo e tale da assicurare, con Giappone e Canada, quasi un terzo del totale prodotto.

Biologia. - Azione biologica dello zinco. - L'azione biologica dello z. è rimasta sconosciuta nel suo esatto meccanismo fino a tempi assai recenti: era nota un'anemia da carenza di z., si conosceva un'impotentia generandi negli animali tenuti a dieta priva di z., una particolare abbondanza di questo metallo era stata rilevata nel liquido spermatico. Ma il meccanismo che sta alla base di queste manifestazioni e il loro significato non erano noti. Nell'ultimo ventennio una cospicua mole di ricerche, rapidamente sviluppatasi e ampliatasi, ha consentito di riconoscere il ''punto di aggancio'' dello z. a livello delle attività cellulari. Si è visto che il metallo interviene nei processi di trascrizione del codice genetico facendo parte di uno, forse il più frequente, dei diversi fattori di trascrizione, denominato ''fattore delle dita di zinco''.

È noto che la sintesi di una molecola proteica nel citoplasma implica anzitutto la possibilità che nel nucleo il gene contenuto nel DNA, che specifica la struttura della proteina, venga per così dire copiato, o meglio riprodotto, dalla struttura a duplice filamento del DNA in una a filamento singolo, il RNA messaggero o mRNA; questo fenomeno prende il nome di trascrizione. Il mRNA a sua volta attraversa la membrana nucleare e nel citoplasma funge da modello, a livello ribosomiale, per la sintesi della molecola proteica; questo fenomeno prende il nome di traduzione (fig. 1). Per approfondire questo argomento sono opportune alcune considerazioni di ordine generale. La cromatina nucleare è formata da DNA e istoni, proteine basiche delle quali si conoscono i seguenti tipi: H1, H2A, H2B, H3 e H4; negli uccelli esiste un istone H5, specifico di questo gruppo di organismi, che sta al posto dell'istone H1 delle altre specie e la cui struttura, analizzata tridimensionalmente, è sovrapponibile a quella dell'istone H1. Gli istoni sono disposti a gruppi di 8, cioè a ottamero, in modo da formare una specie di rocchetto attorno al quale si avvolge il filamento di DNA (generalmente di 146 nucleotidi) per due giri; il complesso viene chiamato nucleosoma (fig. 2). Ogni nucleosoma è collegato al successivo dall'istone H1 oltre che dal filamento del DNA. Quando i nucleosomi sono addensati a gruppi, solitamente di 6, formano la vera e propria cromatina nucleare (fig. 3).

Qualsiasi cellula di ogni organismo possiede in sé tutto il patrimonio genetico necessario allo sviluppo e al mantenimento dell'organismo completo. In ogni tipo cellulare vengono però espresse le caratteristiche specifiche del tipo (cellule nervose, epiteliali, connettivali, ecc.): ciò dipende dalla presenza degli istoni che bloccano la porzione di DNA cui sono legati e permettono solamente la codificazione dei segmenti del DNA rimasti per così dire ''a nudo'', privati cioè del legame con gli istoni.

Il distacco degli istoni dà l'avvio al fenomeno della trascrizione, che consiste essenzialmente nell'attivazione, ai livelli stabiliti, della RNA-polimerasi II; ne consegue la sintesi di RNA messaggero sullo stampo del tratto di DNA reso scoperto. Tanto la messa a nudo di una frazione del DNA quanto l'attivazione della RNA-polimerasi vengono avviate dai cosiddetti fattori di trascrizione (TF, Transcription Factor), detti anche fattori basali, costituiti da proteine di origine nucleare e/o extranucleare, che si fissano a particolari punti del DNA denominati ''siti di inizio'' (della trascrizione). L'avvio viene a sua volta modulato e potenziato da due gruppi di nucleotidi che si trovano collocati l'uno nelle vicinanze del sito di attivazione (promotore prossimale) e l'altro lontano circa 200 paia di basi (sequenza attivatrice; fig. 4) che hanno il compito di regolare quantitativamente l'attività della RNA-polimerasi.

Il legame del fattore di trascrizione col DNA è reso possibile dall'affinità chimico-fisica esistente fra determinati punti delle due molecole, affinità che equivale al ''riconoscimento'', da parte di una zona del TF, di un particolare sito del DNA.

Quest'affinità deve essere ovviamente maggiore di quella dell'istone legato a quel medesimo sito; a essa andrebbe pertanto addebitata, per lo meno in parte, la responsabilità dell'allontanamento dell'istone e conseguentemente dell'aggancio da parte del TF a certe sequenze specifiche di basi presenti nel DNA. Evidentemente nel DNA oltre alla sequenza che codifica la porzione proteica del TF (tuttora ignota) deve essercene un'altra non specifica e meno numerosa, destinata a offrire al TF l'aggancio vero e proprio.

Le sequenze di questo secondo tipo cominciano a essere ben conosciute: di esse la più frequente in assoluto è chiamata TATA (T=timina, A=adenosina) o meglio, in quanto associata ad altre proteine, TATA-box. Ma esistono, seppure raramente, anche altre sequenze: per es. una sequenza CACGTG (C=citosina, G=guanina), inoltre una lunga sequenza di 13 basi descritta recentemente a livello epatico, e verosimilmente altre. Nelle immediate vicinanze di queste sedi ha luogo l'inizio della trascrizione sul modello offerto dal primo tipo di sequenza.

In assenza di sintesi di mRNA le molecole istoniche, in maggior misura quelle di tipo H2A e H2B, sono legate al TATA-box e formano un complesso col DNA in modo che l'aggancio dei TF risulti impedito. Forse un aumento critico degli stessi TF, nonché l'intervento della sequenza potenziatrice più a monte provocano il distacco dell'istone e consentono l'aggancio del TF.

Il fenomeno sembra svolgersi in due fasi: nella prima si verificherebbe l'acetilazione delle code istoniche che sporgono tutte da una parte del nucleosoma (v. fig. 2), in particolare della coda di H4; questo provoca la neutralizzazione delle cariche positive di queste molecole e come conseguenza inizia la seconda fase, cioè il distacco dell'istone o di una parte di esso dal DNA, che è elettronegativo. Le particelle che si distaccano dall'ottamero sono rappresentate in particolare dagli istoni H2A e H2B, cioè quelli maggiormente legati al TATA-box, ma una partecipazione non secondaria competerebbe anche all'istone H3, almeno per quanto riguarda il fegato: in casi di rapida rigenerazione epatica infatti, come per es. nella formazione di noduli cirrotici nell'uomo o dopo epatectomia parziale nelratto, si assiste a un forte aumento del mRNA dell'istone H3. In altre parole istoni da un lato e TF dall'altro tendono a fissarsi competitivamente a particolari punti del DNA, ad agganciarsi quindi al TATA-box o ad altre sequenze bloccando o stimolando rispettivamente l'attivazione della RNA-polimerasi. La competitività dipende da similarità strutturali tra determinati istoni e certi TF, similarità che consentono la penetrazione di queste molecole in corrispondenti solchi del DNA (fig. 5).

Per mettere in evidenza questi fenomeni si sono dimostrati particolarmente utili gli studi sulla struttura tridimensionale delle molecole mediante la spettroscopia a risonanza magnetica nucleare e la cristallografia ai raggi X. Appare decisamente importante il rilievo che la struttura molecolare dei TF si mantiene molto simile in tutti i viventi, dai batteri ai protozoi ai mammiferi, ma anche nei funghi e nelle piante. Questa persistenza strutturale attraverso tutti i gradini dell'evoluzione è osservabile anche negli istoni, a significare che il sistema istoni-TF funziona in modo ottimale in quella forma e nessuna modifica è riuscita ad affermarsi nel corso dell'evoluzione.

Lo z. interviene in una delle principali modalità di fissazione e di aggancio al DNA dei TF: questi infatti, a seconda delle strutture molecolari, possono essere grossolanamente suddivisi in 4 gruppi denominati dita di z., chiusura lampo a denti di leucina, elica-ansa-elica, elica-giro-elica.

Dita di zinco (zinc fingers). − Si tratta del gruppo più numeroso e di più frequente riscontro negli eucarioti, gruppo nel quale un ruolo di primo piano spetta appunto allo zinco. Per es., nel TF-IIIA, fattore di trascrizione che nello Xenopus laevis (rospo) attiva il gene codificante per l'RNA 5S (costituente dei ribosomi), si è visto che lungo la catena di amminoacidi lo z. è disposto a intervalli regolari legandosi ogni volta a due molecole di cisteina e a due molecole di istidina. Ma la posizione di queste due coppie di amminoacidi non è vicina, per cui il loro legame con lo z. ne provoca l'avvicinamento e pertanto un ripiegamento ad ansa della catena peptidica che si ripete regolarmente in corrispondenza di ogni atomo di z. (fig. 6), dando origine a figure che richiamano la forma delle dita (fig. 7). Queste dita s'inseriscono preminentemente nei solchi principali dell'elica del DNA. Inoltre nelle anse, una branca, e precisamente quella contenente le molecole di cisteina, si dispone come un foglietto o lamina ripiegata, mentre quella dove si trovano le due molecole di istidina assume un andamento a elica (fig. 8): questa branca dell'ansa sarebbe responsabile della specificità di legame col DNA. Tanto l'elica quanto il foglietto contraggono legami con i gruppi fosfati delle catene fosfoglucidiche del DNA, contribuendo così a stabilizzare l'aggancio delle dita di zinco. Oltre questo tipo più diffuso (definito Cis2Is2=2 cisteine+2 istidine) vi sono diversi altri tipi, caratterizzati da differenti modalità di legame del metallo con gli amminoacidi: Cis4Cis4, Cis6, Cis3IsCis4, Cis2IsCis. Di questi tipi, che contribuiscono a formare delle vere e proprie classi funzionali, un'importanza particolare spetta al tipo Cis4Cis4, nel quale lo z. è legato a 4 cisteine, 2 delle quali sostituiscono evidentemente le 2 istidine.

Cis4Cis4 costituisce infatti la struttura rappresentativa dei recettori per gli ormoni steroidi, o meglio, dei TF che si formano per unione dei recettori citoplasmatici delle cellule bersaglio con questi ormoni. È noto che le molecole degli ormoni steroidi si fissano a due a due, nel citoplasma delle cellule bersaglio, a dei recettori proteici appaiati e che il complesso si trasferisce nel nucleo. In questa sede esso si comporta come un TF fissandosi al DNA con modalità particolari: anzitutto vi sono solamente 2 atomi di z. per ciascuna unità, in quanto ogni atomo è legato a 4 molecole di cisteina; inoltre ogni unità risulta dall'unione di due anse simili, o se si vuole di due dita, il TF cioè può esercitare la sua funzione solamente in forma di dimero; e infine un'ansa del dimero porta 3 amminoacidi deputati al riconoscimento della sequenza di basi del DNA, mentre nell'altra ansa sono localizzati i 5 amminoacidi che consentono la dimerizzazione (fig. 9).

È importante sottolineare che le zone di dimerizzazione dei diversi TF di ormoni steroidi presentano strutture molto simili. Le differenze riguardano invece i tre amminoacidi provvisti della funzione di riconoscimento: per es. glicina, serina e valina nel caso del TF per i glucocorticoidi, acido glutammico, glicina e alanina nel caso del TF per gli estrogeni. Di grande interesse l'osservazione che tanto l'ormone tiroideo quanto l'acido retinoico (vitamina A) utilizzano il medesimo sistema per la trasmissione dei loro messaggi; l'unica differenza consiste nel fatto che per gli ormoni steroidi e per la vitamina D3 esistono dei recettori citoplasmatici, mentre ormone tiroideo e acido retinoico formano i rispettivi TF fissandosi direttamente su dei recettori nucleari.

Al momento non sembra che nei mammiferi ci siano altri TF importanti che utilizzano solamente le dita di z.; vale però la pena di citare in proposito un TF presente nelle cellule della serie eritroide, del tipo Cis4, che agisce come monomero anziché come dimero.

Quanto riportato presenta anche riflessi applicativi di estremo interesse: per es. il tumore di Wilm, un adenosarcoma renale che si sviluppa preferenzialmente nei bambini, è originato da una mutazione genetica che coinvolge il legame tra una particolare proteina presente nelle dita di z. e il DNA. Anche il ritardo nello sviluppo sessuale, dipendente da un'insufficiente assunzione di z. con la dieta, potrebbe essere attribuito all'incapacità dei recettori per gli androgeni ad avvolgersi in modo corretto al DNA in assenza di zinco.

Altri sistemi di legame col DNA. - Le dita di z. non debbono venir considerate un sistema esclusivo di trascrizione; per questo motivo, e a scopo di completezza, vale la pena di dare un cenno ad altri sistemi di legame col DNA, già segnalati, alcuni dei quali possono utilizzare, ma non obbligatoriamente, lo zinco.

In primo luogo, per frequenza e importanza, vanno tenute presenti le cosiddette ''chiusure lampo a denti di leucina''. Si tratta di TF attivi come dimeri di determinate molecole avvolte a elica; la loro dimerizzazione va accreditata alla presenza in ogni settima posizione di ciascuna delle due eliche di una molecola di leucina, amminoacido altamente idrofobo in grado di legarsi con altre molecole idrofobe, in questo caso sempre di leucina (fig. 10).

L'aggancio al DNA è invece deputato a una parte delle molecole dimerizzate che si presenta ricca di amminoacidi dotati di cariche elettropositive, in questo caso di arginina e lisina, utili per il legame con quelle negative del DNA. Nei TF caratterizzati dalla chiusura a denti di leucina la dimerizzazione risulta, come già riportato, indispensabile per il legame col DNA. Ma essa può chiamare in causa molecole uguali e in tal caso si parla di omodimerizzazione, oppure molecole diverse e si parla allora di eterodimerizzazione. Questa seconda modalità rappresenterebbe un vantaggio in quanto consentirebbe la combinazione con proteine diverse anziché con quelle, sempre identiche, dell'omodimero. Un esempio di omodimerizzazione efficace si ha comunque nel caso di certe proteine attivatrici di geni correlati alla risposta all'AMPc.

A proposito di eterodimerizzazione va ricordata quella di due molecole proteiche, il c-fos e il c-jun, considerate due protooncogeni, eterodimerizzazione che coinvolge un composto denominato AP1. Questo sembra costituire l'ultimo anello (TF) di una delle catene che permettono a vari stimoli, attivi soltanto a livello della membrana cellulare (in quanto incapaci di attraversarla), di suscitare una risposta da parte del nucleo. Si tratta di stimoli di natura anche molto diversa, costituiti da ormoni polipeptidici, da fattori di accrescimento cellulare o anche da fattori oncogeni (per es. esteri del forbolo). Il tipo di risposta è con ogni verosimiglianza legato alle diverse sequenze (catene) specifiche innescate dai diversi recettori posti sulla membrana cellulare.

È legittima a questo punto un'osservazione a proposito dell'intimo meccanismo di azione degli ormoni a livello dei tessuti bersaglio; sono cioè rilevabili due modalità fondamentali: quella che riguarda ormoni in grado di attraversare la membrana nucleare e di agganciarsi al nucleo, tanto in unione con recettori citoplasmatici (ormoni steroidi) quanto direttamente (ormone tiroideo, acido retinoico), e quella rappresentativa di ormoni polipeptidici che non sono in grado di penetrare nel citoplasma e quindi innescano, tramite i recettori di membrana, una serie di reazioni all'interno del citoplasma stesso che portano alla formazione di TF specifici, tra i quali molti tendono a considerare l'AP1. Nel primo caso i TF sono caratterizzati dalla presenza delle dita di z., nel secondo dalla chiusura a denti di leucina (fig. 11).

Vanno ancora ricordati i TF caratterizzati dal motivo elica-nodo-elica (HLH, Helix-Loop-Helix); anche questo motivo garantisce, in collaborazione con i denti di leucina, la necessaria dimerizzazione. Tra i TF di tipo HLH è degno di menzione quello denominato Max, che facilita il legame delle oncoproteine Myc, anch'esse di tipo HLH, col DNA, legame che le Myc da sole non sono in grado di effettuare. L'unione col Max dà luogo alla formazione di un eterodimero che si aggancia alle basi del DNA in corrispondenza non del TATA-box ma del motivo CACGTG. Importanti anche i legami che la proteina Max stringe con i gruppi fosfatici del DNA, contribuendo a stabilizzare la sequenza degli elementi di ricognizione del motivo posto sul DNA. L'importanza di Max va ovviamente collegata ai problemi dell'oncogenesi.

Infine in un gruppo di TF con struttura consimile (elica-giro-elica: HTH, Helix-Turn-Helix) sono stati individuati dei fattori presenti in particolare nei tessuti dei mammiferi, e perciò se ne fa menzione. Tra questi importanza maggiore spetta a due complessi molecolari: il fattore nucleare 1 degli epatociti, che si lega alla sequenza GTTAATNaTTAAC del DNA (nella quale Na rappresenta una qualsiasi delle basi pirimidiniche) e regola l'espressione da parte delle cellule di geni epatospecifici, e il fattore nucleare 3-γ degli epatociti, reperibile però anche in altri organismi non mammiferi. La struttura tridimensionale di questo TF è molto simile a quella dell'istone H5 (il già citato equivalente aviario dell'istone H1) e a quella dell'operone repressore della sintesi di biotina nell'Escherichia coli, a sottolineare da un lato la rassomiglianza tra istoni e TF, quest'ultimi attivi sia in senso stimolante che repressivo, e dall'altro la mancanza di qualsiasi specificità di specie in tali molecole.

In conclusione si può affermare che lo z. svolge un ruolo fondamentale nelle attività dei fattori di trascrizione: infatti i TF a ''dita di z.'' si sono dimostrati i più frequenti assieme, seppur in minor misura, a quelli con chiusura a denti di leucina. Nessuno di essi, a qualsiasi tipo appartenga, è specie-specifico; inoltre quasi tutti presentano come sede preferenziale di aggancio al DNA la sequenza TATA, anch'essa evidentemente non specifica.

La persistenza dei medesimi meccanismi lungo tutta la scala evolutiva sta a testimoniare, come già in precedenza sottolineato, la loro efficacia associata alla maggiore semplicità possibile. Si osserva dunque nei fenomeni di trascrizione quanto osservato nei fenomeni di traduzione, a proposito cioè delle triplette di basi che nel citoplasma trasportano gli amminoacidi ai ribosomi dove verranno assemblati nelle catene polipeptidiche. Anche in questi casi esiste una specificità di ogni tripletta per ogni singolo amminoacido, ma una specificità sempre uguale, dai batteri all'uomo. In altre parole, i meccanismi di sintesi proteica messi in opera nelle prime fasi dello sviluppo evolutivo non si sono più modificati, evidentemente per la loro precisa rispondenza alle necessità di tali processi.

Bibl.: S.L. McKnight, in Le Scienze, 274 (1991); M. Grunstein, ibid., 292 (1992); W.M. Krajewska, in J. Biochem., 24 (1992), p. 1885; D. Rhodes, A. Klug, in Le Scienze, 296 (1993); M. Karin e al., in Europ. J. Clin. Pharmacol., 65 (1993), p. 9; S.K. Burley e al., in Cold Spring Harbor on Quantitative Biol., 58 (1993), p. 123; S.K. Burley, in Current Opinion in Structural Biology, 4 (1994), p. 3.

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