ZODIACO

Enciclopedia dell' Arte Medievale (2000)

ZODIACO

M. Bussagli

Il termine deriva, attraverso il lat. zodiacus, dal gr. zodiakós, derivato a sua volta da zódion, diminutivo di zóon (animale). Zódion significa letteralmente 'animaletto', ma anche 'figurina che rappresenta un animaletto'; in definitiva, quindi, zodiakós, cui si sottintende kýklon (cerchio), sarebbe il 'circolo delle figure di animali', con esplicito riferimento a quelle costellazioni la cui forma suggerisce l'immagine di un animale e che nell'ambito dello z. sono da considerarsi la maggioranza.Da un punto di vista strettamente astronomico, poi, lo z. rappresenta quell'area dell'ideale sfera celeste che si sviluppa intorno all'ellittica e che è percorsa dalla Luna e dal Sole, il quale copre l'intero percorso in dodici mesi. È questa una definizione che non si discosta di molto da quella che si trova espressa nei testi medievali, come per es. il De imagine mundi di Onorio Augustodunense (sec. 12°), dove si legge: "In medio firmamenti sunt duodecim signa per transversam disposita, aequaliter per circuitum distincta. Harum dispositio dicitur graece zodiacus, latine signifer, eo quod fert signa quae animalium habent nomina, Zῶον enim dicitur animal" (PL, CLXXII, col. 142; Garfagnini 1974, p. 175).Questa sostanziale congruenza con le contemporanee conoscenze astronomiche - l'unica differenza fra allora e oggi è che, dopo gli studi di Copernico (1473-1543), bisogna parlare di ellittica zodiacale e non più di circolo - non deve stupire, dal momento che le nozioni sulle zone del cielo e sulle sue caratteristiche giungevano alla cultura medievale dall'Antichità, cui erano pervenute attraverso la tradizione orientale di area assiro-babilonese. Bisogna infatti precisare che, soprattutto in età neobabilonese (616-538 a.C.) e achemenide (558-330 a.C.), erano già note le principali costellazioni, sicuramente inserite nella fascia zodiacale. Spiega infatti Walker (Walker, Stephenson, 1985, p. 15) che la divisione di queste costellazioni in dodici archi uguali di 30° era probabilmente ispirata alla divisione dell'anno in dodici mesi di trenta giorni ciascuno, per la quale vi è una certa evidenza già nel periodo paleobabilonese (1800 a.C.), e che uno stadio intermedio è rappresentato da una tavoletta databile al sec. 5° a.C. che elenca i dodici mesi e le loro costellazioni associate.Tuttavia, il recente ritrovamento di un'altra tavoletta databile intorno al 600 a.C. nella biblioteca di Sippar ha spostato di un paio di secoli indietro la compiuta sistemazione del circolo zodiacale. Su di essa, infatti, compare il disegno delle dodici costellazioni, i cui nomi sono iscritti in altrettante sezioni di cerchio identiche fra loro e tali da coprire i 360° (Pettinato, 1998, p. 96). In altri termini, all'epoca di Onorio Augustodunense, la conoscenza del circolo zodiacale era ampiamente e compiutamente acquisita da più di millesettecento anni. Pertanto, anche i dodici segni - sebbene la cultura babilonese, in epoca precedente ne contasse diciotto - avevano già la configurazione a tutt'oggi nota, vale a dire: Ariete, Toro, Gemelli, Cancro, Leone, Vergine, Bilancia, Scorpione, Sagittario, Capricorno, Acquario, Pesci.Per quanto nato da precise ragioni matematiche e usato esclusivamente ai fini del computo astronomico (Neugebauer, 1974, p. 129), lo z. divenne il paradigma e il punto di riferimento del pensiero astrologico, oltre che astronomico, laddove le due discipline devono essere interpretate come altrettanti aspetti del medesimo metodo d'indagine del mondo, basato sulla convinzione che un segno cattivo in cielo è anche cattivo in terra e un segno cattivo in terra è anche cattivo in cielo (Pettinato, 1998, p. 106). La superiorità delle conoscenze babilonesi influenzò profondamente la cultura greca, che, nella lettura del cielo, si rifece a quella che allora veniva chiamata la scienza dei Caldei e che, nell'ambito dello sviluppo del pensiero pitagorico, venne considerata anche alla luce della sua componente astrologica (Boll, Bezold, Gundel, 1918; Rougier, 1953).A sua volta, Platone fece proprio il pensiero pitagorico (Burkert, 1962), sicché i movimenti astrali vennero posti in strettissima relazione con il destino dell'anima, anche proprio in funzione di un'analogia fra l'armonia celeste e quella della spiritualità individuale (Fedro, 246b-247e; Repubblica, 616a-617d). Quel che conta però soprattutto notare è che la cultura greca assorbì la nomenclatura celeste dei Caldei, grecizzandola e riconducendola ai propri costumi religiosi. Così, le divinità planetarie dei babilonesi trovarono riscontro, per affinità di carattere, in quelle greche (Diodoro Siculo, II, 30, 3), mentre i segni zodiacali furono identificati da Eratostene (276/272-196/192 a.C.) con altrettante figure mitologiche (per es. i Gemelli divennero Castore e Polluce, i figli divini di Zeus; il Toro apparve agli occhi dei Greci come quello che rapì Europa, ossia lo stesso Zeus; il Leone s'identificò con il leone nemeo delle dodici fatiche di Ercole; Seznec, 19532). In altri termini, si favorì quel processo di mitologizzazione della carta celeste che andò sotto il nome di sphaera graecanica, dal quale lo z. non venne esentato.Con Claudio Tolomeo (sec. 2° d.C.) le conoscenze astrologiche, codificate in un testo come il Tetrábiblos, furono consegnate definitivamente alla cultura greco-romana. La riprova è che non esiste autore della Tarda Antichità, che si sia occupato, sia pure marginalmente, di astrologia o astronomia, che non abbia citato Tolomeo (Boll, Bezold, Gundel, 1918, p. 63). D'altra parte, nel Tetrábiblos si trovano indicazioni importanti che spiegano e analizzano il valore dello z., a cominciare dall'individuazione convenzionale del segno che ha funzione d'inizio del circolo delle costellazioni. Secondo Tolomeo, infatti, va considerato come inizio dello z. - che essendo un cerchio non ne ha uno definito - il segno che comincia con l'equinozio di primavera, l'Ariete, punto di partenza di tutti i segni zodiacali. Non si tratta, però, di una scelta casuale, perché lo z., come una creatura vivente, inizia dall'abbondante umidità della primavera e poi via via procede per le altre stagioni, che divengono però le stagioni della vita, dal momento che l'estate corrisponde alla maturità, l'autunno alla vecchiaia e l'inverno alla decrepitezza (Tetrábiblos, I, 10, 2). S'intravvede già qui la relazione fra l'immagine dell'uomo e quella del cielo che si sviluppò più avanti, ponendo in rapporto ciascuna parte del corpo con uno specifico segno dello zodiaco. Ma il Tetrábiblos raccoglie una infinità di dati che fanno parte integrante della tradizione astrologica. Dalla suddivisione in segni equinoziali, fissi e mobili (I, 12), al riconoscimento della relazione fra pianeti e segni zodiacali in funzione del loro domicilio (I, 18) e della loro esaltazione (I, 20), fino al rapporto fra segni dello z. e paesi della terra (II, 4), con i popoli che vi abitano (II, 2) o con le caratteristiche psichiche dell'individuo (III, 14).La trasmissione delle conoscenze astrologiche dalla Tarda Antichità al cristianesimo avvenne sia attraverso l'assunzione diretta dai testi latini, a cominciare dalla Naturalis Historia di Plinio il Vecchio (23-79), che filtrarono nelle grandi opere dell'enciclopedismo medievale, dalle Etymologiae di Isidoro di Siviglia (560-636), al De natura rerum di Beda il Venerabile (673-735), al De originibus rerum di Rabano Mauro (784-856), per rimanere ai primi secoli dell'era cristiana, sia grazie alla mediazione araba. Basterà infatti ricordare che Hārūn al-Rashīd fece tradurre, intorno al 780, la Syntaxis mathematica di Claudio Tolomeo, che rappresenta il più importante testo di astronomia, meglio noto con il titolo arabo di Almagesto.La messe delle conoscenze acquisite dagli Arabi venne inoltre riversata nella cultura latina medievale grazie alle traduzioni degli eruditi spagnoli che ruotavano intorno alla figura del vescovo Raimondo di Toledo, oppure a quelle di italiani come Gerardo da Cremona, traduttore fra i più fecondi del sec. 12° (Garfagnini, 1974, p. 203). Non per nulla, raffigurazioni dello z. si trovano già nella volta del calidarium del complesso termale di Quṣayr ῾Amrā, costruito all'inizio del sec. 8° da un principe omayyade (Saxl, 1932). L'iconografia dei segni zodiacali è quella classica che si ritrova anche sul globo celeste del celeberrimo Atlante Farnese (Napoli, Mus. Archeologico Naz.). L'interesse della cultura islamica per l'astrologia, l'astronomia e i segni zodiacali in particolare è attestata dalla riproduzione di questi su vari oggetti, fra cui uno specchio magico in bronzo datato al 548 a.E./1153, conservato al Cairo (Mus. of Islamic Art). Infine, non si può non ricordare la grande quantità di codici che riproducono le costellazioni, come per es. il Ṣuwar al-Kawākib al-Thābitah o Liber de locis stellarum fixarum di 'Abd al-Raḥmān b. 'Umar al-Ṣūfī (903-986), pervenuto in copie più tarde, come quella del sec. 13° conservata a Parigi (Ars., 1036).L'influenza della cultura araba portò all'uso astrologico di dividere il segno zodiacale in trenta 'spicchi' corrispondenti ai gradi del segno e a quelle costellazioni che sorgono insieme sull'ellittica zodiacale (i parantellonta) cui vennero aggiunti i decani. Concepita da Firmico Materno (sec. 4°), la 'moirogenesi' del segno - questo il termine tecnico dell'operazione - passò nelle conoscenze di Abū Ma῾shar, l'Albumasar dei latini (sec. 9°), e da qui in quelle di Pietro d'Abano (v. Astri). Tutto questo ebbe un preciso riflesso artistico sui codici medievali (Roma, BAV, Reg. lat. 1283) o su opere di carattere monumentale, come i notissimi affreschi del palazzo della Ragione a Padova.L'importanza culturale dei segni zodiacali nella cultura e nell'arte cristiana, infatti, consiste sostanzialmente nel fatto che essi divennero una sorta di paradigma sulla base del quale organizzare le conoscenze del mondo. Sebbene in un primo tempo considerate negativamente (il concilio di Laodicea, del 320, le condannò entrambe; Mansi, II, col. 570), astrologia e astronomia entrarono a far parte del bagaglio culturale della cristianità, tanto che i segni zodiacali vennero assimilati agli angeli, come mostra una nota miniatura della Topographia christiana di Cosma Indicopleuste (Roma, BAV, Vat. gr. 699, c. 115v; sec. 9°). Attraverso la chiave dei segni zodiacali, infatti, si potevano collegare, sulla base del ragionamento analogico, l'uomo, il cosmo e Dio.La ripartizione della fascia zodiacale in dodici zone corrispondenti ai mesi dell'anno, allora scandito dalle attività agricole, permetteva di porre ognuna di queste sotto l'egida di un segno zodiacale. Gli esempi sono molteplici e fra i primi non si può non ricordare il Tapís de la Creació (Gerona, Mus. de la Catedral), databile fra i secc. 11° e 12°, dove la fascia più esterna della decorazione è costituita dai dodici segni che comprendono l'attività agricola corrispondente. Al centro dello sviluppo della fascia, infatti, si trova la figura dell'Annus, personificazione dei dodici mesi. Ancora, nel celebre mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto (1166), gli orbicoli fioriti sui rami di un immenso albero coniugano le raffigurazioni zodiacali con le attività contadine connesse. Né si può tacere dei gruppi scultorei di Benedetto Antelami, eseguiti tra il 1196 e il 1215, e collocati all'interno del battistero di Parma, o del complesso programma figurativo costituito dalle specchiature della fontana Maggiore di Perugia, completata entro il 1278, dove pure compaiono le attività umane connesse ai segni dello zodiaco.Com'è facilmente intuibile, questa concezione finiva per connettere intimamente il lavoro e l'esistenza stessa dell'uomo al ritmo temporale del cosmo e viceversa, facendo oltretutto nascere il concetto di 'figli di pianeti'. In altri termini, il rapporto veniva ribaltato, asserendo che chi nasceva sotto l'influsso di quel particolare pianeta (ma anche segno zodiacale, visto che i pianeti hanno sede in essi) era predisposto per un'attività piuttosto che per un'altra. Ne discendeva che finivano per essere ricondotte allo schema e al riferimento zodiacale tutte le attività umane, anche quelle non direttamente legate al mondo agricolo. Per questo, nei programmi enciclopedici delle grandi decorazioni, come nella ricordata fontana Maggiore di Perugia o nei portali destro e sinistro della facciata occidentale della cattedrale di Chartres, compaiono anche le arti liberali, generalmente legate al sistema zodiacale attraverso il rapporto numerico con i sette pianeti, come avviene nel Trionfo di s. Tommaso nel Cappellone degli Spagnoli in S. Maria Novella a Firenze, dove però i segni dello z. non compaiono (v. Arti liberali e meccaniche).In definitiva, la stessa fisicità dell'uomo poteva essere ricondotta, non senza implicazioni di carattere medico, al paradigma zodiacale. Si sovrappongono qui speculazioni diverse, come quella tolemaica, che già nel Tetrábiblos (III, 12-13) si interessava delle ragioni astrologiche della configurazione somatica e del temperamento, oltre che delle malattie, alla quale si sovrapponeva l'idea che l'universo avesse analogie con il corpo umano e con la sua forma. È quest'ultima una riflessione complessa che attraversa culture diverse e distanti e che si ritrova nel sec. 12° nel Liber divinorum operum di Ildegarda di Bingen (1098-1179; Saxl, 1928, p. 61). L'affermazione è significativa perché sovrappone l'immagine dell'uomo a quella del firmamento, rivitalizzando un filone di pensiero tardoantico e dando giustificazione alle raffigurazioni della melothesia, vale a dire quel procedimento che attribuisce un segno dello z. ad altrettanti distretti anatomici. L'esempio più antico (sec. 11°) finora noto è quello dello Scholium de duodecim zodiaci signis et ventis (Parigi, BN, lat. 7028, c. 154r), dove l'Ariete viene riferito alla testa, i Gemelli agli occhi, il Sagittario alle pudenda, fino a giungere ai piedi connessi ai Pesci.Per quanto l'immagine sia apertamente criticata dalla scritta soprastante, che parla senza mezzi termini di philosophorum deliramenta, bisogna dire che nei secoli successivi questo concetto delle corrispondenze zodiacali venne perfettamente assorbito dalla speculazione cristiana. Lo dimostrano non soltanto una grande messe di manoscritti, dove gli influssi planetari sono segnati graficamente (Parigi, BN, lat. 11229, c. 45r; Parigi, BN, gr. 2180, c. 108r) oppure addirittura sovrapposti (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 19414, c. 188v; Cambridge, Fitzwilliam Mus., 167, c. 102r), ma anche opere di carattere monumentale, come le prime due volte della cripta di Anagni, dove, in maniera estremamente significativa, si succedono uno z. e un microcosmo che mostra l'uomo al centro di una sfera quadripartita che rimanda agli umori e agli elementi.Microcosmo e macrocosmo vivono quindi un'esistenza speculare grazie al legame costituito dal sistema zodiacale all'interno del quale non potevano non essere collocati, sulla base dell'identità numerica, i dodici apostoli (v.), ulteriore atto di quel processo di cristianizzazione del cosmo che, pur lasciando intatta la struttura dell'universo secondo il modello tolemaico, ne aveva profondamente modificato il valore e il significato.

Bibl.: Fonti - Diodoro Siculo, The Library of History, a cura di C.H. Oldfather (The Loeb Classical Library), London 1960, pp. 451-452; C. Tolomeo, Le previsioni astrologiche (Tetrabiblos), a cura di S. Feraboli, Milano 1985.Letteratura critica. - F. Boll, C. Bezold, W. Gundel, Sternglaube und Sterndeutung. Die Geschichte und das Wesen der Astrologie, Leipzig-Berlin 1918 (trad.it. Storia dell'astrologia, Roma-Bari 1985); F. Saxl, Probleme der Planetenkinderbilder, Kunstchronick und Kunstmarkt, n.s., 30, 1919, pp. 1013-1021 (trad. it. I figli dei pianeti, in id., La fede negli astri, dall'Antichità al Rinascimento, a cura di S. Settis, Torino 1985, pp. 274-279); id., Macrocosm and Microcosm in Medieval Pictures, Religionwissenschaftliche Geselleschaft 109, 1928, pp. 58-72 (trad. it. Macrocosmo e microcosmo nelle illustrazioni medievali, in id., La fede negli astri, cit., pp. 47-62); id., The Zodiac of Quaṣayr 'Amra, in K.A.C. Creswell, Early Muslim Architecture, I, Oxford 1932, pp. 289-295; L. Rougier, L'origine astronomique de la croyance pythagoricienne en l'immortalité céleste des âmes, Cairo 1953; J. Seznec, The Survival of the Pagan Gods, New York 19533 (London 1940), pp. 46-74; W. Burkert, Weisheit und Wissenschaft, Nürnberg 1962; O. Neugebauer, Le scienze esatte nell'antichità, Milano 1974; G.C. Garfagnini, Cosmologie medievali, Torino 1974; C.B.F. Walker, F.R. Stephenson, Halley's Comet in History, London 1985; G. Pettinato, La scrittura celeste. La nascita dell'astronomia in Mesopotamia, Milano 1998.M. Bussagli

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