ZOROASTRISMO

Enciclopedia Italiana (1937)

ZOROASTRISMO

Raffaele Pettazzoni

È la religione fondata da Zarathustra (Zoroastro), altrimenti detta mazdeismo dal nome della divinità suprema, Ahura Mazda, o anche parsismo, dal nome dei Parsi, i rappresentanti attuali dello zoroastrismo in India (v. oltre).

La dottrina. - Lo zoroastrismo è una religione di salvazione. Ha un suo proprio libro sacro, l'Avesta (v.). La dottrina caratteristica è il dualismo: l'universo è diviso in due parti contrastanti che procedono da due principî antagonistici, lo "Spirito buono" e lo "Spirito cattivo". A capo dell'ordine buono è il dio supremo, Ahura Mazdā (o MazdaI Ahura, o anche semplicemente Mazdā), "il signore che sa". Teoricamente distinto dallo "Spirito buono", Ahura Mazdā è il solo dio della religione zoroastrica, che è dunque una religione monoteistica: lo "Spirito cattivo" (Angra mainyu, Ahriman) non è un dio, anzi è l'inversione dell'idea di Dio, l'antidio. Il monoteismo interferisce col dualismo: l'opposizione è, teoreticamente, fra lo "Spirito buono" e lo "Spirito cattivo", di fatto fra Ahura Mazdā e Angra mainyu, Ōrmuzd (Ōrmazd) e Ahriman (v. ahriman; ōrmazd).

Vicini ad Ahura Mazdā nell'ordine buono sono i sei "Santi immortali" (Ameša Spenta), cioè: il "Pensiero buono" (Vohu Manah), la "Legge ottima" (Aša Vahišta), la "Sovranità eletta" (Xšadra Vairya), la "Pietà santa" (Spenta Ārmatay), l'"Integrità" (Haurvatāt), l'"Immortalità" (Ameretēt); a questi fanno riscontro, nell'ordine cattivo, altrettante astrazioni opposte, cioè i sei "Anti-Amesa Spenta", che sono: "Pensiero cattivo", "Menzogna", "Malgoverno", "Ribellione", "Infermità", "Morte". Altre personificazioni di concetti opposti sono l'"Obbedienza" (Sraoša) nell'ordine buono contro il "Furore" (Aešma) nell'ordine cattivo, ecc. In posizione gerarchicamente inferiore vengono, nell'ordine del bene, i "Venerabili" (Yazata), di cui i principali sono Mithra, Anahitā (l'"Immacolata"), il Sole, la Luna, la stella Sirio (Tištriya); a essi fanno riscontro, nell'ordine del male, i "Demoni" (daeva), come Indra, Saurva, Nānhaithya, ecc.

Questo dualismo ideale si risolve, nel mondo corporeo, in una lotta perpetua fra le creature, che sono anch'esse ripartite fra l'ordine buono e il cattivo: il bue, il cane, le piante, i metalli, ecc., nell'ordine buono; il lupo, il serpente, ecc., nel cattivo. L'uomo non appartiene per natura all'uno o all'altro dei due ordini; egli milita e combatte nell'uno o nell'altro campo in base a una libera scelta, fatta di sua propria volontà. A scegliere il bene anziché il male l'uomo è aiutato dalla religione zoroastrica, lo strumento di salvazione concesso da Ahura Mazdā all'umanità per bocca di Zarathustra. Quando l'uomo muore, l'anima abbandona il corpo e si presenta dopo tre giorni all'ingresso del "Ponte di Cinvat" (cioè "dello Spartitore"), gittato fra le più alte vette della terra e il cielo: ivi risiedono i tre giudici divini, Mithra, Sraoša e Ras̄nu; Rašnu tiene la bílancia in cui sono scrupolosamente pesate le azioni buone e cattive del defunto; se prevalgono le buone, l'anima attraversa senza difficoltà il ponte e sale alle regioni celesti di Ahura Mazdā, dove si congiunge con il suo proprio principio spirituale e trascendentale (daēna) esistente ab aeterno; se le cattive sono in prevalenza, il ponte si restringe fino alla sottigliezza di un capello, e l'anima, nel traversarlo, precipita negli abissi sottoposti, dove subirà i, tormenti dei dannati. Paradiso e inferno non sono eterni: essi avranno termine alla fine dei tempi. Allora ci sarà una conflagrazione universale: il mondo sarà invaso da un fiume di metallo fuso; le montagne saranno appianate. I corpi risusciteranno e si ricongiungeranno con le loro anime: le anime dei buoni saranno immuni, quelle dei cattivi saranno purificate dal fuoco. Tutto l'universo sarà purificato e rinnovato dal fuoco.

Il culto. - L'esercizio del culto zoroastrico era riservato ai sacerdoti, e si trasmetteva di padre in figlio. A sette anni incomincia la carriera sacerdotale, con la cerimonia del cordone, che è cinto intorno al corpo del candidato. A quattordici anni egli sostiene l'esame. Poi, quando ha imparato perfettamente l'Avestā, diventa herbed "cappellano", e finalmente mobed "sacerdote". Il sommo sacerdote si chiamava Zarathuštrotema.

La parte principale e la più caratteristica del culto zoroastrico è il culto del fuoco. Un fuoco perenne arde sopra un'altare, originariamente situato all'aperto, poi in una apposita "stanza del fuoco" (ādarān) che fa parte di un tempio. Negli altri locali del tempio si svolgono varie cerimonie del culto, come la presentazione del barsom, che è un fascetto di ramoscelli staccati da alberi diversi, la preparazione del haoma, una specie di bevanda inebriante che si estrae da una pianta, la preparazione dell'acqua santa, nonché delle offerte di carne e di focacce, ecc. Nella stanza del fuoco entro un bacino di metallo pieno di cenere sta una pietra quadrata sulla quale è alimentato il fuoco, con legna purificata e profumata. In questa specie di Sancta sanctorum il sacerdote entra cinque volte al giorno per attizzare il fuoco: deve servirsi di molle e di palette, evitando di toccare la fiamma con le mani; deve tenere una benda davanti alla bocca, per impedire che il fuoco sia contaminato dal fiato. L'idea della purità e della purificazione domina tutto il culto zoroastrico. Il fuoco è il grande purificatore, il più potente dei mezzi catartici, più efficace, p. es., dell'urina di vacca o dello sguardo di un cane (specialmente del cane "con quattro occhi", cioè con due macchie scure sulla fronte al disopra degli occhi). Il fuoco dev'essere preservato da ogni contatto impuro; perciò bisogna evitare, p. es., che vi trabocchi il contenuto di una pentola, o che vengano a cadervi gli escrementi di un uccello che può essersi cibato di una carogna, ecc. Soprattutto bisogna tener lontano dal fuoco l'impurità emanante dalla morte: quando qualcuno muore, bisogna subito portar via il fuoco dalla casa. Questa è anche la ragione per cui i seguaci di Zarathustra non praticano la cremazione. Ma neanche l'inumazione è consentita, perché anche la terra va preservata dalle impurità della morte. Così pure l'acqua, e perciò, di regola., non si fanno trasporti funebri quando piove; non si fanno mai di notte perché di notte si aggirano i demoni impuri. Il morto sopra una bara di metallo è trasportato dai becchini vestiti di bianco, e dai congiunti, a una delle cosiddette "torri del silenzio" (dakhma). Sono costruzioni in muratura, di forma cilindrica, alte quattro o cinque metri, con un tetto circolare spiovente verso il centro, dove si apre un pozzo. Su questo piano inclinato si depongono i cadaveri ignudi, lasciandoli così esposti all'azione degli elementi e in pasto agli avvoltoi, fin che siano scarnificati, gittandosi poi gli scheletri entro il pozzo comune.

Disegno storico. - Il quadro qui sopra tracciato rappresenta lo zoroastrismo - dottrina e culto - non quale lo predicò e lo praticò originariamente Zarathustra, ma quale risultò da un secolare processo di formazione e di trasformazione. Questo processo incomincia con Zarathustra; ma Zarathustra aveva dietro di sé la religione del suo popolo, alla quale attinse. Sono dunque elementi assai diversi che si trovano riuniti nello zoroastrismo; alcuni anteriori, altri posteriori a Zarathustra; elementi di età e origine più o meno problematica, specialmente per il fatto che di Zarathustra stesso non si conosce l'origine né l'età. Secondo la tradizione zoroastrica egli sarebbe vissuto fra il sec. VII e il VI a. C., e questa data è accettata anche da studiosi moderni europei. Altri pongono Zarathustra nel secolo VIII, o "verso il 1000" o anche più addietro. Nelle parti più antiche dell'Avestā - le cosiddette Gāthā (v. avmta) - si sente vibrare una possente personalità, infiammata nella lotta contro i suoi nemici, i "miscredenti". Si intravede il conflitto fra la nuova religione e l'antica. Non fa meraviglia che la "Riforma" di Zarathustra abbia incontrato delle ostilità. "In quale paese" - dice Zarathustra nelle Gāthā Yasna, 46, 1 - "debbo cercare scampo? Dove debbo fuggire?". Pare che l'opposizione sia stata così forte da costringere Zarathustra a lasciare il paese.

Il paese di Zarathustra era, secondo una tradizione tramandata nello zoroastrismo, la Media. In Media la religione era in mano dei magi, ché così si chiamavano i membri della classe sacerdotale (Erodoto, I, 101). I magi, rappresentanti della religione tradizionale, saranno stati naturalmente nemici del riformatore e della sua dottrina. La lingua delle Gāthā appartiene secondo alcuni (Tedesco) al gruppo dei linguaggi iranici nord-occidentali. Ma anche se è invece, come altri vogliono (A.E. Christensen, ecc.), una lingua del Nord-est (Battriana), ciò non basta a negare l'origine occidentale di Zarathustra, perché le Gāthā, posto che siano veramente le prediche di Zarathustra, possono esserci pervenute in un linguaggio (nord-orientale) diverso da quello in cui Zarathustra le pronunziò.

Ahura Mazdā è il dio di Zarathustra. Ma un "dio che sa" poteva già esistere come dio supremo nel paganesimo prezoroastrico. L'onniscienza è, infatti, un attributo pressoché costante degl'iddii supremi del cielo; e si sa da Erodoto (I, 131) che i Persiani (dunque verosimilmente anche le altre nazioni iraniche) avevano un supremo iddio del cielo. Di questo antichissimo dio supremo Zarathustra fece il dio unico della sua religione. Le altre numerose divinità naturistiche del politeismo iranico furono da lui negate come divinità: l'antico vocabolo daēva, che significa "dio", assunse per Zarathustra (nelle Gāthā) il senso diametralmente opposto di "demonio". Corrispondentemente furono aboliti i sacrifizî cruenti che si celebravano alle varie divinità; e fu bandito l'uso del haoma, la bevanda inebriante largamente usata nei riti della religione tradizionale. Questo fu il periodo delle origini.

Il secondo periodo è quello della penetrazione dello zoroastrismo in Persia e del suo svolgimento persiano durante il periodo degli Achemenidi. Si discute se i sovrani Achemenidi, e quali di essi, abbiano professato lo zoroastrismo. Alcuni attribuiscono una fede zoroastrica già agli Achemenidi della prima dinastia, Ciro e Cambise; altri a quelli della seconda dinastia, a cominciare da Dario I; altri (E. Herzfeld) ai soli Dario I, Serse e Artaserse I. Nelle iscrizioni di questi sovrani si è creduto di trovare il segno della dottrina zoroastrica. D'altra parte bisogna pur riconoscere che vi manca, invece qualche tratto fra i più caratteristici del genuino zoroastrismo. Infatti la devozione di Dario e di Serse per Ahura Mazdā non esclude l'adorazione di "altri iddii che ci sono"; Artaserse II e Artaserse III accanto ad Ahura Mazdā adorano Mithra e Anāhitā. Al posto del monoteismo zoroastrico abbiamo qui l'antico politeismo iranico, sia esso rappresentato nominativamente da Mithra e Anāhitā, oppure indeterminatamente dagli altri "dei". Il contrasto non è tanto fra i primi Achemenidi (della seconda dinastia) e i posteriori; ma fra la religione degli Achemenidi in genere, quale risulta dalle loro iscrizioni, e la religione di Zarathustra quale risulta dall'Avestā. C'è bensì una differenza nell'Avestā fra le parti più recenti e le più antiche, rappresentate dalle Gāthā. Nelle parti più recenti troviamo appunto Mithra - l'antico iddio indo-iranico - e altre divinità naturistiche del politeismo persiano (il Sole, la Luna, il Vento, le Acque). Questi antichi numi del paganesimo persiano e iranico (o indoiranico), primamente rinnegati da Zarathustra (e perciò non compaiono nelle Gāthā), finiscono dunque per essere riammessi nello zoroastrismo, naturalmente non come iddii (quali sono tuttavia nelle iscrizioni degli Achemenidi), perché di iddii ce n'è uno solo - Ahura Mazdā - bensì come yazata "venerabili", esseri di natura divina ma inferiori alla divinità. Anche le Fravaši, spiriti buoni che dal cielo proteggono il fedele e assistono Ahura Mazdā nella lotta contro le potenze del male, sono un'antica concezione animistica (le anime dei morti), che dal paganesimo prezoroastrico si inserisce nei quadri dello zoroastrismo. Il secondo periodo della religione zoroastrica, il suo momento persiano-achemenideo, è dunque caratterizzato da questa reazione del primitivo paganesimo sulla religione riformata, da questo riassorbimento nello zoroastrismo di elementi religiosi tradizionali in un primo tempo respinti, da questo compromesso fra la genuina dottrina di Zarathustra e le credenze tradizionali del popolo persiano.

Lo stesso processo si attua, parallelamente, nel culto. Basti dire che fra gli yazata dell'Avestā più recente figura Haoma, ossia il genio di quella bevanda inebriante che Zarathustra aveva bandito, e che, una volta riammessa, diventa un elemento cospicuo del culto zoroastrico, e tale rimane fino ad oggi.

Segue come terzo il periodo in cui la Persia, perduta l'indipendenza, subisce prima la dominazione straniera dei Greci (dal 330 a. C.) e poi quella dei Parti (fino al 227 d. C.). È questo il periodo più oscuro della storia persiana; e anche della religione zoroastrica sappiamo assai poco. A ogni modo è da credere che lo zoroastrismo penetrasse allora ancor più profondamente nell'anima persiana, immedesimando il proprio destino con quello della nazione e con la sua riscossa. Infatti la riscossa si effettuò sotto il segno della religione. La restaurazione politica della Persia sotto la dinastia dei Sāsānidi (nel 227 d. C.) segnò anche le nuove fortune dello zoroastrismo.

Sotto il regno sasanidico (quarto periodo, 227-651 d. C.) lo zoroastrismo diventò e fu quel che non era mai stato: la religione nazionale della Persia e la religione ufficiale dello stato persiano. Con ciò esso perdette un altro dei suoi caratteri originarî, quello dell'universalismo. Zarathustra aveva annunziato il suo verbo a tutti gli uomini. Il carattere universalistico dello zoroastrismo è adombrato in un passo dell'inno alle Fravaši, dove è detto: "le Fravaši di tutti i credenti, le Fravaši di tutte le credenti dei paesi ariani, turani, sarmatici, sinici, daci, le anime dei credenti e delle credenti di tutti i paesi noi veneriamo" (Yast, 13, 143-144). Con i Sāsānidi lo zoroastrismo si nazionalizzò. Tuttavia conservò quello spirito di intolleranza settaria che gli derivava dalle sue origini: questo spirito si manifestò specialmente nelle persecuzioni contro le altre religioni: il manicheismo, il giudaismo e il cristianesimo, e anche nel fatto che si ebbe, allora, non solo la religione zoroastrica, ma perfino una speciale dottrina zoroastrica come rappresentante della più pura ortodossia, e fu quella degli Zaradhustīja, propugnatrice del dualismo assoluto (coesistenza a principio di Ōrmazd e di Ahriman).

Il quinto periodo è quello della dominazione araba sulla Persia dal 651 all'invasione dei Mongoli (caduta di Baghdād e fine del califfato abbaside, 1258). La Persia sasanidica e lo zoroastrismo erano sorti insieme, e insieme tramontarono. Fu un tramonto pieno di gloria e di splendore. L'Islām non distrusse lo zoroastrismo, tanto è vero che proprio nei secoli della signoria araba fiorì intorno ai resti del libro sacro dello zoroastrismo la vasta letteratura esegetica ed erudita in lingua pehlevica (v. pahlavi). Non solo, ma lo zoroastrismo, cessando di essere la religione ufficiale, riacquistò alcunché del suo originario spirito universalistico, e riprese la sua missione propagandistica per le stesse vie battute dal manicheismo e dal nestorianesimo, giungendo fino alla Cina. Il tentativo di Bihāfrīd di accostare l'antica religione mazdea all'islamismo non ebbe fortuna. Ma lo zoroastrismo seguitò a essere l'anima della cultura persiana, l'erede delle antichissime tradizioni nazionali (Firdūsi). L'Islām stesso ne fu investito, e assunse un carattere particolare, cedendo sempre più allo spirito nazionale persiano: quello spirito che aveva nazionalizzato lo zoroastrismo, che aveva nazionalizzato il cristianesimo nella forma nestoriana, e che finì con nazionalizzare anche l'Islām nella forma sciita.

Le invasioni mongoliche in Persia segnarono per lo zoroastrismo il principio della fine. Allora andò perduta la più gran parte dei testi sacri: l'Avestā che possediamo è quel tanto che resta di un Avestā molto più ampio di cui la maggior parte andò distrutta all'epoca mongolica. Ci fu allora una diaspora persiana verso l'India. A quei rifugiati risalgono le odierne fiorenti comunità dei Parsi che, concentrate specialmente nella regione di Bombay, contano oggi circa 100 mila aderenti. A esse si deve se lo zoroastrismo, tramandato di generazione in generazione, è sopravvissuto fino ad oggi. In Persia lo zoroastrismo è rappresentato soltanto da 10-12 mila Ghebri (cioè "infedeli", come li chiamano i musulmani) nelle regioni di Yezd e di Kirmān, assai lontani dall'alto livello economico, sociale, culturale dei Parsi. Lo zoroastrismo come sistema di morale (non come religione) gode larghe simpatie fra le classi colte della Persia odierna.

Bibl.: L. C. Casartelli, The philosophy of the Mazdayasnian Religion under the Sassanids, Bombay 1889; A. V. W. Jackson, Zoroaster, the Prophet of ancient Iran, New York 1899; id., Zoroastrian studies, ivi 1928; N. Söderblom, Les Fravashis, Parigi 1899; id., La vie future d'après le Mazdéisme, ivi 1901; V. Henry, Le parsisme, ivi 1905; J. H. Moulton, Early Zoroastrianism, Londra 1913, 2ª ed., 1926; id., The teaching of Zarathustra, ivi 1917; M. N. Dhalla, Zoroastrian Theology, New York 1914; B. Geiger, Die Amesha Spentas, Vienna 1916; C. Clemen, Fontes historiae religionis persicae, Bonn 1920; id., Die griechischen und latein. Nachrichten über die persische Religion, Giessen 1920; I. Scheftelowitz, Die altpersische Religion und das Judentum, ivi 1920; R. Pettazzoni, La religione di Zarathustra nella storia religiosa dell'Iran, Bologna 1920; id., La religione di Zarathustra, in Studi e mater. di st. d. relig., 1930; id., Les Mages et les origines du Zoroastrisme, in Revue de l'hist. des relig., 1931; H. S. Nyberg, Questions de cosmogonie et de cosmologie mazdéennes, in Journ. Asiat., 1920; F. Cumont, Zoroastre et les Grecs et la doctrine Zervaniste, in Rev. d'hist. et de littér. relig., 1922; C. Bartholomae, Zarathustra, Leben und Lehre, Heidelberg 1924; J. Hertel, Die Zeit Zoroaster, Lipsia 1924; A. Christensen, Quelques notices sur les plus anciennes périodes du Zoroastr., in Acta Orient., 1925; id., Études sur le Zoroastrisme de la Perse antique, Copenaghen 1928; A. Meillet, Trois conférences sur les Gāthās de l'Avesta, Parigi 1925; J. M. Unvala, Observations sur la religion des Parthes, Bombay 1925; id., Observations on the religious conditions in modern Persia, in Studi e mat. di st. d. rel., 1933; O. G. von Wesendonk, Das Wesen der Lehre des Zarathustra, Lipsia 1927; id., Das Weltbild der Iranier, Monaco 1933; J. Pawry, The Zoroastrian doctrine of a Future Life, 2ª ed., New York 1929; E. Benveniste, The Persian Religion, Parigi 1929; A. Pagliaro, Agni, Mitra, Indra e i fuochi sacri del Zoroastrismo, in St. e mat. di st. delle rel., 1929; G. Messina, Der Ursprung der Magier, Roma 1930; H. Lommel, Die Religion Zarathustras, Tubinga 1930; L. H. Gray, Foundations of the Iranian Religion, Bombay 1930; E. Herzfeld, Die Religion der Achaemeniden, in Rev. de l'hist. des relig., 1936.