È utile, in certi casi, ricapitolare i fatti su cui si vuole provare a riflettere, per quanto siano risaputi. In questi giorni di crisi pandemica, alla popolazione mondiale è stato chiesto di adottare comportamenti finalizzati non soltanto alla protezione della propria salute, ma anche – e forse soprattutto – a salvaguardare la capacità di cura dei sistemi sanitari nazionali. Bisogna salvare il potere di salvare perché possa includere tutti. Il virus ha esiti statisticamente tanto più gravi quanto più è alta l’età dei contagiati, ma il rischio esiste anche per i meno anziani ed è legato principalmente alla possibile saturazione dei reparti di terapia intensiva. “Appiattire la curva dei contagi”: da questa necessità discende l’imposizione di uno stato di emergenza che implica la sospensione di diversi diritti, in primo luogo quello alla mobilità.

#Io resto a casa: a tutti e a ciascuno viene prescritta una disciplina che tuttavia, almeno in Europa, non si vuole presentare con il carattere della mera coercizione. Quella che viene richiesta è un’adesione consapevole, prodotta dall’informazione rispetto alle dinamiche epidemiologiche in corso e del loro rapporto con l’offerta sanitaria. Una condotta che si potrebbe definire di altruismo prescrittivo, dove i più giovani si fanno carico della salute dei più anziani, i più sani di quella dei più fragili e il singolo di quella della popolazione nel suo insieme.

Da un certo punto di vista, ciò potrebbe apparire in linea con la responsabilizzazione dell’individuo che ha caratterizzato le politiche sociali in epoca neoliberale, dove la condotta morale del soggetto, come hanno sottolineato Chris Shore e Susan Wright, è stata lo snodo principale di una “forma di potere che agisce su e attraverso l’agentività degli individui quali attori eticamente liberi e razionali”. Ciò a cui stiamo assistendo è però qualcosa di nuovo, su cui occorre riflettere in modo attento, perché il carattere esplicitamente coercitivo delle misure governamentali odierne si allontana decisamente dalla logica liberale appena ricordata.

Nell’attuale stato di emergenza, i comportamenti irresponsabili assumono una forma di rilevanza penale che li distanzia radicalmente dagli immaginari e dalle figure del contagio del lontano passato: non è certo più l’untore malvolente mal’indisciplinato incosciente, l’individualista egoista, a diventare la parte maledetta del nuovo contesto pandemico. Una morale comunitaria sembra prendere forma. Sui social media, per fare un esempio, la libera circolazione di joggers e ciclisti sembra essere stata sanzionata moralmente ben prima del decreto governativo che ha sospeso queste pratiche sportive. Si è denunciato l’egoismo di chi, rischiando di cadere e farsi male, avrebbe costretto i servizi sanitari ad occuparsi di lui invece che dei contagiati. In questa nuova morale, cura, razionalizzazione della vita sociale, altruismo prescrittivo e sorveglianza si compenetrano. In tale quadro anche l’uso dei droni per controllare il rispetto delle interdizioni è stato accettato docilmente.

A ben vedere, la connessione tra sorveglianza, controllo sanitario e morale pubblica ha una lunga genealogia, come hanno mostrato le ricerche dedicate da Michel Foucault ai trattati su “l’arte del governo” apparsi in Europa tra il XVII e il XVIII secolo. Per il loro autori, la “polizia”, lungi dall’essere ciò che conosciamo oggi, era intesa come una tecnologia di governo, o più precisamente “il calcolo e la tecnica” che avrebbero dovuto regolare i rapporti tra demografia, economia e salute pubblica; ciò ha contribuito all’emergere della governamentalità moderna. Se si ricordano questi esordi, colpisce come oggi non siano più soltanto i dispositivi istituzionali a produrre la definizione biopolitica della popolazione, ma siano gli stessi soggetti sociali a rappresentarsi esplicitamente come attori di un contesto antropologico-politico dove la vita di ciascuno si trova in un rapporto diretto con i calcoli e le tecniche di governo. Evocando il titolo di un volume di James Scott tradotto di recente in italiano, si potrebbe forse osservare che i cittadini, nell’emergenza, stanno assimilando il loro punto di vista a quello dello stato; il che, a sua volta, dischiude a nuove forme di soggettivazione morale e ad una nuova coscienza della propria condizione biopolitica. Una condizione che costringerebbe a mettere tra parentesi, almeno provvisoriamente (ma lasciando certamente una traccia nella memoria sociale che se ne produrrà) diritti e pratiche individualidiventate di colpo individualiste ed egoiste, anche solo nella misura in cui si sottraggono a quella “leggibilità” (di nuovo James Scott) che permette di sorvegliare l’altruismo delle condotte.

Ciò che le istituzioni definiscono“distanziamento sociale”, ma che in realtà non è altro che un distanziamento tra corpi, connette in modo visibile le pratiche di altruismo prescrittivo organizzate dallo stato con la logica della sorveglianza. Con le conseguenze sociali e culturali di tale connessione, con le istanze politiche che essa produrrà, l’antropologia sarà chiamata a confrontarsi nel prossimo futuro.

**Bibliografia per approfondire
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Michel Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (1978-1979). Milano, Feltrinelli, 2005.

James C. Scott, Lo sguardo dello Stato. Milano, Eleuthera, 2019.

Chris Shore, Susan Wright (a cura di) The Anthropology of Policy. Londra, Routledge, 1997.

Immagine: Toronto, Ontario, Canada - 28 marzo 2020. Persone praticano il "distanziamento sociale" in attesa di entrare in un negozio. Il distanziamento sociale viene rispettato come misura di precauzione per la pandemia di COVID-19. Crediti immagine: Shawn Goldberg / Shutterstock.com

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#pandemia#altruismo#distanziamento sociale