Tra i libri che determinarono la fortuna di Petrarca in Italia e in Europa spicca certamente Le cose volgari di messer Francesco Petrarcha. Frutto della collaborazione tra il letterato filologo Pietro Bembo e il tipografo Aldo Manuzio, il volume, fortemente innovativo per il formato tascabile, la scelta dei caratteri (del tipo del cosiddetto corsivo italico) e la cura testuale, esce a stampa nell’estate del 1501, in una prima tiratura su pergamena, destinata a famiglie nobili e clienti facoltosi (si conservano tuttora le copie appartenute a Isabella d’Este Gonzaga, alla nobile famiglia veneziana dei Barbarigo o a quella dei da Molin, e così via).

Tra i possessori di una copia pergamenacea, figura ovviamente lo stesso curatore Pietro Bembo. Alla sua morte, l’esemplare di sua proprietà ebbe vicende abbastanza travagliate e degne di un romanzo (nelle pagine iniziali si ha perfino la confessione di un furto ad opera di Traiano Boccalini, che afferma di averlo sottratto dalla ricchissima collezione di libri di Bembo: “Ego Traianus Boccalinus furatus sum inter copiosissimam ipsius Bembi librorum faraginem”) prima di approdare, grazie a Lord Spencer, nel XIX secolo nel Regno Unito, dove è tuttora conservato presso la John Ryland’s Library di Manchester.

Pur essendo ben nota agli studiosi, questa copia è stata finora trascurata in merito ad alcune postille apposte dal Bembo al suo interno. Il letterato veneziano torna infatti a rivedere il testo che lui stesso aveva pubblicato, inserendo inedite varianti, aggiungendo annotazioni sulle fasi redazionali dei componimenti e correggendo refusi. Di particolare interesse è quanto scrive a margine del verso 45 della canzone 105: “Mi meni a pasco homai tra le sue gregge”. Egli riporta la lezione alternativa “passo” in luogo di “pasco”, facendola seguire dall’indicazione “Ita poetae manu” (così di mano del poeta).

Questa postilla permette di affermare che Bembo era tornato non solo a collazionare l’originale del Canzoniere (oggi conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana con la segnatura Vaticano latino 3195), dopo la fugace disamina del 1501, avvenuta mentre attendeva al lavoro sull’edizione aldina, ma che soprattutto lo aveva riconosciuto come tale; viene pertanto a confermarsi quanto aveva scritto nella lettera a Girolamo Quirini del 20 settembre 1544 in merito all’identificazione dell’autografo di Petrarca:

Ho avuto il Petrarca quando meno lo credea avere, vedendo la cosa essersi ridotta a Padova. Ma l'amorevole prudenza vostra ha potuto e saputo più che altri a questa volta. E quelli zecchini sono stati l'amo che ha tratto questo pesce fuori dell'acqua. Siane ringraziata Vostra Magnificenza senza fine. Non vi potrei dire quanto l'ho caro. Se l'amico mi desse ora cinquecento zecchini appresso a quelli, non gliele darei. È di mano dell'auttor suo senza nessun dubbio. Ne avemo ieri M. Carlo e io veduto più d'un segno e più d'una infallibile certezza. Rendetene infinite grazie al buono e dotto Ramberti della fatica che egli ha preso per me: non son per dimenticarlami giamai.

Come recita un noto adagio, il diavolo si nasconde nei dettagli, e in questo caso una breve postilla, insieme alle altre presenti nella copia di Manchester, possono aprire scenari del tutto inediti sulla fortuna e sulla circolazione dei manoscritti dei Rerum vulgarium fragmenta nella prima metà del Cinquecento.

Marco Cursi e Carlo Pulsoni forniranno i primi risultati della ricerca in una conferenza che avrà luogo giovedì 14 aprile alle ore 11 nel Dipartimento di Lettere dell’Università di Perugia.

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