Sarà capitato anche a voi, recitava una vecchia canzone, di imbattervi in video cervellotici o noiosi se ogni tanto frequentate le mostre d’arte del nostro tempo. Con un’apertura al pubblico anticipata al 9 maggio invece che a giugno per sincronizzarsi con l’Expo,  nel suo carnet la Biennale d’arte di Venezia 2015 ha un’opera video che ci pare in grado di incollarvi alla sedia: è in una saletta nel padiglione centrale ai Giardini, si intitola Vertigo Sea e la firma il regista e sceneggiatore britannico nato in Ghana John Akomfrah. Su tre schermi scorrono in parallelo sequenze di documentari naturalistici, filmati su migranti lungo l’Atlantico, onde, balene, orsi bianchi uccisi a fucilate, neri incatenati in navi negriere, desaparecidos argentini e aurore boreali, in una desolata costa settentrionale si stagliano enigmatiche figure alla Magritte o corpi appesi di capriolo.

Leggono Marx? Ma non è una mostra «marxista»

Il curatore della manifestazione, di origine nigeriana e di natura cosmopolita, Okwui Enwezor ha chiamato la sua mostra suddivisa tra padiglione centrale ai Giardini e Corderie all’Arsenale «All The World’s Futures». Fra oltre 130 artisti viventi in rassegna, il cinquantottenne Akomfrah interpreta, con lucido furore politico e toccante poesia, le depredazioni e le ingiustizie sempre più radicate a cui vuole rimandare il sottotesto suggerito da Enwezor per la sua mostra, Il Capitale di Karl Marx. Del quale l’artista Julien Green ha approntato una lettura continua in forma di oratorio in un auditorium rosso che, nel secondo giorno di vernissage, ha riscosso sì consensi, e però quando l’hanno inframmezzata ballate politiche gli applausi sono stati più calorosi. Ciononostante non aspettatevi una mostra «marxista» o tanto meno comunista: non vuole esserlo. Né le opere sono fatte di proclami.

«All The World’s Futures» non ha la follia geniale della Biennale apparecchiata da Massimiliano Gioni nel 2013: meno da ottovolante, con meno concessioni al passato e alle marginalità, è più razionale e viaggia lo stesso attraverso i cinque continenti abitati. La pittura emerge a tratti, il disegno è frequente, la scultura può prendere la forma di motoseghe nere dell’italiana Monica Bonvicini. Al contrario ha poco da obiettare Enwezor sui drappi neri all’ingresso del padiglione ai Giardini: in Occidente evocano il lutto. Per restare sotto questo tetto, sono autentiche gabbie di matti le Borse fotografate dal tedesco Andreas Gursky, i ritratti fotografici di Walker Evans dalla Grande depressione statunitense del 1936 ripetono tutto il loro dramma, è visionario il video della kenyana Wangechi Mutu (ma vive a New York) quando tramuta una donna africana sovraccarica in mega-mollusco che scuoterà la stessa terra. Non tutti i lavori hanno una tensione analoga.

Quando passate alle Corderie l’algerino (pure lui di casa a Londra) Adel Abdessemed con la sua foresta di coltelli pare preannunciare possibili delitti facendo da incipit al tragitto; il cannone di Pino Pascali (morì nel 1968) conserva la sua forza in mezzo a un corridoio piuttosto affollato; impila con spirito più lieve tamburi o altri aggeggi l’americano Terry Adkins, il quale non può godersi la passerella perché scomparso l’anno passato. Però l’Arsenale riserva anche passaggi molto variopinti o un’affascinante donna nuda in mezzo a belle librerie.

Il Padiglione Italia: dalla memoria al lutto

Radicandosi con un suo padiglione sempre alle Corderie, dopo l’esordio del 2013 il Vaticano conferma un benefico confronto con un’arte che non sia celebrativa o patetica e vuole focalizzarsi sulle ingiustizie. Quanto al padiglione italiano affidato al critico e docente Vincenzo Trione dal ministero dei beni e le attività culturali e del turismo, alloggia in fondo al tragitto sempre dell’Arsenale. Ospita tre stranieri che vengono spesso nella penisola: Peter Greenaway (banale), William Kentdridge (con disegni per un progetto sulle sponde romane del Tevere incluso il corpo riverso di Pasolini), il regista Jean-Marie Straub, una video intervista di Davide Ferrario a Umberto Eco.

Adottando il titolo «Codice Italia» Trione esercita il discorso della memoria forse pensando a quel De Chirico da lui studiato. Tra gli invitati, non tutti efficaci, con pezzi di donne tra rovine Vanessa Beecroft rammenta Alberto Savinio; hanno tonalità mortuarie tanto Paolo Gioli quanto gli scheletri forse gay di Nino Longobardi; ricorda cappelle funebri e cadaveri di santi in teca Nicola Samorì; Claudio Parmiggiani infrange un vetro con un’ancora come raccontasse un naufragio. Inconsapevolmente, testo visivo nel suo complesso incornicia pulsioni di morte o di distruzione. Se le allusioni funebri vi inducono a pratiche anti-iettatorie, potete sempre gironzolare tra il pubblico che è un piacere: scordatevi le eccentricità plateali, sono rare. Al secondo giorno del vernissage, mercoledì 6, fra cronisti e operatori televisivi, direttori di musei, collezionisti, gente benestante, sono numerosi i giovani italiani addetti ai lavori tanto curiosi e votati alla contemporaneità quanto, da tempo, votati alla precarietà.

Venezia, Giardini – Arsenale: informazioni utili
Dal 9 maggio al 22 novembre 2015
Orario: 10.00 - 18.00
Orario: 10.00 – 20.00 sede Arsenale – venerdì e sabato fino al 26 settembre
Chiuso il lunedì (escluso lunedì 11 maggio, lunedì 1 giugno e lunedì 16 novembre 2015)

Prevendite e vendite on line
Alcuni tipi di biglietti possono essere acquistati on-line consultando il sito www.labiennale.org (previste agevolazioni)

Biglietterie
Giardini - Orario apertura 10.00 - 17.30
Arsenale (Campo della Tana) – Orario apertura 10.00 – 17.30
Dal 9 maggio al 26 settembre venerdì e sabato apertura prolungata della sede dell’Arsenale fino alle ore 20.00, orario biglietterie 10.00 – 19.30
Ultimo ingresso in sede di esposizione – ore 17.45
Ultimo ingresso sede Arsenale il venerdì e il sabato fino al 26 settembre – ore 19.45
Biglietti: intero per un giorno 25 euro, ma ci sono moltissime formule per riduzioni o biglietti cumulativi

Tutte le info sul sito della Biennale: http://www.labiennale.org/it/Home.html.