Marco Rossari, Piccolo dizionario delle malattie letterarie, Italosvevo, Piccola biblioteca di letteratura inutile, 2016.

«La letteratura è la malattia del mondo: viene espulsa dal corpo degli uomini e della realtà come il sudore che aiuta a smaltire la febbre», così scrive Marco Rossari, nel bugiardino del suo Piccolo dizionario delle malattie letterarie, pubblicato per le edizioni Italosvevo. Rossari è traduttore e grande conoscitore della letteratura anglofona, il suo libro più recente è L'unico scrittore buono è quello morto e ha scritto «un libro di spettri», così lo definisce Edoardo Camurri nella prefazione. Brillante. Ironico. Pungente. Un libro che già esisteva, «era già nella testa dell’intellettuale collettivo da anni, era già scritto in potenza, poi è arrivato quello spirito demonico dell’Autore» (p.14), ma che adesso ha una forma.

L’idea di un dizionario delle malattie letterarie è un’idea da chi crede nei fantasmi e nella letteratura, chi ascolta demoni (appunto). Perché fantasmi, spettri? Perché credere? Perché la letteratura è una religione, non solo una malattia. È un morbo, sì, ma non da malati immaginari, piuttosto immaginifici (o imaginifici)? Allora, ecco, potremmo soffrire di una forma di narcisismo letterario già solo usando la parola imaginìfico? «Blando dannunzianesimo».

Dare un nome a malesseri che malesseri non sono (o forse sì?)

Lo so: anni fa, avete letto un articolo e da allora siete convinti che la malinconia che vi prende alle 16.13, la domenica, cioè l’ora che segna l’inizio della fine del vostro weekend, sia quello che si chiama  «Sunday Blues», ovvero quel senso di tristezza che ci fa preoccupare per la settimana che verrà prima ancora che quella precedente sia finita (visto che ufficialmente mancherebbero ancora otto ore alla mezzanotte).
Così diceva l’articolo, voi lo avete letto, da allora vi sentite anche più tristi ogni domenica alle 16.13, perché sapete che quel malessere ha un nome: «Sunday Blues». Invece, no: potrebbe averne un altro, anzi: è sicuramente così. Perché è Pavese, precisamente il Malessere di Pavese, niente altro che quello. Ecco, dicesi «Malessere di Pavese: forma di malinconia estremamente contagiosa, diffusa specialmente nella zona delle Langhe, contraibile nei pomeriggi domenicali persi nella bruma autunnale, dopo aver bevuto troppi bicchieri di Nebbiolo».

Ogni parola di quelle che avete letto vi rimanda ad altro? Soffrite chissà di quante malattie elencate in questo dizionario. La prima potrebbe essere l’«intellettualite: pericolosa infezione encefalopatica che spinge a leggere Bachtin mentre il resto d’Italia guarda Sanremo».

Siete in ogni lemma, se la mattina, al bar, trovate tra gli snack e i dolciumi vari un particolare biscotto impacchettato in una confezione blu: madeleine. Li comprerete solo per il nome, per il fantasma di quel biscotto, non per altro. Vincerà sul cornetto solo per questo. Per molti sono solo madeleine, per voi no: perché voi siete affetti da proustatite.

Tornando al bicchiere di Nebbiolo, precisamente al bicchiere, o forse meglio ancora alla bottiglia, se le vostre cartelle sono alimentate da sbornia, sappiatelo, soffrite di «Bukowskite: malaugurata tendenza a credersi scrittori in seguito a una colossale sbornia.

(Al pub)

- Altro giro! E domani: trenta cartelle in un sol fiato!

(tavolo accanto)

- Quello ha proprio una brutta bukowskite.

- Scommetto che è inedito».

Solo un blocco potrebbe salvarvi. Un blocco dello scrittore, ovviamente, che – scrive Rossari – è una «momentanea fase di rinsavimento».

Lettura: primo sintomo di malessere

Non si guarisce, non si torna indietro, è bastata la prima lettura, è bastato quel primo pensiero, quell’idea – anche pessima – fissata la prima volta su carta (su file?). Adesso è probabile che spesso vi prenda quella sensazione, è possibile che dalla prima volta che l’avete sentita non vi abbia più abbandonato, che si ripresenti ogni tanto, riconoscibile, forse prevedibile: gnommero di Gadda: «nodo alla lingua di origine nevrotica che impedisce di esprimersi chiaramente».

Eppure non avete nessuna voglia di farsi passare quella nevrosi, perché? Perché – appunto – siete malati. Medicinali? Letteratura, forse? «Medicinale con controindicazioni anche gravi».

Gravissime. È stato quel giorno che è iniziato tutto. È stata colpa della vostra prima lettura. «Lettura: primo sintomo di malessere. In caso, recarsi immediatamente al pronto soccorso. Le forme epidemiche causate da passaparola (v.) si risolvono in genere con adeguata quarantena in luoghi protetti (biblioteca, v.)». Ma voi continuate ad alimentarla restando in quarantena, chissà per quanto. in «Biblioteca: luogo di autoisolamento per soggetti a rischio; quarantena volontaria». Passate pomeriggi interi in libreria perché soffrite di «Bibliofilia: forma di perversione erotica che spinge il paziente a trarre piacere dall’accumulo di polvere sopra libri intonsi».

E se guarissimo grazie al flaubertismo? «Ossessiva attenzione alla scelta della parola giusta. In casi estremi il paziente è portato a non scriverne alcuna, quindi a una pronta guarigione». Potremmo, o forse no.

Il Piccolo dizionario delle malattie letterarie di Rossari è un libriccino snello, ma denso. Verrebbe la voglia di citare ancora molte altre malattie, per esempio il «Colpo dello Strega: rimedio universale ai mali dell’editoria.

Se ci riesce il colpo dello Strega, per un po’ siamo a cavallo».

Rilettura

Munitevi di un coltello seghettato per dividere le pagine attaccate (al modo antico delle edizioni di pregio), o di un tagliacarte (se lo trovate). Non maltrattate troppo il libro, cercate di tagliare bene. Tenetelo tra i vostri libri e preparatevi a una rilettura: necessaria, utile, salvifica, tutte le volte che le vostre malattie letterarie insorgono con prepotenza.

«Rilettura: autoconvincimento snob-paranoide di avere già letto un classico mai aperto prima.

- Sto rileggendo Maupassant: non lo ricordavo così meravigliosamente fresco».

Rilettura: rilettura vi porta alla mente, subito, solo una cosa. Capite di essere più che malati, malatissimi. Perché ogni testo non è più solo testo, non è solo il corpo del testo, ma è il sottotesto delle vostre letture, è un ipertesto di ramificazioni e citazioni diventate anche spesso fantasmi che vagano nella vostra scatola cranica senza un carattere netto, ma forse già in corpo minore, o tra virgolette basse (guai a lasciare una citazione in un abito non suo).

Questi fantasmi hanno una determinata forma, font, impaginazione, profumo della carta. E rilettura è sì, un «autoconvincimento snob-paranoide di avere già letto un classico mai aperto prima» (tutti abbiamo un classico che citiamo chissà quante volte, ma in realtà non abbiamo mai letto, o finito, soprattutto: ammettiamolo), ma rilettura è questo, nella vostra testa: una decina di passi verso la vostra libreria, un’occhiata rapida agli Adelphi, rilettura… rilettura è la p. 131 della vostra edizione de Il rumore sottile della prosa, c’è il segnalibro («termometro dell’attenzione»), eccola: «Sono i libri che talora affaticano alla prima lettura, ma sbocciano superbamente ad una rilettura; e sono libri che vogliono la rilettura».

Anche il Rumore sottile della prosa è una malattia, così, finito di scrivere il pezzo («Recensione: diagnosi erronea di un dottore amico», io però Rossari non lo conosco), voi vi riammalate di nuovo, impugnate il vostro buon libro e vi abbandonate a una rilettura.

Perché siete malati. Perché siamo malati.

Ma, in fondo, non è poi questo gran male.