Le case bianchissime evocano scorci mediorientali. Le torri di vedetta – conservando lo sguardo attento di chi teme ancora l’incursione dei pirati  intenzionati a razziare le campagne – punteggiano la costa inebriate dal profumo dei pini marittimi. Immersi nel cuore profondo della Grecìa salentina – l’isola linguistica ellenofona situata nella Puglia meridionale – quasi a voler rendere ancor più incandescente l’atmosfera con gli echi fumanti della pizzica, i musicisti dell’Orchestra della Notte della Taranta lavorano a pieno ritmo e a stretto contatto con la cantautrice Carmen Consoli, chiamata a reinterpretare il repertorio tradizionale in veste di maestro concertatore della 19esima edizione del più grande festival dedicato al recupero e alla valorizzazione della musica dell’allegorico ragno.

Stringendo grintosamente i tempi in vista del Concertone del 27 agosto nel piazzale del convento degli agostiniani a Melpignano, la cantantessa si mostra ancora un po’ incredula per l’eccellente investitura: «Ah – sospira – essere maestro concertatore di questa manifestazione credo sia per chiunque un vero e proprio upgrade. Ho seguito innumerevoli volte da spettatrice la Notte della Taranta con un po’ di sanissima invidia, lo confesso, perché vorrei che anche a Catania si potesse fare qualcosa di simile». Già ospite sul palco nell’edizione del 2006, Carmen – come da consuetudine – non ha alcuna intenzione di vestire i panni della star: «No, assolutamente. Me ne starò dietro le quinte. Un po’ canterò, certo, ma parteciperò senza invadere troppo la scena. I protagonisti saranno gli ospiti e soprattutto gli incredibili musicisti salentini». L’impatto con quella fetta di Salento che porta il Meridione nel mondo rievoca a Carmen una serie di rassicuranti memorie emotive: «Probabilmente nella vita precedente sono stata salentina perché avverto un forte senso di appartenenza a questi luoghi incantati. Se chiudo gli occhi penso facilmente al calore delle mie campagne baciate dal sole e ai boati dell’Etna. La Sicilia condivide con il Salento parte del patrimonio genetico e culturale. Tante sono le assonanze. Forse quella che più risalta agli occhi – oltre al barocco che qui è bianco e a Catania è nero – è la signorilità delle persone; il gesto nobile degli uomini che ti offrono il caffè, per esempio, mi ricorda tanto l’educazione della mia gente».

Rielaborazioni? Soltanto una chitarra elettrica. Non sarà una Taranta snaturata dalle dissonanze rock. «Il tamburo è già rock, fa molto Led Zeppelin. Porterò sul palco l’anima della mia esperienza che – andando a incidere su note e pronunce – accomunerà Puglia e Sicilia. È ormai stato ratificato dalla Comunità Europea che parliamo tutti in siciliano. Salentino, calabrese, palermitano e catanese sono vernacoli del siciliano. L’impatto con il dialetto salentino è stato familiare. Ho imparato senza alcuna difficoltà la lingua e i testi. Le uniche contaminazioni che ascolterete, nel senso più federiciano del termine, saranno quelle in cui le due culture si intrecceranno per generare qualcosa di nuovo che riguarderà il cuore e la passione. Non stravolgerò la Taranta, la rafforzerò restando fedele a quel che è già stato fatto nel Salento nel corso della sua gloriosa storia. Oltretutto il rock e la musica elettronica per modernizzarsi attingono con frequenza alla musica popolare salentina, custode di un’indiscutibile modernità. Ne ho avuto ulteriore conferma pescando a piene mani nel repertorio del primissimo Canzoniere Grecanico Salentino».

Dedicato a Rina Durante – la scrittrice che negli anni Settanta avviò il recupero del patrimonio culturale del Salento, intraprendendo percorsi di dialogo con gli intellettuali italiani – il Concertone di quest’anno si snoderà intorno alla galassia femminile. «Sarà proprio una Notte della Taranta fimmina. Ciò non vuol dire che non interessi l’uomo, anzi. Tutti gli uomini che hanno pronunciato almeno una sola volta la parola “mamma” si troveranno coinvolti. Racconteremo la donna intesa come generatrice di vita, e l’etimologia della musica popolare che si compone di dolore, transizione e guarigione. Prenderemo in mano la malapianta velenosa che suscita tormento e disagio interiore. Il riferimento alle indemoniate che ballavano e si dimenavano per 24 ore sulla musica eseguita dal barbiere violinista Luigi Stifani per lenire lo stato di “pizzicata” sarà inevitabile».

Il modo migliore per mantenere in vita il patrimonio della musica popolare? «Riappropriarsi delle proprie radici perché sono la nostra vera identità. Oggi più si è local e più si è glocal. Siamo internazionali se utilizziamo il nostro connotato culturale; siamo provinciali quando invece cerchiamo di fare cose lontane dal nostro patrimonio genetico».

Di fondamentale importanza nella costruzione del Concertone di Melpignano è il Gioco di squadra. «La musica popolare si fa insieme. Con i miei due cavalieri Daniele Durante e Luigi Chiriatti (i due direttori artistici della Notte della Taranta ndr) abbiamo selezionando i brani che comporranno il racconto 2016. Alla base di qualunque concerto, prima ancora dello spartito da eseguire vengono il dialogo e lo scambio reciproco tra i componenti. Quando poi si va in scena avviene la magia, e tutto assume meravigliose sembianze. L’affinità umana rende tutto più armonico e bello».

Se col diffondersi dell’Illuminismo l’Europa ha spazzato via superstizioni e magie – compreso proprio il mito del morso della taranta e i suoi rimedi –  i riti di circostanza di matrice pagana nel sud Italia mantengono inalterato il loro fascino seduttivo. Incuriosita dalla loro pratica, il maestro concertatore della Notte della Taranta 2016 invoca il potere della cultura: «Perché è il vero strumento di guarigione, capace di liberare gli uomini dagli istinti più bassi che li spingono a uccidere i più deboli e a escogitare attentati tremendi e immondi. Quando i pensieri si nobilitano – grazie alla spinta dell’arte, della musica, della danza – si mettono in risalto priorità che suscitano grandi emozioni. La cultura qui è una risorsa economica. Credo molto nella bellezza, che non deve essere per forza tangibile».

Tra i muretti a secco, il riverbero chiaro della pietra calcarea tipica della zona leccese, il rosso della terra, il verde degli ulivi e l’esplosione di fichi d’india ammassati lungo i viali dell’estremo lembo d’Italia, la cantantessa dalla voce portentosa torna – se pur col pensiero – alla sua isola: «Possiamo vivere di pane e Divina commedia, ma non l’abbiamo mai fatto. Potremmo farlo, così come il Salento può vivere di pane e pizzica. Si potrebbe vivere tranquillamente anche di arancini e Taranta, ma anche di arancine e Taranta. Lo dico alla palermitana, perché Palermo è il mio amato capoluogo».