Lucio Mastronardi, Il meridionale di Vigevano, Einaudi, 1964

La teoria della razza secondo i portinai
«Quando i portinai possono combinare un matrimonio, sono così contenti che sembrano loro gli sposi. E siccome quasi tutti gli impiegati statali di Vigevano vengono dal Meridionale, la portinaia, in base ai matrimoni combinati e ai figli che sono nati, ha fatto una specie di teoria delle razze, che, a ogni nuovo matrimonio, viene ampliata e magari modificata. I figli nati fra calabresi e vigevanesi sono più intelligenti che belli. I figli nati fra siciliani e vigevanesi sono piuttosto piccoli. Fra abruzzesi e vigevanesi vengono fuori figli, uhm!, così e così: invece fra vigevanesi e sardi vengono fuori dei fiò, che a dirgli belli è dirgli ancora poco. Fra toscani e vigevanesi vengono fuori dei prepotentoni...».

Dignità e polenta
«“Non è dignitoso che la moglie d'un impiegato del nostro ufficio vada per mercati a comprare polenta...”».

Dipendenti pubblici
«A Vigevano è la prima volta che c'è un magistrato settentrionale».

Contrattazioni
«Quando a Vigevano uno deve comprarsi un vestito, si porta dietro o la donna o la madre o la figlia. Così sono in due a tirare sul prezzo».

Sputi, bestemmie e biciclette
«Nel vestibolo ci sono le vecchie targhe di ottone che vietano di sputare per terra, bestemmiare, introdurre biciclette».

Affitti
«“Quel meridionale m'aveva convinta che aveva due figli soli, e poi arriva qui con una dozzina di persone. E ha chiamato qui anche il fratello, e la moglie del fratello...”».

Sere
«Io le sere le passo in una saletta della pasticceria Tinco, a guardare la televisione».

L'industriale Girini
«“Al dì d'incò, disoma la verità, chi gh'ha no un miliùn, l'è propri una bestia l'è”».

Gorilla nella nebbia
«“Vi porto nella mia villa. Nel parco c'è uno scimmione che l'è una meraviglia. L'ho comprato ieri. Due miliùn”».

Pettegolezzi all'uscita dalla messa
«Alla mezza c'è l'uscita dei fedeli dal Duomo. La Piazza è piena. Il passeggio sotto i portici, lentissimo. Si sta godendo l'attesa del pranzo domenicale. Le pasticcerie sono affollate. Seduti davanti ai caffè, compagnie di uomini guardano con certi occhi le donne che passeggiano, come volessero svestirle. Quella l'ho passata. Quellalà è fredda. Quell'altra è calda. Quellalì va con... Quellalà fa le corna al marito. Quella va con le donne. Quella va con quelli che ci sono simpatici. Quella, aprendo le gambe, ha aperto una fabbrica di cento para. Quella ci ha un bitorzolo sulla chiappa sinistra. Non fidarti di quellalà: fa parlare i suoi morosi e poi va a riferire. Quellolì mi sbaglierò ma deve essere uno che ha voltato pagina: non l'ho mai visto con nessuna insieme. Quello ha un milione di protesti. Quello cinque. Quello ha fatto i danè colla macchinetta. Quellolà mi deve otto milioni. Quellaltrolà ha sei figli: tre dalla moglie, tre dalla serva. Quellolì è venuto siù a furia di fare vitalizi. Ocio a quellolì: ha copiato i modelli del suo padrone, ce li ha dati a un altro, il suo padrone non ha imbroccato la stagione, è andato al limbo...»

Famiglie del Sud
«“E come guadagnano! I figli fanno i muratori. Prendono giornate che sono mensili. Le figlie fanno le giuntore [operai nei calzaturifici]. I genitori vanno in fabbrica, e si portano ancora a casa del lavoro. Anche i piccoli hanno lasciato la scuola per fare i garzoni...”».

Phone center
«Alla domenica le telefonate costano la metà. La sala della Stipel è piena di meridionali che, seduti su poltroncine da salotto, stanno in attesa della comunicazione».

Toponomastica e lontananze
«La telefonista pronunciava i paesi come fossero nomi di stelle, di cose lontanissime, senza importanza».

Chiamate
«“Silla Cessuta cabina uno!” [Sella Cessuta, comune della Basilicata]».

Brughiera lombarda
«Oltre la Circonvallazione si estende la Brughiera. I piedi mi affondano su un tappeto di erba nera. L'aria si fa sempre più larga e vuota, mentre vado avanti».

La signora Ines
«“Meridionale barbaro. Garibaldi ha fatto lo sbaglio e noi lo paghiamo. Meglio i negri che i terroni. Meridione, palla al piede dell'Italia...”».

Coriandoli e carta igienica
«Mi sono sempre pulito il culo con un coriandolo per volta. Invece il culo si pulisce con la carta».

Compaesani
«“Un compaesano è sceso giù al paese. A Viggevano, dice, si fanno i soldi. Venite che vi do lavoro io nella mia fabbrica. Ma se siete partito l'altr'anno senza niente? dico. Eh sì, dice; voi non sapete cos'è Viggevano. Si viene quissopra. Il mio compaesano ha davvero una fabbrichetta in un garage. Fa scarpe. Io, la mia signora, i miei figli si lavora per il compaesano. Quando è il momento di pagare quello dice: ma che, non vi basta che io vi tengo e mantengo, e vi mostro il lavoro? Che volete di più?”».

Pantofole
«Davanti a un'altra [porta], seduti intorno a un tavolo, due giovani stavano tagliando pezzi di pelliccia; la passavano quindi a due donne che ci facevano fiocchi per ornare pantofole da donna. Su altri usci, altri meridionali cercavano di togliere sfrisi da scarpe nuove, dovuti a difetti di lavorazione».

La Fiat dell'immigrato
«Aiutai Esposito a spingere la sua seicento fuoriserie, con lu motore annànte, il bagagliaio arréte, verniciata a due colori. Dai vetri ci penzolavano gingilli. Altri gingilli erano calamitati sul cruscotto».

Razza superiore
«Risalimmo in macchina. Era sera. Per le strade c'era il traffico degli operai che uscivano dalle fabbriche. Gli Esposito parlavano di noi meridionali, che siamo una razza superiore, inutile dire, troppo superiore. Le più belle intelligenze vengono tutte da sotto, inutile dire».

Interno familiare
«Chiamò la moglie per il fazzolettino da mettersi nel saccoccino. Chiamò una figlia per farsi lustrare le scarpe. Un'altra, per farsi tagliare le onghie. Come un pascià, sedette sulla poltrona della sala; mentre una ragazza era chinata a strofinargli le scarpe, l'altra gli tagliava le onghie, e la moglie cercava, in una scatola piena di fazzolettini, nu fazzolettino con le iniziali ricamate. Alle pareti pendevano ritratti di Giuseppe Esposito, fotografato alla Mostra delle Calzature nello stand INDUSTRIA CALZATURE ESPOSITO & FIGLI fra vetrine di mocassini».

Selezione del personale
«“... e poi non è proprio vero che Pedale non dà lavoro ai terroni. Lo dà pure. Gli fa fare i facchini, i lavori pesanti; spazza' la fabbrica”».

La casa di Edoardo
«Per andare sul terrazzo si doveva traversare una camera da letto. Qui, fra letti, lettini, brande, brandine, poltrone, i suoi figli stavano chi a orlare alla macchina, chi a tagliare al tavolaccio, chi a montare ai banchetti; in una baraonda di pelle, forme e paia, posate su letti e brande».

Mafiosi
«“Dotto', questo s'interessava dagli industriali di quanti operai tenessero bisogno. Gli promettevano gente che si contenta. Veniva giù al paese a scaldare la coccia a tanta gente, con la storia che qui si guadagna quanto si vuole. Viggevano paese del minuto... Si faceva dare un tanto da quelli che volevano la sistemazione, e un tanto dagli industriali!”».

Invasioni
«“Al vega: noi Vigevano la ioma fai per noialtri: le strade tranquille; le casette col giardino; la Piazza, le lee. Adesso insomma siete venuti a invaderci voialtri”».

Case
«“Quando penso a casa mia, vedo un treno. Sempre treni di mezzo!”».

Fumo
«“Una che fuma non può essere vergine!”».

Stazione
«Un tassì stava partendo. Dietro al tassì, coi fagotti sulle spalle, c'erano meridionali arrivati allora, che guardavano l'albergo della stazione, e i palazzi intorno, e i capannoni e le fabbriche che si vedevano, con aria stralunata».

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