«Infatti è così, scompaiono. Tutto il segreto sta nel non distrarsi mai, mai abbassare la guardia… sapere sempre cosa si ha, dove lo si ha… e ciò che hai amato anche un solo mattino, tenertelo stretto fino alla morte. Tenere, tenere, tenere…».

«Non dover mai rimpiangere nulla…».

(Michele Mari, Tu, sanguinosa infanzia)

«Quel che molta gente definisce amare consiste nello scegliere una donna e sposarla. La scelgono, te lo giuro, li ho visti. Come se si potesse scegliere in amore, come se non fosse un fulmine che ti spezza le ossa e ti lascia lungo disteso in mezzo al cortile. Tu dirai che la scelgono perché-la-amano, io invece credo che avvenga tutto all’aicsevor.  Beatrice non la si sceglie, Giulietta non la si sceglie. Tu non scegli la pioggia che t’inzupperà le ossa all’uscita di un concerto».
(Julio Cortázar, Rayuela)

Una lava di vita grezza

«L’amore come l’ho conosciuto io, infatti, è una lava di vita grezza che brucia la vita fine, un’eruzione che cancella la comprensione e la pietà» (p. 3) dice la prima delle voci narranti di Confidenza, l’ultimo romanzo di Domenico Starnone: è Pietro Vella che parla, nato all’ombra del Vesuvio, ma trapiantato a Roma. Un professore che ha il cognome di Don Giuseppe del Consiglio d’Egitto di Sciascia e di nome si chiama Pietro, come Pietro Abelardo il filosofo innamorato della sua allieva Eloisa. Anche Pietro ha una storia d’amore con una sua studentessa, Teresa, ma la loro relazione durerà poco: i due non sono fatti per stare insieme (ma neanche per separarsi definitivamente). Pietro è un perfezionista insicuro, un uomo – anzi – ossessionato dal raggiungimento della perfezione («No, quindi, no, non tolleravo l’errore, non tolleravo di dovermi giustificare, non tolleravo niente che mi mettesse di fronte al fatto che non ero capace di essere perfetto, non lo sarei mai stato», p. 44); Teresa è una donna ribelle, decisa, forte, sarcastica fino allo sfinimento, una che decide l’inizio delle cose («Come quando dopo la licenza liceale, sono andata ad aspettarlo sotto scuola con l’intenzione di dirgli testualmente: ti ho amato per tre anni e ora voglio essere riamata. Gliel’ho detto proprio così, col tu, anche se ci davamo del lei fino a un minuto prima», p. 135) e che sa – anche – che possono non finire mai.

Scrivimi due righe

Teresa ha la sindrome di Eloisa, ma Pietro di più («ha cominciato a usare la scrittura come camicia di forza», p. 137) e per lui rivolgersi a lei è confrontarsi con la norma di riferimento («Se con lei a volte sgarravo, grazie a lei, in quel nostro epistolario, nella vita di ogni giorno, ormai non sgarravo più», p. 87). Teresa e Pietro si sono molto amati, traditi, desiderati, di un amore faticoso e misurabile (nella sua esagerazione), sin dall’inizio («Ed era proprio così, dava il meglio di sé quando lo mettevo in difficoltà. Era uno spettacolo abbagliante vedere e sentire come il suo corpo, la sua mente, cercavano e trovavano la giusta misura apposta per me», p. 133). Dopo essere stati insieme, capiscono che non è quello il modo di restarsi accanto e quando stanno per separarsi, trovano lo stratagemma che consentirà loro di restare vincolati l’uno all’altra per sempre: decidono di confidarsi un segreto, una confidenza, qualcosa di reciprocamente inconfessabile («Ci sposiamo. Facciamo una sorta di matrimonio non religioso e nemmeno civile, ma come lo vogliamo chiamare, etico. Se uno di noi sgarra, l’altro ha il diritto di dire a chiunque: ora ti spiego io chi è veramente quest’uomo, chi è veramente questa donna», p. 72). Credono di essere dei mostri, si raccontano le loro mostruosità, creando un legame prodigioso. E Starnone, da abile narratore, quel segreto non ce lo dirà mai: possiamo provare a capire, possiamo provare a interpretare, ma ci sono e saranno cose che solo due persone sapranno, come Pietro e Teresa saranno gli unici, sempre, a sapere.

Fate il vostro gioco

Certo, è tutto un gioco: sicuro, ma non rassicurante; un gioco di personaggi incompiuti e di persone ferite e vulnerabili, di astuzia (che dovrebbe stare lontana dall’amore) e di allineamento di desideri e paure. In Confidenza è Teresa che fa la partita, anche se è Pietro che sembra vincere sempre: o, meglio, la partita non la fa nessuno da solo, e nessuno fa davvero – mai – quello che gli altri pensano che faccia, farà, avrebbe fatto. Starnone, proprio per questo, affida il suo romanzo breve a tre voci diverse: Pietro, certo, ma anche sua figlia Emma e – ultima – Teresa, la pedina che tiene e custodisce tutto, dal primo mattino in cui ha incontrato Pietro (forse l’unico in cui lo ha amato davvero), quella prima volta che lo ha visto entrare in classe («un solo luogo è sempre determinato: l’aula del primo liceo, la prima a destra, subito dopo la scalinata. Pietro è entrato lì una mattina, ha poggiato una borsa di stoffa gonfia di libri sulla cattedra. Aveva, credo, ventisei anni, o forse meno. Da quel momento ho fatto di tutto perché si accorgesse di me e lui ha fatto di tutto per ignorarmi», p. 132). È uno di quei momenti in cui ci si sente pienamente vivi, in cui si inizia a sperare che la vita prenda la piega che corrisponde esattamente ai nostri desideri, uno di quegli attimi che precede gli amori che durano una vita (eterni, fino a prova contraria: più o meno fortunati, più o meno esistenti, più o meno possibili): li riconosci subito e, forse, sin dall’inizio capisci che fine faranno. Quegli amori che, spesso, assumono le sembianze di un’eterna lotta con noi stessi: tra quello che vorremmo e quello che sappiamo essere giusto. Tra la vita che è andata avanti e il cuore che è rimasto ancorato a tutto quello che non abbiamo vissuto – e che molto probabilmente non vivremo mai – che continuerà a viaggiare parallelamente a quello che abbiamo scelto, come un ventaglio di possibilità e un armamentario di errori che abbiamo evitato.

La virtù sta nel mezzo, l’amore nei dimezzati

Pietro e Teresa potrebbero completarsi, eppure scelgono di restare incompleti per tutta la vita: lui sposa Nadia, ha tre figli, diventa un intellettuale di successo; lei è una scienziata famosa che lavora oltreoceano. Quelle volte in cui si incrociano, restano legati da un filo sottile («Chi è – mi chiese all’orecchio – la donna in fondo a destra: hai parlato per un’ora solo a lei», p. 67), sottilissimo; un filo, potremmo anche dire, inesistente, eppure intollerabile per Nadia che sa che Teresa è una presenza costante, anche quando si fa assenza: qualcosa che rimane, una pagina pronta a spuntare quando meno te l’aspetti («E la pagina l’hai girata? Hai visto in che bella compagnia ti trovi?», p. 60), un elemento di disturbo (Teresa piena di spigoli) per Nadia che ha tutto, ma ha visto rompersi sogni e desideri e ha tradito Pietro per restargli accanto, inadeguata, come – quasi – tutti, incompleta, mancante.

In un mondo di cose che mancano, dovremmo essere più attenti agli interi («Volevo solo che si rendesse conto anche lei di quanto fosse prezioso, nella sua rarità, il nostro rapporto, così diretto, senza nessuna preoccupazione per le apparenze, visto che ci era ben nota la nostra sostanza», p. 47) e alla faccia che portiamo in giro ogni giorno, senza pensare troppo al trucco che c’è, ma non si vede.

La confidenza che lega Pietro e Teresa non si vedrà mai: precaria, forse svanita negli anni (e poi: era davvero inconfessabile?), è un trucco che non serve, perché non è mai servito: inutile, dopo essersi messi a nudo, superfluo se si gioca a viso aperto, carichi di difetti, incapaci di somigliare al nostro profilo migliore.

È sempre difficile essere pronti, sarà difficile anche quando tutto sarà pronto per noi, quando ci chiederemo a cosa sarà servita la nostra fatica («E mi chiedevo che senso avesse tutto quel mio governare la vita, educarla, istruirla, quale vantaggio terreno o premio celeste mi ricompensasse per averla affinata con tanta fatica, e mi veniva sonno», p. 105).  L’unica vita possibile è solo quella che scegliamo, viviamo, cerchiamo di governare, senza sapere come affronteremo il finale, quando saranno tutti lì ad aspettarci, come Emma, Nadia e Teresa che, insieme, aspettano Pietro che non arriva, perché Teresa finalmente sa («Peccato, sapevo finalmente cosa dire», p. 141).

Domenico Starnone, Confidenza, Einaudi,  2019, pp. 152

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