SUR ci regala la traduzione di un testo inedito (in Italia) e prezioso: Correzione di bozze in alta Provenza, di uno dei narratori più amati del Novecento, Julio Cortázar.

Correzione di bozze (tradotto da Giulia Zavagna) è una sorta di diario di bordo che Cortázar scrive parallelamente all’ultima revisione del suo romanzo più politico: il Libro de Manuel. Iniziato nel 1970 e pubblicato nel 1973, fu – per dirla con le parole dello scrittore – «un tentativo, ancor più esplicito che nel racconto Riunione, di convergenza tra letteratura e politica, perché in questo caso le notizie dei giornali e la storia quotidiana sono direttamente mescolati alla finzione letteraria». Il libro, mai tradotto in italiano, racconta, alternando la fiction a ritagli di giornali ripresi dalla stampa contemporanea, le disavventure politiche ed esistenziali di un commando rivoluzionario che sta organizzando a Parigi un attentato contro un personaggio a capo dei meccanismi di repressione dei commando militari rioplatensi. In quel commando ci sono Susana e Patricio, genitori di Manuel, che è il primo destinatario del romanzo. Il Libro de Manuel nasce come risposta di Cortázar, che viveva a Parigi, alle notizie, che prima dagli amici e poi dalla stampa, riceveva dall’Argentina, Paese all’epoca sotto la dittatura dei militari, alle prese con tortura, violenza, repressione.

È il 1972 e Julio Cortázar decide di partire col suo amato «drago Fafner» (un furgoncino Volkswagen, una specie di casa con le ruote il cui nome discende dalle sue predilezioni wagneriane), portando con sé cibo in scatola, vino rosso e una macchina da scrivere. Correzione di bozze è il risultato di questo viaggio: breve ma intenso diario di un fine settimana in cui lo scrittore affronta una tempesta sulle rive del Rodano e indaga la sua personalità, il suo essere scrittore, si fa altro rispetto a sé stesso e al suo scritto: si fa lettore per comprendere meglio il suo rapporto con la scrittura.

Cortázar è un «Robinson deliberato», «un fuggitivo nella marea della storia», come scrive Villoro nella bella prefazione al testo. Storia che però lo segue, o forse insegue, con la sua brutale puntualità, mentre riflette sulle ragioni e sui modi che hanno fatto nascere o che hanno accompagnato la stesura e lo stile del Libro de Manuel, perché la radio, in quei giorni, diffonde le notizie dei fatti di Monaco del ’72 e di un gruppo di militanti Montoneros assassinato a Trelew, in Argentina. Quelle notizie sono la prova che il suo romanzo – purtroppo – non ha perso attualità, anche se sono trascorsi due anni dall’inizio della stesura. E che lui non ha perso la sua sfida contro l’urgenza quasi giornalistica della stesura stessa, perché – e questo Cortázar lo sapeva benissimo – il Libro de Manuel non era Rayuela: con un testo come Il libro de Manuel la sfida era quella con l’immediatezza: «inserire nuovi codici espressivi (gli strutturalisti apporranno qui il vocabolo preciso) comporta un tempo di assorbimento più o meno lungo da parte dei lettori, cosa che in questo caso avrebbe rovinato l’intenzione di immediatezza del libro, unica ragione della sua scrittura».

In questo esilio deliberato, in questo allontanamento volontario, c’è la lucida e profonda umanità di uno dei più amati scrittori del Novecento, l’analisi del suo lavoro, del prezzo da pagare: fare i conti col qui e ora, puntare ad altro rispetto al passato, «lottare contro un sospetto di facilità», trovare pace – però – proprio nella scrittura, fonte e soluzione al problema, capendo che, in fondo, anche nel Libro de Manuel, così diverso, così altro, c’è Rayuela, c’è 62, «c’è il tizio di cui sopra che in qualche modo è il mio paredro», c’è, insomma, Cortázar.

Come pure nelle brevi, belle, pagine di Correzione di bozze, con la boxe, l’amata nobile arte («se mi faccio prendere dalla boxe qui si parlerà di tutto tranne che di Manuel»); la cucina, i dubbi, i pensieri dei giorni di isolamento voluto di un uomo che sa che «solo gli altri scoprono le nostre ossessioni più segrete, ma uno scrittore che si rilegge criticamente può a volte essere anche gli altri».

Il drago Fafner è funzionale alla necessità dello spostamento, e lo spostamento era necessario per questa rilettura perché, come scrive Villoro nella prefazione, «il testo lo inquietava troppo per leggerlo in un posto solo; richiedeva un’attenzione molteplice e diversa dal solito». Quell’attenzione nasce e trova ospitalità all’interno del drago, nello spazio stretto e pigro di Fafner («dentro Fafner si accendono la radio e il riscaldamento e la luce senza muoversi dalla sedia, i piatti e i bicchieri sono di carta e si buttano, il cibo è un barattolo che si riscalda, alla doccia e allo shampoo ci si penserà al ritorno»).

Il mondo è fuori: nella tempesta che affronta sulle rive del Rodano, nella voce della Storia che arriva come conferma attraverso le notizie della radio. Cortázar è dentro: dentro Fafner, nella terra di mezzo tra la stesura della sua opera e la lettura della sua opera attraverso gli occhi degli altri. Grazie al piacere e al brivido provocati dal suo «fafnerismo estivo», Cortazar è dentro la sua concezione della storia: nelle sue reazioni contro la superficialità di parte della stampa contemporanea e «i tasti della sensibilità epidermica»; nelle conferme che gli vengono dalla storia, nella consapevolezza di aver scritto quello che doveva scrivere, e di non essere arrivato tardi, anche se, fin troppo onesto con sé stesso come solo un grande della lettura sa essere, giudicherà il suo libro un esperimento non pienamente riuscito.

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