Chi non ha mai sognato di essere invisibile? Le avventure da osservatori inafferrabili coi sensi cominciano durante le scuole elementari, ci si immagina tra luoghi preclusi e scherzi avvincenti; la molla può essere un’interrogazione da evitare fantasticamente, come accade al piccolo Tonino l’invisibile di Gianni Rodari.

I più eterei vanno avanti anche da adulti e a loro parla Wells nel suo L’uomo invisibile: chi vive tale condizione “può dominare il mondo: nessuno lo vede quando arriva e quando se ne va. Può ascoltare qualsiasi segreto, può rubare e distruggere”. In assenza di mantelli o fluidi dell’invisibilità la bramata condizione è ancora lontana dall’essere realizzabile, malgrado la recente, sorprendente invenzione dei ricercatori dell’Università americana di Rochester, un sistema di lenti che consentono di rendere invisibile un piccolo oggetto.
Che succede invece nelle nostre second life virtuali? I più navigano in rete con la corretta consapevolezza che il proprio indirizzo IP li renda rintracciabili come persone reali dietro gli avatar. Ma cosa accadrebbe se ci fosse un modo per camuffare la propria identità e risultare localizzati nel punto di coordinate zero-zero-zero, al largo del Golfo di Guinea in pieno Oceano Atlantico? È esattamente ciò che si può fare utilizzando un router TOR, acronimo di The Onion Router, tecnicamente un sistema di anonimizzazione delle comunicazioni creato dalle forze armate americane oltre dieci anni fa. Sotto l’egida della cipolla, metafora di strati nascosti, è possibile accedere alla rete profonda o deep web, nome evocativo con cui è ormai designato l’universo sommerso di internet, il darknet. Un mondo le cui dimensioni sono sconosciute (stime arbitrarie valutano la sua estensione come quadrupla o addirittura centupla rispetto al numero di pagine indicizzate da Google), accessibile con pochi step alla portata di inesperti informatici, grazie anche ai numerosi tutorial che si trovano in rete. Raggiunto solo in Italia da 150mila utenti, triplicati dopo il caso Snowden, l’ex tecnico della CIA che lo scorso anno ha rivelato i segreti dettagli dei programmi di sorveglianza di massa del governo statunitense e britannico. Al suo interno si agitano le forze dell’Es del web: attività illecite come truffe, commercio di dati e carte di credito, violazioni di computer attraverso malware in grado di riprendere video attraverso le webcam dei dispositivi. Paradiso di droga, banconote e documenti contraffatti da acquistare rigorosamente in Bitcoin, moneta ufficiale del darknet perché non tracciabile, con tanto di feedback da lasciare ai venditori in stile Ebay. Il portale più importante era Silk Road, un ironico e romantico omaggio alla via della seta, con una precisa policy etica: contenuti pedopornografici e commercio di armi erano banditi.
La storia di questo portale sommerso è ben raccontata nell’ebook Deep Web. La Rete oltre Google di Carola Frediani: nato nel febbraio 2011 e gestito da un oscuro utente noto come Dread Pirate Roberts, è stato sequestrato dall'FBI nell'ottobre 2013 in seguito all’arresto del suo presunto fondatore e capo, il trentenne americano Ross Ulbricht. Il fenomeno dei mercati neri del Deep Web non si è certo fermato; sono anzi proliferati, aggiungendo specificità o nuove funzioni di sicurezza. Alcuni di questi siti, incluso un Silk Road 2.0 risorto poche settimane dopo la chiusura del primo, sono stati sequestrati un mese fa nell'ambito della maxi-operazione internazionale Onymous, che ha portato all’arresto di 17 persone e al sequestro di 1 milione di dollari in Bitcoin. Ma è solo una parte dei siti che continuano a nascere nelle darknet. L'anonimato del Deep Web serve anche a giornalisti, dissidenti, attivisti per difendersi da sguardi indiscreti e tutelare la libertà di espressione, aggirare blocchi e censure in paesi a rischio come Cina, Egitto e Siria; tanto da spingere media come Forbes ad aprire spazi per ricevere comunicazioni in pieno anonimato.