Meno male.
Quando è cominciata questa emergenza da Coronavirus è quello che nella Scuola molti di noi hanno pensato.
Meno male che la tecnologia ci ha sottratto da una condizione di assenza, impotenza, di fronte al nostro lavoro. Grazie solamente al fatto di aver attivato il registro elettronico (e soltanto da qualche anno) dove per esempio continuare ad assegnare dei compiti, possiamo non perdere del tutto il contatto coi nostri alunni, possiamo in una certa misura continuare la nostra attività didattico-educativa, far ancora sentire ai ragazzi che la scuola e i gli insegnanti sono loro vicini, fare in modo che l’impegno dello studio, della loro crescita culturale, della conoscenza sia ancora vissuto come un fatto quotidiano e irrinunciabile, centrale per la vita di ciascuno.
Meno male.
Meno male che non c’è solo il registro elettronico, che già nelle prime ore dopo il DPCM che chiudeva tutte le scuole in Italia, molti istituti (compreso quello dove lavoro io, che a Roma è tra i più in evidenza nel bene e nel male) hanno attivato in pochissimi giorni, forse si potrebbe parlare di poche decine di ore, le piattaforme per la didattica a distanza (che già chiamiamo amichevolmente DAD come se la conoscessimo da sempre), mettendo in condizione gli insegnanti di poter tenere la lezione direttamente coi loro alunni, seppure a distanza. Ci si può vedere e ascoltare in diretta, uno di fronte all’altro, in molti casi addirittura rispettando l’orario didattico stabilito prima dell’emergenza. Proprio come quando si è in aula, solo che qui ognuno è fisicamente a casa propria (o in un altro luogo idoneo che rispetti le indicazioni di emergenza sanitaria) e condivide con gli altri lo stesso spazio virtuale, anche se ciascuno può immaginarlo come vuole, costruirlo, arredarlo individualmente, a proprio modo, muoversi in esso come gli pare, guardare ovunque e fare, nel tempo che la lezione dura, qualsiasi altra cosa, essere vestito in qualsiasi modo tanto si può scegliere di non esser visti e attivare la telecamera solo quando ci va.
Meno male.
Meno male che gli insegnanti, contrariamente alla vulgata che spesso li vuole scansafatiche, privilegiati per il loro tipo e orario di lavoro, per i tanti giorni di ferie di cui godono, si sono immediatamente dati da fare, attivati a seguire corsi in rete, tutorial, lezioni on-line, per imparare come avviare una DAD e immediatamente offrire questo servizio ai loro alunni. Una vera testimonianza di professionalità e attaccamento al lavoro contro i luoghi comuni che invece spesso li avrebbero voluti fannulloni. È una vera e propria rivincita, un vero e proprio riscatto professionale (anche se devo dire che nei media risalta maggiormente il lavoro del dirigente scolastico più che degli insegnanti e degli amministrativi, come se l’uno potesse funzionare senza gli altri, tutti gli altri).
Meno male.
Meno male che i genitori a casa sono molto contenti e hanno accolto con vero entusiasmo la novità della DAD, tanto che in alcuni casi si sono sorpresi che si chiedesse loro l’autorizzazione per inserire nella piattaforma alcuni dati e recapiti delle loro figlie e dei loro figli perché potessero collegarsi e quindi interagire coi loro insegnanti. Così anziché andare a scuola è la scuola che entra nelle nostre case quasi come la televisione, e quando avremo imparato a usare questo strumento un po’ meglio non ci sarà nemmeno più bisogno di collegarsi all’ora X, ma basterà registrare la lezione, archiviarla e poi ciascuno se la segue quando vuole, magari la mattina presto mentre fa colazione o la sera prima di mettersi a letto, proprio come facciamo con le partite di calcio o qualsiasi altro programma televisivo. È in atto una vera e propria rivoluzione, finalmente la scuola al passo coi tempi.
Meno male.
Meno male che è arrivato Covid-19, se non ci fosse stato avremmo dovuto inventarlo. È cinico e non lo dirò, ma quanti oggi tra noi insegnanti saprebbero fare quello che stanno facendo nel proprio lavoro senza quest’emergenza?
Staremmo ancora lì, nelle nostre aule mezze impolverate, con le LIM che ormai funzionano poco, a richiamare continuamente l’attenzione dei nostri studenti che si distraggono o fanno altro invece che seguire la lezione. Affaticati dal fatto di dover continuamente essere attenti al tono di voce che usiamo per tener sveglio e attivo l’ascolto, a non parlare più di 15-20 minuti di seguito lasciando così spazio agli interventi dei ragazzi.
Staremmo ancora lì, a sollecitare in tutti i modi la loro curiosità, cercando di suscitare interesse per le nostre discipline attraverso i tanti significati che in esse risiedono, convinti, come siamo, che nulla educa più dell’impegno a collegare tra loro contenuti e saperi disciplinari trasversali, producendo lavoro riflessivo e pensiero critico.
Staremmo ancora lì, dopo tanto nostro lavoro preparatorio, a insistere perché si percepisca che l’apprendimento non risiede nella trasmissione e acquisizione di un contenuto, non risiede nelle parole che si dicono e che possono essere ripetute più o meno uguali, più o meno passivamente.
Staremmo ancora lì a sostenere che è proprio in quelle parole che non si sono pronunciate – nell’implicito della lezione che si manifesta nelle pause espressive, nel visuale lavoro di ricerca della parola adatta, dell’espressione compiuta, nella riproposizione di un concetto di fronte a un “prof. non ho capito”, o di fronte a un’espressione interdetta che mentre parlavamo abbiamo colto – che la conoscenza prende letteralmente corpo.
Staremmo ancora lì, tra due suoni di una campanella, cercando di mostrare la necessità reale, che noi insegnanti conosciamo bene, di trovarsi in quel luogo nello stesso momento, seduti insieme a tante altre persone diverse, affinché si possa cogliere che la conoscenza di una dipende ed è profondamente connessa alla conoscenza dell’altra, a costruire la percezione che l’oggetto del conoscere risiede in questo processo fisico che non esiste se non è comune, condotto collettivamente, che richiede un incontro corporeo dove ci si vede e ci si può anche toccare, il solo che possa dare spazio all’apprendimento e tempo all’accadere della conoscenza.
Staremmo ancora lì.
Invece siamo già aldilà di tutto questo, inevitabilmente in un altro spazio e in un altro tempo, dove si dovrà dare senso agli eventi di oggi e costruire il futuro – un futuro che comunque ci vedrà in esso presenti, data la profondità e la velocità delle trasformazioni.
La forza deve venirci da questo, dalla consapevolezza che occorre essere nel movimento che mette le persone in cammino, lungo il quale ad ogni passo in avanti una gamba spinge e l’altra tira, dove un piede cerca la terra nuova e l’altro guarda quella che lascia.
Le cose e quindi anche la Scuola, l’Educazione, la Conoscenza chiedono già che si dica cosa e come dovranno essere, quali pratiche e tecniche dovranno configurare la loro azione e la loro efficacia sociale, politica, economica, come dovrà essere interpretata la loro funzione, quale luogo occuperanno nell’orizzonte di sviluppo civile e democratico del Paese.
Tutto andrà bene, usciremo dall’emergenza sanitaria e sarà in quel momento che noi Lavoratori della Conoscenza dovremo essere presenti in tanti, sostenere con convinzione che tutto possa andare meglio, essere forti e guidare la trasformazione.
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