Nel quarto atto del Mercante di Venezia di William Shakespeare, scritto verosimilmente fra il 1596 e il 1598, l’ebreo Shylock si converte al cristianesimo pur di scampare alla pena capitale. Degli stessi anni all’incirca sono una serie di documenti mantovani inediti studiati da Tamar Herzig in un articolo intitolato “The Hazards of Conversion: Nuns, Jews, and Demons in Late Renaissance Italy”, appena uscito nella prestigiosa rivista “Church History” (85: 3, September 2016, pp. 468–501). Grazie a questo ritrovamento la studiosa, docente di Storia moderna presso l’Università di Tel Aviv, ricostruisce alcune vicende riconducibili al clima religioso postridentino (conversioni degli ebrei, possessioni diaboliche, caccia alle streghe e monachesimo femminile), degne certamente di un romanzo.

Abbiamo chiesto alla studiosa di parlarci di questa sua ricerca.

Quanto erano frequenti all’epoca le conversioni degli ebrei?
Con il tentativo di riaffermare la propria universalità dopo la Riforma, la Chiesa cattolica iniziò la campagna di conversione degli ebrei. I numeri restano incerti, ma è stato stimato che gli sforzi compiuti – che includevano tra l’altro la creazione di Case dei catecumeni nelle città principali – fecero sì che almeno un membro per famiglia si convertisse, dalla metà del Cinquecento fino alla fine del Settecento.

Quale rapporto si instaurava fra ebrei convertiti e la comunità ebraica del posto?
Molti scrittori del ‘500, ma anche neofiti, dichiarano che il battesimo rappresenta una totale rottura con il loro passato, ma oggi sappiamo che molti tra i convertiti non arrivarono a spezzare i legami coi loro correligionari. Molti continuarono a vivere nelle stesse città, avendo relazioni con i loro parenti. Tutto ciò era ufficialmente proibito, ma essi si giustificavano dicendo che in questo modo avrebbero potuto persuadere altri ebrei a convertirsi. In alcuni casi effettivamente i convertiti facilitarono le conversioni di loro parenti, in particolar modo di bambini o donne, il cui stato di subordinazione li rendeva deboli a resistere a pressioni di accettare il battesimo. In altri casi, come quello di cui parlo nell’articolo, i neofiti furono incoraggiati a citare in giudizio i loro parenti ebrei per ottenere la loro quota nel patrimonio di famiglia. Eppure anche coloro che hanno abbracciato il cristianesimo di propria iniziativa e avviato contenziosi legali con altri ebrei non dimenticarono completamente la loro origine ebraica. Essi rimasero come “anime divise”. Di tanto in tanto ricevevano lettere o regali da conoscenti ebrei o si riunivano con loro, suscitando così i sospetti dei cristiani sulla sincerità delle loro conversioni. La paura delle conseguenze di tali sospetti ebbero anche esiti tragici. Per fugare ogni dubbio, i convertiti ricorsero a volte a mezzi disperati come il suicidio, o, come nel caso analizzato nel mio articolo, accusando altri ebrei di stregoneria.

Chi era Luina, meglio nota in seguito come Suor Margherita?
Luina era una ragazza di Ferrara, che decise di convertirsi al cristianesimo e poco dopo entrò nel convento domenicano di San Vincenzo in Mantova con il nome di Suor Margherita. Sostenuta dalla sua benefattrice aristocratica, citò in giudizio il padre, Gentiluomo da Norsa, molto probabilmente al fine di costringerlo a pagare la sua dote spirituale. Nonostante questa disputa legale con la sua famiglia, Suor Margherita continuò ad avere contatti con i suoi parenti. Si vide ad esempio con Josef Finzi, marito di sua sorella Perna, venuto a farle visita nel suo convento, che le portò alcuni doni. Nell'autunno del 1598, Suor Margherita cominciò a mostrare uno stato di deterioramento della salute mentale che fu interpretato come un segno di possessione demoniaca. Fu pertanto esaminata da un tribunale speciale ducale, gli atti del quale sono stati distrutti nel XVIII secolo. La documentazione ancora esistente indica che durante l’interrogatorio la suora affermò che erano stati gli oggetti ricevuti in dono dal cognato, e soprattutto una sua ciocca di capelli, che le avevano provocato la possessione diabolica. Josef Finzi fu interrogato sotto tortura, e confessò di aver pagato Judith Franchetta, anziana vedova ebrea, per stregare la ciocca di capelli data a Suor Margherita per farla impossessare dal demonio. Si trattava di una ritorsione per l’azione legale mossa da Suor Margherita contro suo padre – nonché suocero di Finzi – Gentiluomo da Norsa. Franchetta fu condannata e bruciata come strega il 22 aprile 1600, mentre la condanna di Finzi fu rinviata, e mentre si trovava in prigione accettò di convertirsi per scampare alla morte, disponendo anche che i suoi due figli fossero battezzati. Riguardo a Suor Margherita, secondo un cronista mantovano, i suoi sintomi diabolici diminuirono, arrivando alla completa guarigione. La sua conversione e il suo successivo ingresso al convento furono così trasformati in una storia di successo per la Chiesa trionfante.

Hai trovato anche documenti di processi dove si parla di condanna di streghe ebree?
Nonostante sia frequente associare gli ebrei alle pratiche demoniache e alla magia nera, furono pochissime le donne ebree coinvolte in processi di stregoneria nell’Europa dei secoli XVI e XVII. Le guaritrici e cartomanti ebree accusate di pratiche magiche e superstiziose venivano solitamente assolte o condannate a pene lievi. È un dato di fatto che Judith Franchetta sia stata l'unica donna ebrea, a mia conoscenza, giustiziata per stregoneria nella penisola italiana. Trovo particolarmente istruttivo che il reato principale che le viene attribuito sia stato quello di avere causato la possessione demoniaca di una monaca, che in precedenza era un’ebrea. Si tratta, a mio avviso, di una punizione molto dura che testimonia l'ansia profonda nel trattare il caso di una suora convertita, che stava avendo dei ripensamenti sulla sua conversione. L’intera vicenda ci dimostra comunque il significato simbolico che le élite italiane attribuivano alla monacazione di ragazze ebree dopo il Concilio di Trento.

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