Milano città d’acqua è un tuffo nella storia e nei mutamenti della città meneghina.

Nella cornice di Palazzo Morando (via Sant’Andrea 6) la mostra fotografica, a cura di Stefano Galli, promossa da Comune di Milano – Cultura, Servizio Musei Civici e organizzata da Spirale D’Idee, associazione no profit per la valorizzazione dell’arte, racconta il rapporto tra il capoluogo lombardo e l’acqua, dando la parola a 150 immagini d’epoca, mappe storiche e documenti inediti.

Le foto documentano una Milano che non c’è più, altra; lo spettatore si trova a ricercare nelle immagini esposte luoghi familiari, ne osserva i cambiamenti quasi non capacitandosi delle differenze intercorse in poco meno di un secolo. Per esempio, una foto di fine anni ’20 di via Santa Sofia, dove oggi sorge un polo dell’Università degli Studi di Milano, ha fatto pensare a chi scrive come sarebbe stato recarsi in quelle aule se tutto fosse rimasto simile ad allora.

Di fronte alle novità la prima reazione è cercare appigli per la comprensione nel già noto, nel conosciuto: il paragone più spontaneo e immediato è con la città di Venezia, non tanto a livello architettonico e urbanistico, quanto come dimensione dominata dall’acqua, in cui si impone una convivenza e un compromesso tra l’elemento acquifero e l’uomo.

L’esposizione fotografica è anche ricca di aneddoti e di curiosità: ad esempio, l’Idroscalo, oggi conosciuto come il mare dei milanesi, nacque negli anni ’20 come scalo per gli idrovolanti. Una chicca è la fotografia del tram foca barbisa, antenato delle vetture per la pulizia delle strade, in un’epoca in cui queste ultime non erano asfaltate: era un tram dotato di un serbatoio d’acqua, i cui getti, che servivano a pulire la pavimentazione e ad annaffiarla per contenere le nubi di polvere, posti sulla parte anteriore della vettura, sembravano dei baffi; da qui l’accostamento con il famoso mammifero.

Viene inoltre reso omaggio alla Darsena, da poco ristrutturata e nuovo punto di ritrovo per la cittadinanza, un tempo ottavo porto italiano per traffico di merci.

La mostra dedica una sezione alle fontane meneghine, le quali sembrano moltiplicarsi con la progressiva estinzione dei corsi d’acqua cittadini: quasi che l’acqua non si rassegni al silenzio e cerchi di rimanere protagonista. Tra le immagini ne spicca una che raffigura l’opera dell’architetto Giuseppe Piermarini, fontana che dà il nome alla piazza teatro dell’attentato del 1969; si vede inoltre, in una foto del 1934, una sorgente d’acqua in piazza Duomo costruita per celebrare Mussolini, fino ad arrivare a quelle color verde intenso con il simbolo della città che vediamo, e da cui possiamo bere, tutt’oggi.

I navigli e i corsi d’acqua che campeggiano nelle fotografie esposte non esistono più, non così almeno; i motivi dell’assenza sono da ricercarsi senz’altro nelle questioni igieniche, ma viene facile pensare che i ritmi e le esigenze della crescita urbana e industriale siano stati decisivi anche in questa trasformazione.

Panta rei, tutto scorre: Milano ha fatto della metamorfosi uno dei suoi segni distintivi, una delle sue qualità; scorre anche Milano, quindi, insieme alle sue acque con l’auspicio che non siano limacciose, ma trasparenti e ospitali.