Una notizia che interesserà gli italiani alle prese con il rinascimento delle arti culinarie suggellato dall’Expo, e farà sorridere o inalberare i nostri chef fighetti: gli scimpanzé possiedono le capacità cognitive per cucinare. Gusto e pazienza, ma anche controllo inibitorio, comprensione del fenomeno di trasformazione e capacità di mantenere e trasportare il cibo da cucinare.

A dirla tutta la recente scoperta della coppia di ricercatori di Harvard, l’italoamericana Alexandra Rosati e Felix Warneken può apportare significative novità nella comprensione della storia evolutiva umana. Un mese fa i due psicobiologi hanno pubblicato nella rivista Proceedings of the Royal Academy B i risultati dei loro ingegnosi esperimenti condotti sugli scimpanzé Pan troglodytes, su cui a partire dal 2011 hanno replicato, nel contesto di libertà vigilata del Jane Goodall Institute nella Repubblica Democratica del Congo, una serie di osservazioni già fatte su animali in cattività. L’ispirazione era arrivata dal loro collega primatologo Richard Wrangham, autore dell’ipotesi secondo la quale lo sviluppo della cucina è stato tappa fondamentale che ha permesso ai nostri antenati di rendere la carne più digeribile e neutralizzare agenti patogeni e tossine, con la conseguenza di un maggior consumo di proteine che ha permesso di sviluppare i nostri cervelli. Cervelli sostanzialmente più grandi emergono infatti tra circa un milione e mezzo e 500.000 anni fa, in coincidenza con il controllo del fuoco da parte di H. sapiens e H. neanderthalensis. La constatazione della presenza di questi tratti nelle scimmie potrebbe portare indietro le lancette della nascita della cucina nei primi ominidi.

Ora grazie a Rosati e Warneken sappiamo che anche gli scimpanzé possiedono tre abilità necessarie per cucinare: pianificazione, comprensione dei rapporti causa-effetto e capacità di ritardare la gratificazione immediata degli istinti. Nella prima fase sperimentale sono stati replicati i risultati di altri studi, per dimostrare che gli scimpanzé preferiscono patate dolci cotte per un minuto a crudo, pagando un costo temporale per ottenere il cibo preferito. I test successivi hanno dimostrato la capacità di comprendere la trasformazione da materia prima a cibo cotto, e la loro spontanea attitudine a compierla: quando veniva somministrata loro una patata, hanno scelto nella maggior parte dei casi di cucinarla ponendola in un dispositivo di cottura – una sorta di forno selezionato per evitare che le scimmie potessero essere state esposte alla visione di umani alle padelle, per poi solo imitarli. Un anno dopo lo stesso esperimento è stato replicato con delle carote. Insomma in presenza della capacità di gestire il fuoco anche gli scimpanzé avrebbero potuto diventare chef.

Rosati, dopo che l’articolo ha fatto il giro del mondo, da noi contattata in esclusiva ha tracciato le prospettive future della ricerca: “Una domanda a cui siamo particolarmente interessati è se ci sono altri vincoli – oltre alla capacità di gestire il fuoco - che impediscono agli scimpanzé di impegnarsi in cucina. Ad esempio, noi umani teniamo a cucinare e condividere il cibo in compagnia di altri, nonostante il rischio di furto dato dalla constatazione che il cibo è fuori del proprio possesso diretto durante la cottura. Gli scimpanzé sono abbastanza competitivi con i loro simili nel setting alimentare, quindi forse potrebbero non impegnarsi nell’attività di cottura quando altri scimpanzé sono in giro e potrebbero rubare il cibo. Questo significa che un fattore chiave per rendere la cottura una strategia di successo potrebbero essere anche le competenze sociali umane”.