Con Hank Williams la nascente musica country evolse verso la sua piena potenzialità e realizzazione, rivelando la quintessenza del blues dei bianchi, in particolare delle classi meno istruite, i cosiddetti ‘white-trash’. Eppure l’‘hillbilly Shakespeare’, uno degli appellativi rifilati a Hank, uscì di scena all’improvviso e prematuramente all’età di ventinove anni quel misterioso capodanno del 1953, quando nel sedile posteriore della sua baby blue Cadillac convertibile venne trovato senza vita.

Ora, a oltre sessant’anni dalla morte, viene pubblicata una biografia accurata e completa di Williams, un catalogo deprimente di violenza e delle tragedie che hanno intriso la sua enigmatica esistenza di dolore e solitudine. A raccontarla è l’autore di cultura pop americana Mark Ribowsky in Hank. The Short Life And Long Country Road Of Hank Williams. Il libro è edito da Liveright, una divisione di W. W. Norton & Company.

Le canzoni di Hank hanno trasceso i generi musicali e hanno anticipato il rockabilly, una delle prime forme di rock & roll. Sono brani senza tempo che sono stati interpretati nel corso di decenni dai grandi nomi della musica americana, da Johnny Cash a Bob Dylan, da Perri Como a Tony Bennet, da Sheryl Crow a Norah Jones.

Per Elvis, le canzoni di Hank sono in assoluto le più tristi che siano mai state scritte e cantate, e anche le più grandi. Un adolescente Dylan ancora nel cuore della sua Hibbing rimase folgorato dalla musica di Hank. Il genio ora riconosciuto dall’Accademia di Svezia col premio Nobel per la letteratura aveva dichiarato poco più che ragazzo che “Hank scolpì le regole archetipiche del cantautorato poetico”.

[Leonard Cohen](javascript:void(0);/1489506952187/) gli dedicò una canzone nel 1988 intitolata Tower of Song: “Ho detto a Hank Williams, quanto solitari si può diventare?/ Hank Williams non ha ancora risposto/ Ma lo sento tossire tutta la notte/ Oh, cento piani sopra di me, nella Torre della canzone.” I pezzi di Hank sono come un buco nel petto, litanie di un’anima torturata e votata alla devastazione dalla dipendenza dall’alcol.

Il mitico Hank era cattivo quando era sotto l’effetto dell’alcol, umiliava la moglie Audrey Mae Sheppard che sposò due volte e della quale rimase sempre innamorato anche durante il matrimonio con Billy Jean. Audrey era una cantante e il loro matrimonio era un ring di combattimento nel quale lei quasi morì per le conseguenze di un aborto assai difficoltoso. Alla morte di Hank, Audrey gestì il suo patrimonio artistico, e i beni ereditari, occupandosi anche della discutibile carriera artistica del loro figlio Hank Jr. E finché visse, Audrey coltivò sensi di colpa per non essere riuscita a salvare Hank.

Williams nacque nel 1923 a Mount Olive, Alabama, dove la qualità della vita e l’economia non collimavano per nulla con il clima dei ruggenti anni Venti in America. L’infanzia è povera, violenta e insicura in Alabama. Il padre Lon fa il boscaiolo ma è soprattutto un alcolista tornato psicologicamente traumatizzato dal fronte francese, teatro della guerra di logoramento tra tedeschi e alleati durante la Prima guerra mondiale. Lon torna a casa portandosi la guerra dentro nella mente tanto che la moglie Lillie a un certo punto lo fa ritirare in un ospedale per veterani piuttosto lontano da casa dove ha raramente la possibilità di vedere il figlio Hiram, il vero nome di battesimo di Hank. Era stato proprio Lon a scegliere quel nome, ‘Hiram’, pensando al re ebreo Hiram I che regnò sulla città fenicia di Tiro e costruì il primo tempio israelita. I genitori di Hank erano membri di un’antica setta massonica americana dell’Ottocento, ma la madre era anche organista della chiesa battista, regno del gospel che ebbe un’influenza non trascurabile sulla musica di Hank.

Magretto e deboluccio, Hiram però cresceva in altezza. Si faceva sempre meno timido e giocava come un matto ai cowboy. Proprio come il suo vecchio pensava di essere un ‘white trash’. Una volta disse: “Per cantare come un hillbilly devi aver vissuto come un hillbilly. Devi aver annusato molto letame di cavallo”.Se il padre era ormai distante, una madre piuttosto ingombrante come Lillie si guadagnava la pagnotta gestendo una serie di bordelli.

Le prime canzoni, assai semplici e dirette, nascono a 5 anni: esprimono il senso di vuoto e d’abbandono, come quella intitolata ‘I wish I Had A Dad’ (Vorrei aver avuto un papà), indirizzata appunto al padre. A 13 prende a esibirsi per la strada, agli angoli del centro di Greenville. Per tre anni è una sorta di giovanissimo hobo, come Woody Guthrie. A 18 anni Hiram adotta ufficialmente il nome Hank, cominciando veramente a mostrare l’enorme talento sia al pubblico dei concerti che a quello televisivo. Ben presto Hank svelerà anche il volto di un uomo incredibilmente complicato e tormentato assieme a quello dell’artista prolifico influenzato dalla musica nera, dai grandi bluesmen, in testa Blind Lemon Jefferson.

Una lunga lista di canzoni ci restano in testa. Sono ormai dei classici I Saw the LightYour Cheating HeartI Can’t Help It (If I’m Still In Love With You)Hey Good-LookingJambalayaYou Win Again. Se Cold, Cold Heart è il capolavoro scritto dopo aver appreso del terribile aborto di Audrey mentre Hank si trovava in tour, I’m So Lonesome I Could Die, scritto nel 1949, è tra i pezzi più belli di tutti i tempi.

Il suo primo singolo, Never Again (Will I Knock on Your Door) risale al 1947 ed è seguito da una lunga serie di successi e dalla sua regolare presenza al Grand Ole Opry. I fan sono affascinati da quel suo sorriso beffardo, dalla sua voce magnetica, da quelle parole tristi e dai suoi vestiti eleganti, scelti meticolosamente da Audrey. Sciaguratamente sul palco era sempre però più esasperato dai fumi dell’alcol e disfatto dalle sostanze chimiche. Un incessante tremore a battito d’ali erano quelle sue mani e gli arti. La spina dorsale quasi lo infermava: i dolori cronici, lancinanti.

Hank amava collezionare fucili e anche maneggiarli: erano una compagnia inseparabile, anche sullo stage. Più di una volta venne arrestato per gli eccessi dell’ubriachezza e per l’uso di armi in luogo pubblico. Le sue amate Cadillac negli anni erano diventate il suo rifugio creativo, dove si rinchiudeva a scrivere canzoni. Le sue ultime ore rimangono ancora misteriose. Mentre sappiamo che qualche giorno prima, quel 29 dicembre 1952, sente un bisogno urgente di andare in chiesa. “Il vecchio Hank deve andare chiarire alcune cose con l’uomo con la maiuscola”, disse alla moglie Billie Jean. Quella sera stessa a letto le confesserà: “Ogni volta che chiudo gli occhi vedo Gesù che scende per la strada: viene a prendere Hank”.

La mattina seguente Hank saluta la moglie e parte a bordo della sua Cadillac diretto al prossimo spettacolo. Con lui, in quel suo ultimo viaggio, c’è il suo giovane autista, Charles Carr. Percorrono la strada polverosa ma piena di vita. Sono liberi e diretti a Canton per un concerto. La strada è lunga e la sera seguente si fermano in un hotel. Durante il tragitto sostano alla ricerca di un medico che possa sedare Hank con un’iniezione di morfina. Williams aveva già sicuramente bevuto quando gli diedero due dosi massicce di morfina con un preparato di vitamina B12 da stendere anche un elefante. Verrà arrestato un medico chiamato Horace Marshall, ma non è mai stato risolto il mistero se Williams sia morto in auto o trasportato poi giù in macchina dall’hotel. Carr non fu mai d’aiuto a risolvere l’enigma. Di sicuro Hank bevette almeno sei birre e forse Carr non fece eseguire l’ordine del medico di non mischiare alcol e forti dosi sedativi come la morfina.

Nella Cadillac di Hank la polizia trova il cappello da cowboy, il fucile, lattine di birra ancora intatte e tanti taccuini. C’è una canzone ancora fresca d’inchiostro, buttata giù con l’angoscia che lo divorava per il fallimento della relazione con l’adorata Audrey. Il testo dice: “Ci siamo incontrati, abbiamo vissuto e cara ci siamo amati, poi è arrivata quella luce del giorno fatale/ L’amore che svanisce/ Stanotte siamo soli tutti e due e questo è tutto ciò che riesco a dire/Io ti amo ancora e ti amerò sempre, ma quello è il prezzo che dobbiamo pagare”.

La madre si precipita a commercializzare la morte del figlio con visite guidate alla sua camera da letto: la tiene pulita religiosamente come uno santuario immacolato fino alla sua scomparsa. Ora da anni ormai quella casa natale a Montgomery, al numero civico 118 di Commerce Street, è stata trasformata in museo con manoscritti e memorabilia, ed è divenuta meta di pellegrinaggio per i fan di musica country.

Hank ha spiccato un volo d’aquila verso la fama e il suo mito è entrato nella cultura pop indipendentemente da tutte le stranezze legate alla sua famiglia. E a distanza di sei decadi la leggenda, e il suo fantasma, no, non vogliono morire.

Cantava canzoni tristi tristi la superstella della musica country. “Sono canzoni che ti entrano in circolo sanguigno attraverso le orecchie ma tu lui, Hank, non lo senti,” scrive Mark Ribowsky. “Senti invece solo il battito del tuo cuore che inganna.”

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