Per festeggiare i vent’anni dalla sua riapertura la Galleria Borghese di Roma, in partenariato con Fendi, dedica una grande mostra all’artista che proprio per quella sede ha realizzato alcune tra le sue opere più note e spettacolari, Gian Lorenzo Bernini.

Era il 1997 quando l’allora vice presidente del Consiglio e ministro dei Beni Culturali Walter Veltroni prometteva di lì a tre anni un «nuovo rinascimento» per il patrimonio artistico di Roma, in vista del grande giubileo del 2000. E il 28 giugno dello stesso anno la Galleria Borghese, dopo 16 anni di chiusura per lavori e restauri, aveva in effetti finalmente riaperto al pubblico le sue splendide sale. L’anno seguente una grande mostra dal titolo significativo Bernini scultore: la nascita del Barocco in Casa Borghese celebrava l’artista maggiormente rappresentativo della collezione, documentandone gli esordi tra il 1615 e il 1625, sotto l’ala protettrice dell’appassionato mecenate cardinale Scipione Caffarelli Borghese, che andava formando proprio in quegli anni nella sua villa fuori Porta Pinciana la raccolta di opere d’arte definita da Canova «la più bella collezione privata del mondo».

Con quei celebri gruppi che raccontano i miti di Enea, Proserpina, David e Dafne – giudicata troppo realistica e sensuale per poter entrare nella casa di un porporato – nasceva l’autentica rivoluzione del linguaggio barocco: una comunicazione spettacolarizzata che trascina lo spettatore con un coinvolgimento vertiginoso nello spazio della rappresentazione. Con lo scalpello, Bernini riuscì a dare forma agli stati d’animo, alla realtà dei sentimenti, come aveva appena fatto Caravaggio in pittura, ma, a differenza di quest’ultimo, uscì vittorioso dalle polemiche e dalle perplessità; diventando, anzi, il protagonista assoluto per anni della creazione della nuova immagine di Roma.

L’esposizione di questi giorni (1° novembre - 4 febbraio), intitolata semplicemente Bernini e curata dalla direttrice della Galleria Anna Coliva e da Andrea Bacchi, riprende il percorso critico avviato nel 1998, arricchendolo e superandolo con i risultati di anni di studi e ricerche. Quella che ne risulta è l’immagine di un artista “a tutto tondo”, non solo nella varietà delle applicazioni della sua arte durante una lunghissima carriera svolta sotto ben nove pontificati, ma anche nella sensibilità acuta nei confronti delle arti del suo tempo, in particolare verso la pittura dei Carracci o di Caravaggio, dei quali coglie la straordinaria portata innovativa.

Più di 70 opere, alcune come è noto “residenti” nella Galleria, altre provenienti da musei italiani, europei e americani, affollano le sale componendo un percorso articolato in otto sezioni non cronologiche, che approfondiscono altrettanti aspetti specifici della produzione berniniana: dall’apprendistato presso il padre Pietro, anche lui scultore, fino alle commissioni borghesiane e a quelle francesi di Luigi XIV, passando per la realizzazione dei bozzetti in bronzo e terracotta, per il genere particolare (e giovanile) dei putti e per quello dei busti, per la pratica del restauro dell’antico e infine per la produzione pittorica, qui per la prima volta esposta tutta insieme, a fianco e in dialogo con la scultura.

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