Il 10 agosto ricorre il quinto centenario del primo viaggio di circumnavigazione intorno al globo intrapreso da Ferdinando Magellano che, partito dal porto di Siviglia con cinque navi, ma destinato a non far mai più ritorno in patria (e per l’occasione, il Portogallo ha coniato una speciale moneta commemorativa da 2 euro a opera dell’artista Luís Filipe de Abreu), lasciò il suo nome legato a una delle imprese più straordinarie della storia. Se epico apparve nel 1969 l’allunaggio statunitense, di cui si è recentemente celebrato il cinquantenario, ancora maggiore fu l’impressione suscitata dall’avventura del portoghese, alla scoperta di un mondo che allora appariva immenso ed era perlopiù ignoto. La spedizione di Magellano, al pari di quella di Colombo, ebbe per quei tempi dal punto di vista conoscitivo una portata enorme: oltre a fornire la prima dimostrazione pratica della sfericità della Terra, mostrò le immense dimensioni del Pacifico, allora ignote, smentendo peraltro l’ipotesi tolemaica dell’esistenza di una penisola a sud-est dell’Asia.

I fatti sono noti: Magellano s’imbarcò, finanziato dalla Corona spagnola, con cinque navi e circa 250 uomini nell’agosto del 1519 da Siviglia e poi nel settembre dal porto di Sanlúcar de Barrameda, approdando mesi dopo sulle coste dell’America Meridionale; qui iniziò l’esplorazione della costa e soprattutto dello stretto – il “passaggio a Ovest”, di cui si avevano vaghe e fantasiose notizie geografiche – da lui chiamato de Todos Santos, ma che poi gli fu intitolato; con una flotta ridotta già a sole 3 navi, intraprese quindi la traversata del Pacifico, così battezzato per le condizioni favorevoli che vi trovò; raggiunse Guam, nelle Marianne, e poi le Filippine, dove morì ucciso in uno scontro con gli indigeni, con i quali tuttavia aveva avuto prolungate e apparentemente pacifiche relazioni. Il viaggio fu dunque portato a termine, attraverso la circumnavigazione dell’Africa, da Juan Sebastián Elcano nel 1522, che ricondusse in Spagna una sola nave con superstiti e in pessime condizioni soltanto 18 uomini.

Tra i superstiti vi era un italiano, Antonio Pigafetta, che lasciò una cronaca dettagliatissima del viaggio, uno dei documenti più importanti delle esplorazioni dell’epoca, la Relazione del primo viaggio intorno al mondo (1524). Osservazioni naturalistiche sulla fauna, gli incontri e le interazioni con gli indigeni, gli scambi di doni, i tentativi di conversione, nonché ovviamente i frequenti atti di violenza, come la forzata imbarcazione di alcuni di essi contro la loro volontà, causandone la morte; anche però un grande interesse per i loro usi, l’abbigliamento, le abitudini alimentari, la religione, l’organizzazione sociale, soprattutto dei popoli delle Filippine, con i quali inizialmente, prima dell’uccisione di Magellano e della fuga degli altri (narrata molto nel dettaglio da Pigafetta, e con grande riconoscenza, perché Magellano si era sacrificato per dare il tempo ai suoi uomini di fuggire), i viaggiatori ebbero proficue interazioni; annotazioni dettagliate sulle lingue, di cui Pigafetta compilò dei glossari preziosi; infine, i conflitti tra i membri della ciurma, le defezioni (come quella della intera nave Sant’Antonio nello Stretto di Magellano, che fuggì per tornare in patria), le tempeste e le paure, le preghiere e i “miracoli”, l’odio dei marinai per Magellano (secondo Pigafetta perché, in maggioranza spagnoli, non volevano essere comandati da un portoghese), il patimento della fame e le frequentissime morti per malattia: la Relazione dell’italiano rappresenta una lettura di enorme fascino, che ci restituisce in modo vivo l’essenza di quelle avventure, la fatica e lo stupore. Esattamente al contrario di quanto avvenuto a Phileas Fogg e Passepartout nel Giro del mondo in 80 giorni, infine, e con grandissima meraviglia, Pigafetta al ritorno scoprì che viaggiando verso ovest aveva “smarrito” un giorno e di essere approdato a Sanlúcar non mercoledì 5 bensì giovedì 6 settembre 1522.

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