«Mi dispiace, ma io non voglio fare l’Imperatore: non è il mio mestiere; non voglio governare né conquistare nessuno». È l’inizio del discorso rivolto all’umanità che chiude Il grande dittatore, capolavoro firmato da Charlie Chaplin che fu proiettato per la prima volta nelle sale americane il 15 ottobre del 1940.
Il film si basa sul vecchio escamotage dello scambio di persona, sulla falsariga del Prigioniero di Zenda, e racconta le storie parallele di due personaggi speculari ma identici nell’aspetto: Schlemihl, un anonimo barbiere ebreo che ha perso la memoria in un’azione eroica durante la Prima guerra mondiale e il dittatore di Tomania, Adenoid Hynkel, persecutore del popolo ebraico e anch’esso interpretato da Chaplin.
Ma se la trama del film è conosciuta ai più, pochi ne conoscono la genesi, e cioè come Chaplin maturò l’idea di dare vita a una satira su Adolf Hitler. A New York, in una saletta privata del Museo d’Arte Moderna, intorno alla metà degli anni Trenta, Luis Buñuel, davanti a due ospiti d’eccezione, sta proiettando Il Trionfo della Volontà, pionieristico documentario di propaganda nazista firmato da Leni Riefenstahl. I due spettatori sono il regista francese René Clair e il comico inglese Charlie Chaplin.
Le loro reazioni furono agli antipodi, se il primo rabbrividì, il secondo prese a ridere ogni qual volta sullo schermo compariva la figura del Führer tedesco. Nacque così l’idea da parte di Chaplin di fare un film su quel che stava accadendo dall’altra parte dell’Atlantico. A questo si aggiunga la straordinaria somiglianza tra la “maschera” Charlot e Hitler. In particolar modo per i baffi, che erano segno distintivo dei due.
Il grande dittatore, tuttavia, si preannunciò sin da subito come un progetto tutt’altro che semplice. Gli assetti mondiali stavano mutando rapidamente e la guerra sembrava ormai inevitabile. Come ricorda lo stesso Chaplin, già a metà delle riprese, cominciate nel 1939, iniziarono ad arrivare da parte della United Artist comunicazioni piuttosto preoccupanti. Sia da New York che da Londra si faceva presente come un film satirico che si prendeva gioco del Führer tedesco poteva essere molto pericoloso e divenire un fiasco commerciale da due milioni di dollari. Chaplin era perfettamente consapevole del fatto che la maggior parte dei mercati europei, Italia e Germania in testa, avrebbero rifiutato di distribuire il suo film e che lo stesso mercato americano non sembrava pronto, ma a questi rischi l’artista rispose, come lui stesso ricordò in un’intervista, rilasciata qualche anno più tardi, «ero ben deciso a mettere in ridicolo le loro mistiche scemenze sulla purezza del sangue e della razza. [...] ero deciso a portarlo a termine, avessi anche dovuto noleggiare personalmente le sale da proiezione, […] ero deciso a tirare avanti, perché Hitler doveva essere messo alla berlina».
L’uscita in sala de Il grande dittatore rappresentò un evento mediatico senza precedenti: il successo fu immediato, non solo negli Stati Uniti ma in tutto il mondo “libero”.
In Italia la prima proiezione pubblica del film si tenne a Roma, a fine ottobre 1944, con la città ormai in mano degli Alleati. Il film di Chaplin, dopo quattro anni, passava dalla ferrea censura fascista alla liberissima proiezione in pubblico.
Settantasette anni dopo la sua prima proiezione, le parole con cui il film si chiude sono un commosso e quanto mai attuale appello alla solidarietà e alla dignità umana contro ogni tipo di nefandezza «Voi non siete macchine, siete uomini».
Un allarme che, ancora oggi conserva fin troppi elementi di tragica e stringente attualità.
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