Una natura eccezionalmente ricca e variegata nonostante l’intensa antropizzazione, un clima molto fortunato, chilometri di coste balneabili rendono l’Italia un Paese tanto bello quanto delicato e gli sforzi per preservare tutto ciò, benché siano molto aumentati dagli anni Novanta a oggi, non sono ancora sufficienti, anche perché il riscaldamento del pianeta sta colpendo noi ancor più duramente che altre zone dell’Europa.

È ciò che emerge dall’Annuario dei dati ambientali, curato dall’ISPRA, e dalla ulteriore pubblicazione Ricapitolando… l’ambiente, in cui sono sintetizzate le problematiche più importanti, dalla biodiversità allo stato dei mari, dall’inquinamento al clima, che interessano i cittadini e devono quindi indirizzare le politiche ambientali.

Nonostante le ridotte dimensioni, il nostro è in Europa il Paese più ricco di biodiversità, grazie alla morfologia del territorio e alla sua varietà, alla mitezza del clima e alla latitudine: si calcoli che la penisola ospita circa la metà delle specie vegetali e circa un terzo di tutte le specie animali presenti in Europa; a livello marino, la ricchezza è ancora più grande, perché nelle acque che bagnano le nostre coste si trova la maggioranza delle specie più tipiche del Mediterraneo.

Molte di queste specie però, sia animali sia vegetali, a causa soprattutto dell’intensa attività antropica, sono minacciate: risultano a rischio di estinzione circa il 31% dei vertebrati, il 42% delle 202 policy species (cioè delle specie che convenzioni e direttive internazionali indicano come di speciale interesse conservazionistico) e il 54% delle 1.020 piante vascolari presenti nella Lista rossa. Le aree protette in Italia sono 871, che corrispondono a circa il 10,5% dell’intero territorio, una percentuale inferiore alla media europea, che ne protegge circa il 15%.

Come il resto dell’Europa, l’Italia sta indirizzando molti sforzi alla diminuzione dei gas serra: dal 1990 al 2015 ne abbiamo prodotti il 16,7% in meno, e in generale rispetto al passato produciamo molte meno sostanze inquinanti pericolose per la salute, come le polveri sottili. Tuttavia, soprattutto in alcune zone, questi sforzi non sono affatto sufficienti. Torino, Milano e in generale tutte le zone dell’area padana presentano livelli di inquinamento superiori a quelli tollerati dalle direttive europee e ancora più gravi se si tiene conto delle indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità: gli abitanti di quelle zone vivono in condizioni di pericolosità ambientale.

Anche le acque riflettono questa situazione, con un Nord che paga una condizione ambientale più complessa e un Centro-Sud più ‘felice’. In Italia le acque di balneazione rappresentano il 33% di quelle europee, ma molti sono stati i cambiamenti sui nostri litorali negli ultimi decenni. Dal 1950 al 1999, il 46% delle coste basse, quelle pianeggianti, ha subito modifiche superiori a 25 m e, nonostante diversi interventi di ripristino, le spiagge italiane hanno perso, tra il 1999 e il 2007, 16 km2. Tuttavia, rimangono un patrimonio enorme e una discreta percentuale di esse gode di buona salute. Per quanto riguarda i fattori igienico-sanitari, infatti, l’eccellenza caratterizza il 90% delle nostre coste, ma per quanto concerne altri fattori di inquinamento, la situazione è più articolata. La penisola è divisa per la gestione delle acque in otto distretti idrografici: di nuovo, l’area più inquinata è quella padana (il bacino del Po), mentre la Sardegna ha le acque più pure, seguita dai distretti dell’Appennino centrale e delle Alpi orientali. Insomma, laddove le condizioni di partenza, ambientali e climatiche, non sono così ‘felici’, come nella Pianura Padana, gli sforzi diretti al miglioramento dell’ambiente appaiono ancora del tutto insufficienti.

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