Vite straordinarie di uomini volanti, di Errico Buonanno, è un libro che racconta di vite straordinarie di uomini volanti, e non di vite volanti di uomini straordinari, perché – invece – di questi uomini, in questo libro, si narra proprio l’umanità e il loro desiderio o la loro necessità di spiccare il volo, di compiere qualcosa di ordinario (per loro), ma di straordinario per gli altri.

Il volo, per gli uomini volanti, non è nient’altro che un’esigenza o la semplice predisposizione a decollare, a scollarsi da terra (ma decollare non è anche privare della testa?).

Giuseppe, un idioto

Un uomo ordinario, che più ordinario non poteva essere, tra quelli volanti raccontati da Errico Buonanno, è Giuseppe: un fraticello, per niente ferrato negli studi, povero, ma devotissimo e anche volenteroso.

Giuseppe studiava, ma in testa non gli restava nulla (ma con una testa piena di nozioni e pesante di memoria sarebbe riuscito ugualmente a spiccare il volo come faceva?).

Giuseppe volava, un semplicissimo, e anche un po’ buffo, uomo del popolo («Era Giuseppe. Dicevano tutti fosse ‘idioto’», p. 19), uno che non aveva nulla di speciale («Insomma che c’era di speciale? Era stupido», p. 22) che passò un esame per miracolo e che è diventato, poi, il santo protettore degli studenti: S. Giuseppe da Copertino. Un uomo di poca letteratura, uno che non era proprio niente, nessuno e che non si vanta del suo volo, piuttosto se ne vergogna («Compatitemi, sono difetti di natura», p. 27), anche perché non era facile vedersela con quel difetto di natura, non è mai stato facile per nessuno degli uomini volanti. Ma Giuseppe quel difetto lo aveva, un difetto che era un potere («Il dono degli uomini svagati, di chi ha la testa tra le nuvole. Degli inetti, gli esclusi, i pasticcioni, i falliti, i bambini, gli stupidi. Di chi non sa stare sulla terra, perché della terra non fa parte», p. 26).

Il naso in aria

Il libro di Errico Buonanno parla proprio di uomini con la testa tra le nuvole, di alcuni di quei duecento uomini volanti che toccando il cielo con un dito hanno fatto sentire limitati, terrestri e piccoli – perché a vederli dal cielo non potevano che essere piccoli – tutti gli uomini di senno, e coi piedi ben saldi a terra. Chi vola non ha la puzza sotto il naso, tutt’al più ha il naso in aria; chi vola non pensa alle conseguenze (vola e basta), «davanti alla Santa Inquisizione, davanti ai pezzenti o sulla testa del Papa» (p. 39). Chi vola segue la propria libertà, ed Errico Buonanno in queste pagine scrive una sorta di manuale di volo, «ma è anche un manuale della sconfitta in partenza, che parla di cose superate e impossibili» (p. 51).

Vite straordinarie di uomini volanti è un libro che va letto ascoltando (e credendo) con leggerezza (altrimenti, ovvio non si vola): anche se in molti di noi, forse, iniziano a duellare due atteggiamenti antitetici  (un po’ come S. Pietro e Simon Mago) quando ascoltiamo storie di questo tipo, storie di «inconsistenza, testa matta, superficialità. Ed un pochino di incoscienza, ovviamente» (p. 53), di bellezza e di stupore.

Atterraggio

Queste storie, purtroppo, ci insegnano anche una cosa molto banale: «Il terrestre detesta la gente che vola. La odia, perché il volare è innato. Si può essere un santo, il primo papa: non conta. Se si è nati terrestri, per noi il cielo è precluso. Le nuvole, gli astri, li vedremo lontani. E invidieremo i volatori, li intralceremo. Quando si può, li abbatteremo. Quello che resta è quell’istinto abissale: davanti al funambolo, al giocoliere, applaudiamo. Ma, sotto sotto, speriamo ogni volta, segretamente, che sbagli. Speriamo che cada, così che ritorni uguale a noi. Vivo o morto, ma a terra» (p. 63).

A meno che non si sia ubiqui, a meno che non si riesca a essere semplici, a liberarsi delle zavorre, a cedere di fronte all’emozione, a credere – ebbene sì – alle favole, a filosofeggiare, pronti a cambiare il nostro punto di vista. E, allora, la Terra, la stessa terra sulla quale abbiamo ancorato saldamente i nostri piedi, ci apparirà ridotta a ciò che forse, in fondo, è, come all’Astolfo del Furioso. Non a tutti, ovvio, anche Ludovico Ariosto fu criticato dal Cardinale d’Este («Messer Lodovico, dove diavolo avete pigliato tante coglionerie», p. 128): uno dei due volava e sapeva far volare gli altri, l’altro era un terrestre.

Colpevoli d’innocenza

I volatori  del libro – e chissà quanti di quelli che incontriamo o abbiamo incontrato ogni giorno – si vergognano di volare, la vedono come una colpa, si scontrano col potere di turno, si nascondono o cercano di nascondere questa loro leggerezza, questa loro capacità di non prendersi mai sul serio e di andare – anche – con la stessa leggerezza, incontro alla propria morte.

Buonanno racconta anche di altri uomini  che quella leggerezza l’avevano conosciuta per poco e l’avevano vista poi come un tradimento (i fratelli Davies), altri ancora (il sarto volante) come un abito che non erano riusciti a cucirsi addosso alla perfezione e avevano ceduto a un eccesso di ingenuità, condannandosi a dover ammettere al mondo intero di non aver avuto la stoffa per volare davvero.

Errico Buonanno, Vite straordinarie di uomini volanti, Sellerio, 2018, pp. 176

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