Un recente volume, edito da Giuntina, ci permette di fare luce su una pagina di storia affascinante quanto poco nota: quella degli ebrei in Iran. Una vicenda che, per diverse ragioni – ben illustrate dall’autore nell’introduzione – è rimasta per lungo tempo ai margini della stessa cultura ebraica. E questo nonostante un patrimonio ricchissimo, frutto di una storia millenaria che ha visto gli ebrei distinguersi in vari campi, con una presenza che giunge ininterrotta fino ad oggi, all’epoca della Repubblica islamica dell’Iran.

Certo – fra luci ed ombre – non sono mancate e non mancano tuttora le difficoltà, anche gravi. E proprio da uno dei momenti più drammatici di questa storia ha origine la vicenda narrata da Daniel Fishman nel libro Il grande nascondimento. La straordinaria storia degli ebrei di Mashad. In pagine agili e scorrevoli, l’autore ripercorre la storia di questa comunità iraniana a partire dal pogrom del 1839 avvenuto nella città di Mashhad, nel nord est del paese. Meta ancor oggi di pellegrinaggio per i musulmani sciiti di tutto il mondo, questa fu teatro di un episodio determinato – come spesso accadeva in questi casi (si ricordi ad esempio il massacro degli ebrei a Trento del 1475) – da un oscuro fatto di cronaca, che fece da scintilla a una miscela esplosiva di invidie, pregiudizi ed ignoranza.

Ne ebbe origine un assalto al quartiere ebraico cittadino, dove una folla inferocita abbatté le mura e scardinò le porte delle case, uccidendo una trentina di persone e saccheggiando le proprietà dei suoi abitanti. Per sottrarsi a morte certa, i membri della comunità decisero di convertirsi all’islam. Una scelta immediata e collettiva, che non venne meno anche in seguito, quando il clima in città tornò ad essere improntato alla calma e a una relativa tolleranza.

Eppure – anche a causa del timore generato da una possibile accusa di apostasia – gli ebrei di Mashhad decisero di non tornare più indietro da quella scelta, almeno pubblicamente. Ne nacquero così una doppia identità e una doppia vita che segnarono l’esistenza di questa comunità per oltre un secolo: musulmani osservanti in pubblico ed ebrei devoti fra le mura di casa e del quartiere. Una scissione pressoché totale, che finiva per investire ogni aspetto della vita quotidiana di queste famiglie. Doppia osservanza rituale – del venerdì e del sabato oltre che delle feste – e pellegrinaggi multipli (gli ebrei di Mashhad, si racconta nel libro, compivano il viaggio alla Mecca facendo tappa anche a Gerusalemme, per pregare presso il Muro del Pianto). Doppi erano persino i loro nomi: il primo riferibile alla cultura iraniana, il secondo a quella ebraica.

Una condotta, a tratti schizofrenica, che permise però ai membri di questa comunità di mantenere intatte le proprie tradizioni e la cultura per oltre un secolo. Poche furono infatti le conversioni effettive, e così gli ebrei di Mashhad tramandarono di generazione in generazione – soprattutto per via orale – la loro storia. E proprio alla memoria orale e ai racconti di alcuni dei discendenti di quella comunità, oggi residenti a Milano, fa ricorso Daniel Fishman per riportare alla luce questa vicenda. Un tassello importante in una storia – come dicevamo – assai poco conosciuta, ma straordinaria.

Esclusa Israele, quella iraniana rappresenta oggi la comunità ebraica più numerosa dell’intero Medio Oriente. Nei suoi 2.700 anni di storia, questa ha conosciuto periodi di grande splendore, come durante l’epoca sasanide, l’ultima prima dell’avvento dell’islam, quando essa rappresentava numericamente la prima comunità ebraica al mondo, sopravanzando persino la Palestina. A quell’epoca – raccontano gli storici – si attesta la presenza in Iran di città a maggioranza ebraica.

Dopo la conquista islamica, gli ebrei continuarono per molti secoli ad essere una comunità numericamente importante. In questo periodo, e fino ancora al XIX secolo, si segnala lo sviluppo di una letteratura giudaico-persiana, scritta in caratteri ebraici e modellata, nelle forme, sui classici della poesia persiana medievale. Non mancarono inoltre figure capaci di distinguersi ai massimi livelli di potere, come Saad al Dawla, gran vizir fra il 1289 e il 1291, all’epoca del sovrano ilkhanide Arghun.

Foto: Tamarah/Wikimedia Commons

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