L’epidemia di colera che colpì l’Italia nell’estate del 1973 con epicentro la città di Napoli richiama, per alcuni tratti, la situazione attuale, che vede il Paese impegnato nel contrasto con il Covid-19. L’Italia era naturalmente molto diversa da quella di oggi, da un punto di vista sociale e sanitario; inoltre, sono cambiati i meccanismi della comunicazione. Anche allora la percezione degli avvenimenti, l’emotività con cui erano vissuti al di là delle cause reali del contagio, giocò un ruolo fondamentale nel modo con cui l’emergenza fu affrontata. Una differenza notevole rispetto all’epidemia attuale, in qualche modo preannunciata, fu il modo con cui allora si manifestò agli inizi, che destò ovviamente timore, ma anche incredulità e sorpresa; nonostante da alcuni anni il colera si fosse presentato in diverse aree del mondo, era convinzione diffusa che sarebbe stato confinato al di fuori dei Paesi industrializzati e che quindi non avrebbe potuto manifestarsi in Italia. Questo creò forse un ritardo nella segnalazione del rischio e poi una improvvisa e violenta esplosione di panico. Tutto iniziò nei giorni seguenti al 15 agosto 1973 quando si registrarono a Napoli alcuni casi di gastroenterite acuta, che non destarono particolare allarme. Il 20 agosto la ballerina inglese Linda Heyckeey, a cui era stata diagnosticata una enterocolite, moriva all’ospedale Pellegrini di Napoli; due giorni dopo si spegneva anche Adele Dolce, originaria di Bacoli, che presentava sintomi simili. All’ospedale Maresca di Torre del Greco morirono il 26 agosto Rosa Formisano e il giorno dopo Maria Grazia Cozzolino; le due donne erano entrambe anziane.

Il primario di quell’ospedale, Antonio Brancaccio, che aveva diagnosticato una sindrome coleriforme, incontrò all’inizio notevoli diffidenze e fu accusato di creare allarme con una diagnosi scandalistica. Gli eventi però precipitarono e il 29 agosto il Mattino annunciò l’esistenza di un’epidemia che aveva già provocato la morte di cinque persone, due a Napoli e cinque a Torre del Greco e il ricovero in ospedale di cinquanta contagiati. L’annuncio creò un’ondata di panico in tutta la città; del resto non era del tutto sopita la memoria delle precedenti epidemie di colera che avevano colpito Napoli nel 1837, nel 1884 e nel 1910-11.  La parola colera destò dunque un’enorme preoccupazione e soprattutto sorpresa, perché si pensava che fosse una malattia propria dei Paesi del cosiddetto Terzo Mondo, privi di un moderno sistema igienico e sanitario. Invece, come risulterà dalle inchieste successive, le condizioni della città di Napoli erano da questo punto di vista veramente precarie.

Fin dall’inizio, si pensò che l’epidemia fosse stata innestata dal consumo di molluschi, in particolare cozze, che venivano consumate anche crude, nonostante il livello elevato di inquinamento del mare. Furono quindi sequestrate le cozze e proibito il consumo di pesce, fichi e di altri alimenti considerati a rischio; in alcuni casi le forze dell’ordine dovettero disperdere i cittadini che protestavano per la carenza di vaccini e medicine adeguate e incolpavano l’amministrazione di aver favorito il contagio con anni di incuria e sottovalutazione dei rischi. I limoni che potevano contribuire a contrastare gli effetti del vibrione del colera venivano venduti soltanto al mercato nero a prezzi proibitivi. Ci fu però anche una risposta collettiva, in termini di solidarietà ed efficienza, che fu importante nel superamento dell’emergenza.

Il primo centro di vaccinazione fu istituito presso la Casa del popolo di Ponticelli, in un’iniziativa promossa da alcuni militanti del PCI che ottenne però il sostegno attivo di tanti cittadini di diverso orientamento. Anche grazie alla collaborazione dei militari statunitensi della Sesta Flotta che fornirono le siringhe a pistola, fu messa in atto una straordinaria campagna di vaccinazione, che raggiunse una parte considerevole della popolazione, contribuendo all’arresto del contagio. L’epidemia fu superata rapidamente, nel giro di poche settimane. L’ultimo caso fu diagnosticato il 19 settembre, in singolare coincidenza con la festa di s. Gennaro, protettore della città; quell’anno non si verificò il miracolo della liquefazione del sangue del santo. Il 12 ottobre l’emergenza poteva dirsi superata.

L’epidemia si diffuse anche in Puglia, con numerosi contagiati a Bari e a Foggia; casi di colera furono registrati anche in Sardegna, a Roma, Milano, Firenze, Bologna e a Pescara. Complessivamente ci furono 277 contagiati e 24 morti, con una percentuale quindi dell’8,7%. La maggior parte delle vittime fu a Napoli, dove furono registrati 15 morti su 119 casi e a Bari con 6 morti su 110 casi accertati. Le statistiche non sono però del tutto attendibili; è diffusa la convinzione che alcuni malati non furono intercettati e anche il numero delle vittime potrebbe essere più elevato. La portata del fenomeno fu comunque per diffusione meno rilevante rispetto al Covid-19, anche se gli indici di mortalità furono in quell’occasione più elevati.

Quell’esperienza ci lascia in eredità la consapevolezza di come sia difficile durante le emergenze stabilire l’effettiva natura dei fenomeni; ancora oggi il ruolo del consumo di cozze nell’innesto del contagio non è stato accertato. Alcuni studiosi del fenomeno ritengono che la responsabilità non fosse nelle cozze allevate a Napoli ma in quelle importate dalla Tunisia. Inoltre, colpisce come a distanza di anni la vicenda del colera sia utilizzata in alcune subculture per colpire e denigrare la città di Napoli. Però si possono trarre anche due indicazioni positive; il colera fu anche l’occasione per operare un deciso miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie della città, eliminando alcuni fattori di rischio, che anche se non avevano avuto influsso diretto sull’epidemia, rappresentavano una minaccia per la salute pubblica. Inoltre, la straordinaria mobilitazione per il vaccino, con il concorso attivo della popolazione, dimostra che le emergenze, se pure fanno venire fuori paure ed egoismi, riescono anche a far emergere risorse di partecipazione e solidarietà che si perdono nelle pieghe della quotidianità.

Immagine: Proteste in occasione dell’epidemia di colera a Napoli nel 1973. Crediti: Archivio Fotografico Carbone - Napoli

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