Per decifrare la mente di Philip K. Dick non bastano oltre quaranta romanzi e centoventi racconti.
Gli adattamenti cinematografici (Blade Runner, diretto da Ridley Scott, è il più celebrato) o televisivi (la recente serie tv The Man in the High Castle, prodotta da Amazon), sebbene graditi a critica e pubblico, semplificano per esigenze di copione.
I lettori hanno ora accesso ai suoi pensieri, una buona porzione o quanto basta per tenere traccia di quelli ricorrenti.
L'Esegesi - edita da Fanucci, a cura di Jonathan Lethem e Pamela Jackson - è un'occasione ghiotta: leggere circa milletrecento pagine (selezionate tra le ottomila di lettere, appunti, annotazioni) a firma di P.K. Dick.
Uno studio su Dick a opera di lui stesso, un'ampia galassia - pur circoscritta - di idee, intuizioni e ossessioni, intime confessioni e visioni.
Impossibile ricostruire il mosaico della sua personalità. Accantonata la pretesa di capire del tutto P.K. Dick, chi cerca significati reconditi e rimandi nelle sue opere può ripercorrere la rotta burrascosa del suo flusso di coscienza, annotato da cima a fondo, senza capo né coda (come è lecito attendersi).
Questi frammenti di variabile lunghezza e complessità - valga per nebulosità - sono la cronaca degli stati mentali di un autore che sorprende sempre quando lo si (ri)legge. Dall'inesauribile carica di novità e attualità, che cresce col passare del tempo.
Ecco, noi oggi possiamo apprezzarlo più e meglio di quanto non fosse accetto da vivo ai suoi contemporanei. Dick aveva (pre)visto giusto, o forse azzardato, dando ascolto alla sua indole curiosa e ansiosa.
Ambientava quasi tutte le storie in una realtà alternativa, un mondo dickiano dai tratti riconoscibili, che attrae e attanaglia i lettori e il suo stesso creatore.
Nell'Esegesi si legge: “Io sembro vivere sempre di più nei miei romanzi. Non riesco a immaginare perché. Sto perdendo il contatto con la realtà? Oppure è la realtà che sta davvero scivolando verso un’atmosfera di tipo dickiano?”
Lo studio dei propri scritti condusse Dick a domandarsi se scaturissero da una fantasia a briglia sciolta o da una voce interna eppure estranea. Chi fosse il vero autore, quale l'origine.
I temi a lui cari ribollono nell'Esegesi: scambi di identità, stati alterati di coscienza, scetticismo verso l'esistenza del mondo (così come appare), paradossi spazio-temporali, spiritualità e amore per gli animali e la natura. Uniti alle emozioni quotidiane, agli abbagli e ai miraggi di uno scrittore dedito all'abuso di sostanze.
L'Esegesi racchiude soprattutto il tentativo di dare un senso alla miriade di idee e rivelazioni (anche mistiche) scaturite da notti insonni, che Dick passava a scrivere.
“Questa è una storia vera e serve a dimostrare che non bisogna prendere i sogni troppo sul serio." - commenta Dick, quando finalmente scopre il titolo di un misterioso libro, rilegato e azzurro, che gli è apparso in sogno con aura sacrale. Si tratterebbe del "libro più noioso del mondo": una biografia di Warren G. Harding. E chiosa:  "Oppure dimostra che l’inconscio o l’universo o Dio o quello che è possono prendersi gioco di te.”
Philip K. Dick non scartava mai a priori una spiegazione, per quanto strampalata e implausibile; non nutriva pregiudizi ideologici, ma metteva tutto in dubbio, diffidava degli ordini costituiti, odiava gli oppressori (ovunque si annidassero, persino nella sua testa) e guardava con sospetto alle derive tecnocratiche della società.
Era capace di innamorarsi delle proprie idee (corteggiarle e abbandonarle) con la stessa facilità con cui prendeva cotte e sbandate (in particolare, per donne dai capelli scuri), oppure sbornie e sballi.
Il mondo che racconta è il nostro, il presente o il prossimo avvenire, più che quello (ormai passato) in cui ha vissuto. Per esempio prelude all'odierna società dell'informazione, immaginando un "universo trasformato in dati". Forse ha davvero intravisto il contorno di una nuova realtà che andava definendosi e che sarebbe presto emersa. O forse le sue deliranti ipotesi, basate su arbitrarie ricerche e studi da autodidatta (sui testi della tradizione orientale e sui classici greci e latini, tra l'altro), gli hanno conferito uno stile con dote di "chiaroveggenza".
Certo non capita a tutti gli autori di veder realizzate le proprie invenzioni; per Dick non è il caso di definirlo un lusso, perché si accorse o ebbe l'impressione che fossero i suoi pensieri più cupi a prendere forma e le paure fondate.
A detta di alcuni è stato profetico nell'essere tanto in anticipo sui tempi quanto accurato (nel predire l'umanità futura, cioè noi e i nostri pronipoti). In effetti, Dick credeva fosse contenuta una qualche profezia o rivelazione di natura divina (o esoterica, o aliena) nei suoi romanzi e racconti. Iniziò ad analizzarli e interpretarli. Divenne la missione della sua vita, cercare di trovare una spiegazione per tutto (i suoi libri, se stesso e il mondo esterno), dopo che sperimentò l'ennesimo stato di dissociazione e allucinazione. Un viaggio psichedelico così forte da restargli impresso e condizionarlo fino all'ultimo.
L'Esegesi è appunto il diario di bordo di una missione incompiuta, comunque appassionante. Consente a noi di esplorare alcuni tratti della mente di P.K. Dick e ricavare un'inedita prospettiva (fuori di senno o col senno di poi, a seconda dei punti di vista).
Per continuare a riflettere su capolavori in cui distinguiamo il nostro riflesso, come Ubik, Un oscuro scrutare, L'uomo nell'alto castello, Le tre stimmate di Palmer Eldrich e Ma gli androidi sognano pecore elettriche?

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