«La donna è fatua, è leggera, è superficiale, emotiva, passionale, impulsiva, testardetta anzichenò, approssimativa sempre, negata quasi sempre alla logica e quindi inadatta a valutare obiettivamente, serenamente saggiamente, nella loro giusta portata, i delitti e i delinquenti»

(Eutimio Ranelletti, La donna giudice, ovverosia la grazia contro la giustizia, 1957)

Lidia Poët fu la prima donna a ottenere, nel Regno d’Italia, l’iscrizione nell’albo degli avvocati, nel 1883, venendone tuttavia cancellata subito dopo in seguito all’accoglimento di una richiesta presentata al tribunale d’appello di Torino dal procuratore generale del re, secondo il quale sarebbe stato alquanto «disdicevole e brutto veder le donne discendere nella forense palestra, agitarsi in mezzo allo strepito dei pubblici giudizi, accalorarsi in discussioni che facilmente trasmodano, e nelle quali anche, loro malgrado, potrebbero esser tratte oltre ai limiti che al sesso più gentile si conviene di osservare: costrette talvolta a trattare ex professo argomenti dei quali le buone regole della vita civile interdicono agli stessi uomini di fare motto alla presenza di donne oneste».

Poët era nata a Perrero (Torino) da una famiglia valdese, si era laureata due anni prima a pieni voti con una tesi dal titolo Studio sulla condizione della donna rispetto al diritto costituzionale e al diritto amministrativo nelle elezioni e aveva poi svolto il praticantato a Pinerolo, presso lo studio del senatore, evidentemente di vedute progressiste, Cesare Bertea. La sua cancellazione dall’albo, confermata poi anche dalla Cassazione a cui essa era ricorsa, suscitò, come prima la sua iscrizione, ampie polemiche e un vasto dibattito, ma non ci fu nulla da fare contro il radicato pregiudizio dell’infirmitas sexus: se per lo Statuto albertino, art. 24, tutti i regnicoli erano uguali dinanzi alla legge, ciò però non risolveva il problema della “minorità naturale” femminile. D’altronde, come ancora notava il procuratore generale, quale immenso pericolo avrebbe corso la magistratura «ogni qualvolta la bilancia della giustizia» avesse dato ragione alla parte perorata da «un’avvocatessa leggiadra»? Alla Cassazione non rimase che equiparare l’avvocatura a una carica pubblica, il cui esercizio per legge era precluso alle donne, e chiudere così per parecchi decenni l’incresciosa questione.

Poët non era sola: numerose altre donne, verso la fine dell’Ottocento e nei primi del secolo successivo, in tutta Europa e in America, stavano percorrendo la stessa sua strada, con esiti più o meno fortunati. Negli Stati Uniti, divennero avvocatesse Arabella Mansfield nel 1869 e Clara Shortridge Foltz nel 1878; in Canada lo sarebbe divenuta nel 1897 Clara Brett Martin; in Belgio ci provò senza riuscirci Marie Popelin nel 1888; in Germania si laureò per prima in legge nel 1897 Anita Augspurg, anche lei senza poter però esercitare; in Francia, Olga Petit e Jeanne Chauvin divennero avvocatesse entrambe nel 1900; e ancora numerose altre. Si trattava quindi di un movimento piuttosto vasto, femminista, coniugato a quello per il suffragio universale, che riceveva anche un certo sostegno da parte dell’opinione pubblica, ma che avrebbe iniziato a raccogliere i suoi frutti solo nel corso della prima metà del Novecento.

Poët continuò di fatto a esercitare la professione nello studio del fratello, che sempre l’aveva appoggiata, senza ovviamente firmare gli atti; prese parte nel 1883 al primo Congresso penitenziario internazionale, divenendone delegata nel 1890 a Pietroburgo; continuò inoltre a battersi per la causa femminile e il voto. Quando, poi, finalmente nel 1919 venne emanata la cosiddetta legge Sacchi (Norme circa la capacità giuridica della donna), grazie alla quale le donne venivano ammesse a esercitare tutte le professioni e a coprire (quasi) tutti gli impieghi pubblici, ultrasessantenne, Poët poté finalmente riscriversi all’albo assieme alla più giovane e altrettanto combattiva Teresa Labriola.

Nel 1946, infine, poté esercitare anche il diritto al voto, per il quale tanto si era battuta.

Morì, all’età di 94 anni, tre anni più tardi.

Immagine: Pieter Gaal, Giustizia, 1802. Crediti: Rijksmuseum, Amsterdam

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