Chi, nell'affrontare il Nikolaj Gogol' di Nabokov (pubblicato da Adelphi con una splendida copertina di Edward Gorey), volesse trovare fra le sue pagine i tratti della monografia classica su un autore, il suo cosiddetto ritratto in piedi, resterebbe non solo deluso, ma quantomeno spiazzato, confuso. Da un nemico del realismo e del cosiddetto “utilizzo sociale” dell'arte come Nabokov, in effetti, nessuno poteva attendersi altro, soprattutto poi se l'oggetto delle sue riflessioni è l'autore forse meno classico della letteratura russa del XIX secolo, il creatore di un racconto come Il naso, molto più affine nel suo sviluppo a un incubo che alle tranche de vie pietroburghesi che i suoi contemporanei (fatta eccezione, ovviamente, per Puškin) sciorinavano nella più totale mediocrità.

Uscito nel 1944 per i tipi della New Directions, il saggio, che entusiasmò un lettore attento e raffinato come Mario Praz, è a tutti gli effetti un'opera del Nabokov “artista”, che in esso riversa solo in parte l'erudizione del critico e storico della letteratura, per lasciare invece muovere liberamente il gesto e il tratto del grande romanziere. Profondamente ostile alla visione corrente di un Gogol' realista e addirittura anticipatore di quella letteratura di denuncia sociale che, nella Russia del XIX secolo, trovò in Pisarev e Černyševskij i maggiori teorici, Nabokov plasma l'immagine di un visionario capace di costruire universi che nulla hanno a che vedere con il mondo che lo circonda, se non in quella vaga ombra che anima gli oggetti della quotidianità ormai metamorfizzati dallo sguardo trasfigurante nel quale l'autore scioglie tutto ciò con cui è stato a contatto, come se lo immergesse in uno specchio.

Attraverso un occhio affilato e idiosincratico, Nabokov distoglie la propria attenzione da ciò che di Gogol' non ama (i primi racconti in particolare, ancora immersi nel folclore ucraino), per concentrarsi su quelli che egli reputa i suoi capolavori: L'ispettore generale, Le anime morte e Il cappotto. Stravolgendone la consueta lettura, che fece di queste opere esempi supremi di letteratura sociale e impegnata, dove la corruzione e le storture della vita sociale venivano denunciate con indignazione finalmente consapevole di sé, Nabokov vede in queste pagine le accecanti visioni per le quali il dato della realtà è solamente l'elemento grezzo che un altro clima avrebbe mutato in lampi irrazionali e onirici: lo sciame dei personaggi secondari che non emergeranno mai sulla scena dalle allusioni che attraversano L'ispettore generale, ma che ne invadono lo spazio come una torma di spettri; la grande e inimitabile poetica della poslost' (che solo con un'immensa approssimazione possiamo tradurre con “volgarità”) non solo russa, ma universale, che Gogol' eleva al rango di canto epico ne Le anime morte, il cui bardo è quel sordido diavolo di Čičikov – tutti riflessi di una personalità, quella di Gogol', anch'essa sprofondata in una realtà lontana da quella nella quale trascinava la sua esistenza di uomo malato, una realtà fantasmatica ed evanescente, nei confronti della quale forse la crisi di fanatismo religioso che ne funestò gli ultimi anni fu una sorta di goffa e, a conti fatti, rischiosissima protezione.

Nabokov frantuma la continuità che normalmente viene attribuita alla biografia di un uomo invertendone clamorosamente le polarità (le prime pagine sono dedicate alla morte di Gogol', tutto il saggio è attraversato da continue digressioni che aprono nel suo tessuto corridoi spaventosamente profondi e oscuri), mutandone l'ubicazione da questo mondo a quello dei corpi sottili, a quell'universo di immagini la cui realtà potrebbe essere messa in discussione solo dagli occhi miopi di quella società di titani il cui arrivo egli profetizzò così lucidamente.

Parlando di Mundus Imaginalis, infatti, Henry Corbin si riferisce a un preciso ordine di realtà, che egli con attenzione differenzia da ciò che comunemente viene chiamato immaginario: nelle visioni che i teosofi islamici plasmano nelle loro opere, Corbin individua un luogo che non è realtà né fenomenica né intellettuale, bensì “congiunzione di due oceani” , ottavo clima oltre il mondo fisico e prima di quello puramente spirituale, paese dell'anima e inevitabile luogo di passaggio fra materia e spirito. Un luogo, quindi, che si differenzia radicalmente da ciò che il pensiero contemporaneo identifica nel concetto di “immaginario”, segnato indelebilmente dallo stigma dell'irrealtà e della fantasticheria. Ed è in un cosmo di questo tipo, lontano dalla meschinità della “fedeltà al reale”, che Nabokov vede vivere Gogol' e i suoi personaggi.

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