Figlie sagge, Angela Carter, Fazi Editore, 2016, Postfazione di Valeria Parrella, traduzione di Rossella Bernascone e Cristina Iuli.

Nel 1991 è uscito Wise Children, Figlie Sagge, di Angela Carter, tradotto l’anno seguente da Rizzoli e riproposto da Fazi, ora, nella traduzione di Rossella Bernascone e Cristina Iuli, con la postfazione di Valeria Parrella. Tra le opere più note della scrittrice inglese: Fuochi d’artificio (1974) e il romanzo Notti al circo (1984). Figlie sagge è il suo ultimo libro, uscito un anno prima della morte.
Come scrive Valeria Parrella, in questo romanzo, ci sono tutti gli ingredienti che fanno della Carter uno di quegli scrittori in grado di essere contemporanei sempre. Figlie sagge è un romanzo coraggioso e divertente che intreccia realismo magico ed elementi carnascialeschi, che presenta la realtà in tutte le sue facce (e maschere) e racconta, con pungente e intelligente ironia i suoi aspetti più deprecabili, a partire dalla storia di Dora e Nora Chance, due ballerine ormai non più giovani.

Shakespeare.
Il romanzo è un intreccio di gemelli, di identità doppie («si può essere identici, ma simmetrici mai», p. 13), di legittimità e illegittimità, che trova il suo centro nella devota e frizzante passione della Carter per il teatro shakespeariano (Ripassati Shakespeare. Cole Porter: è una delle citazioni in esergo al romanzo). Figlie sagge potrebbe essere, infatti, una pièce teatrale con continui ammiccamenti, allusioni, simbologie, analogie, filiazioni al teatro del Bardo: le due gemelle protagoniste – le figlie sagge che sagge non sono – sono nate il 23 aprile, come il loro padre  (un centenario che riconoscerà il suo ruolo solo molto, forse troppo, tardi) e come William Shakespeare («Già! Melchior aveva il fato segnato fin dalla nascita; era destinato a indossare la corona di cartone. Non aveva forse visto la luce nel giorno del compleanno di Shakespeare? E anche noi, del resto», p. 272).
Il cerchio si chiude, e la storia è un continuo susseguirsi di intrecci e di legami tra le relazioni, spesso incestuose, dei numerosi personaggi che si alternano nelle pagine mai noiose del romanzo.
La scrittrice viaggia oltre il senso d’incredulità del lettore, costretto a sospendere il giudizio, ad arrendersi alla trama, a godere delle varie tessere che compongono il mosaico variopinto, accurato, originale della Carter: tra paternità vere, presunte, adottate e violate in un vortice di situazioni che vede, proprio nella data del compleanno, il centro di tutta la narrazione, punto di partenza e arrivo.

Quante volte Shakespeare ha ritratto padri e figlie, mai madri e figlie. Ellen Terry.
Figlie sagge ha un ritmo incalzante dettato dalla furbizia e dalla saggia ironia di Angela Carter, ma a un certo punto, inizia a respirare: la storia si calma, è il momento della perdita della nonna (un personaggio delizioso ed esagerato, «era una nudista, una vegetariana e una pacifista», p. 83), è il momento in cui il lettore sazio di racconti e personaggi e un po’ sbigottito da tanta abbondanza, inizia ad affezionarsi davvero alle due gemelle, ormai sessantenni, ma eternamente giovani, attente alla cura del corpo, ma non a quella della loro casa trasandata («La casa sa di gatto, ma ancora di più di ballerine in pensione: crema emolliente, cipria, naftalina, vecchie cicche e tè ammuffito», p. 9) che perdono la persona più importante della loro vita.
Nora e Dora Chance sono molto diverse tra loro, quasi due opposti: non ne bastava una, dovevano esserci entrambe per raccontare il loro mondo (e il nostro) per «affermare la realtà individuale attraverso ciò che si scrive. Affermare la possibilità di essere donne moderne in un moderno mondo, e farlo attraverso il potere evocativo della parola» (Postfazione di Valeria Parrella, p. 331). Dora e Nora sono una coppia minima che racchiude tutto quello che si può essere e raccontare.

Nostalgia e bellezza.
«Salimmo le scale in duetto per mettere in mostra con voluttuoso abbandono le nostre gambe antiche ma non ancora decrepite; all’unisono lasciammo scendere i trench di volpe argentata, trascinandoceli dietro, e tutti i flash si accesero all’istante. Mi sentii rianimare» (p. 278).
Figlie sagge è un romanzo di nostalgia di quello che è stato, di una bellezza che non c’è più («Dio Santo, ma lei non era Melchior Hazard una volta?», p. 286), ma ha l’urgenza di mostrarsi ancora; una bellezza che, a ben vedere, non è mai scomparsa, perché resta viva, come restano – sempre – nella loro forza immutabile, le belle storie che non sono solo storie, ma in realtà grandi classici, sin da subito, come quella degli Hazard narrata nel romanzo da Dora Chance («Ma, prima di morire, sono stata colta dall’urgenza imperiosa di dare una risposta alla domanda che da sempre mi insegue, come se da qualche parte, magari nascosta dietro un sipario, potessi trovare la risposta. Da quale luogo veniamo? Dove ci rechiamo?», p. 21).
Di risposte, in questa storia, se ne trovano tante, in realtà, non una. A volte troppe. Si trova sicuramente, però, una risposta alle domande di tanto banale e trapassato perbenismo, alle nostre maschere, agli spettacoli portati in scena dalla quotidianità dei nostri tempi (e di tutti i tempi).
Una risposta a una necessità che dovrebbe essere di ogni epoca: raccontare la bellezza, la bellezza del carnevalesco, dell’ironia e della verità dell’invenzione; la bellezza di una pagina in cui lo scrittore dà alla parola tutta la libertà di essere quello che esprime, senza freni.

Abbondanza.
Figlie sagge è un romanzo che abbonda di descrizioni efficaci, di trovate divertenti, di simboli. La pendola a colonna, per esempio non rimanda forse al legame con la paternità assente di Melchior e non incarna, a suo modo, un simbolo fallico?
Ancora: l’appaiamento degli opposti; i gemelli, certo, ma anche nelle scelte onomastiche, se è vero che le due famiglie si chiamano Chance e Hazard. Niente è casuale, tutto ha un significato e un ruolo da giocare, come, del resto, tutti i personaggi (alla fine elencati in ordine da apparizione: Dora e Nora; Tiffany; Melchior e le sue tre mogli: Lady Atalanta, Daisy Duck e Milady Margarina; il fratello Peregrine, o ancora la Nonna, gli amanti, i fidanzati) e tutto quello che succede, non accade in una città scelta per caso,  oltre che per gli ovvi motivi: Londra è, da sempre, infatti,  città in continuo cambiamento. Inoltre, l’indirizzo è 49, Bard Road, «sulla sponda bastarda del Vecchio Padre Tamigi» (p. 7).
Figlie sagge è, in ultima analisi, «tutto un ballare e cantare» (p. 325) che non finirà mai, dall’immagine di copertina, fino all’ultima pagina. Un libro divertente, certo, ma anche profondo e tremendo. Una storia raccontata a partire da un cartoncino bianco: l’invito per il centesimo compleanno del vecchio Melchior Hazard, che è anche quello delle gemelle, ma anche quello di Shakespeare, come si diceva: «Nel suo tempo un solo uomo recita molte parti».