In un articolo apparso nel 1932 nella rivista La Critica, giustappunto intitolato Il secolo senza poesia, Benedetto Croce scrive che tra la fine del Trecento e gran parte del Quattrocento continuano ad aver corso le diverse forme di poesia popolare e di poesia d’arte già utilizzate in precedenza, ma si tratta di «una letteratura stanca, che vive di ricordi e di abitudini, incapace di rinnovare, capace soltanto di variare quelle parti materiali ed estrinseche, e più ancora di rendere inanimato quel che era animato, e rozzo e triviale quel che era fine e squisito».

Il giudizio di Croce sarebbe stato certamente più indulgente, se all’epoca avesse potuto giovarsi dell’imponente Atlante dei canzonieri in volgare del Quattrocento, appena uscito a stampa grazie alla cura di Andrea Comboni e Tiziano Zanato, coadiuvati nel lavoro dai più importanti studiosi della lirica quattrocentesca. Si tratta di un volume che «si presenta come un repertorio, alfabeticamente ordinato per autore, che intende percorrere e “coprire” il campo della lirica quattrocentesca nella sua vocazione a coagularsi in canzonieri». Gli anni presi in considerazione vanno dal 1375 – all’indomani insomma della morte di Francesco Petrarca e di quella di Giovanni Boccaccio – al 31 dicembre 1500, quando principia il XVI secolo.

Il volume si compone di più di cento schede corrispondenti ad altrettanti autori, dove si alternano nomi ben conosciuti al vasto pubblico, come Matteo Maria Boiardo, Lorenzo de’ Medici, Iacopo Sannazzaro, a nomi noti solo agli specialisti, ma anche casi in cui al nome è correttamente sostituita la voce “Anonimo”, nell’impossibilità di attribuire i testi delle loro raccolte (si veda, ad esempio, Anonimo del “Canzoniere Costabili”, Anonimo milanese, Anonimo del codice di Wolfenbüttel).

Ogni scheda si rivela utilissima per lo studio dei singoli autori, essendo costituita da più campi, a partire da quello iniziale dedicato al Titolo. Come segnalano i curatori «i canzonieri quattrocenteschi di cui la tradizione abbia conservato l’intitolazione esibiscono un ampio e originale ventaglio di scelte nomenclatorie, ma del termine “canzoniere”, nei loro titoli, non v’è quasi mai traccia». Non meno interessanti si rivelano i campi successivi, tra i quali vale la pena di menzionare lo studio della tradizione manoscritta e del periodo di composizione dei testi, nonché l’esame delle strutture metriche e delle articolazioni interne. Grazie a quest’ultimo, si può rilevare che la bipartizione tra rime “in vita” e “in morte”  ̶  già dei Rerum vulgarium fragmenta  ̶  ha pochi seguaci nel Quattrocento, limitandosi al Canzoniere di Giuliano Perleoni ad Angela e a quello di Sclaricino per Lucina. Il tutto si accompagna a un minuzioso elenco della bibliografia pregressa, un Indice dei libri antichi a stampa fino al XVIII secolo, una Tavola incipitaria, che raccoglie tutti i componimenti citati, e infine un Indice dei nomi, dei manoscritti e dei toponimi.

Nella sua sistematicità, questo Atlante rappresenta certamente uno strumento essenziale alle future ricerche su una poesia troppo a lungo considerata come di scarso valore, se non una pallida epigona della lirica precedente.

Atlante dei canzonieri in volgare del Quattrocento, a cura di Andrea Comboni e Tiziano Zanato, Edizioni del Galluzzo, 2017, pp. 772

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