Pablo Ruiz Picasso nacque a Malaga da padre spagnolo (Ruiz) e madre di origine italiana (Picasso).
«Una volta sono stato in Liguria per cercare informazioni sulle origini italiane del maestro – mi confidò illo tempore lo studioso catalano Josep Palau I Fabre, massimo esperto mondiale di picassate – ma quando, nel cimitero di Recco vidi che la maggior parte delle lapidi recava il nome “Picasso”, rinunciai!».

Troppo complicato. Eppure troppo facile: Picasso aveva dentro di sé i geni dell’arte italica. Non poteva essere altrimenti per uno che ha cambiato – non s’è ancora capito se in meglio o in peggio – la storia della percezione artistica e della cultura come business di massa.
PRP si firmava all’inizio, con quel vezzo tutto latino e vetero-matriarcale di segnalare anche il cognome della mamma nel proprio nome identificativo (username si direbbe oggi). Ma lo faceva più che altro per omaggiare il padre, pittore accademico di uccelli che appena il buon Pablo ebbe superato per qualità e velocità d’esecuzione – ciò avvenne quando era ancora bambino! – rimosse finendo per firmarsi solo “Picasso”. E adoperare quel rimando italico per fare fortuna.
Di recente si è persino arrivati a sostenere che il ritrattista genovese dell’Ottocento Matteo Antonio Picasso sia un antenato del nostro. E allora, perché Picasso è associato alla Francia – Picassò, dovremmo dire – e alla sua storia dell’arte? Il Museo Picasso di Parigi è stato appena riaperto – e non s’è parlato d’altro – dopo anni di folle reinventariazione e di polemiche sempre roventi sulla piuttosto ambita eredità commerciale del maestro e sulle royalties che questa riesce a generare ogni anno. Non dimentichiamo che quando un’asta batte Picasso, il boom è assicurato. Si tratta di uno dei marchi di maggior prestigio della storia, perennemente rilanciato a partire da una produzione durata 90 anni ma ferma da oltre 40. Vastissima e ancora tutta da decifrare: si pensi ai lavori incredibili, degli ultimi tempi. O al fatto, solo recentemente scoperto, che per inventare il cubismo l’artista si fosse servito della macchina fotografica, con la quale aveva immortalato delle sovraesposizioni, riportate poi in pittura o in collage, secondo le usanze del tempo.
Tutte invenzioni “francesi”? È a Paris in effetti che il giovane Pablo sceglie di emigrare, ancora ragazzo e poverissimo, quando in cambio di una minestra cedeva le ancora acerbe e sperimentali tele catalane (delle quali in alcuni casi si sono perse le tracce) prima di sprofondare nel blu e diventare Dio. Tutta la sua storia artistica, si dirà, nasce, cresce e si sviluppa nei fertili ambienti transalpini (non dimentichiamo la Costa Azzurra).   
Parigi, dopo l’onda impressionista, s’era acclarata come caput mundi nel campo delle arti e chiunque, vi accorreva. Picasso vi giunge relativamente tardi. Se consideriamo che di lì a breve il ruolo di città leader sarebbe passato a New York. Però abbastanza in tempo per trovarsi a respirare l’aria giusta, inciuciando coi personaggi giusti.
Tutto questo giustifica allora il fatto che Parigi sia la città che rappresenta Picasso nel mondo? Perché non Genova, ad esempio?
Se questo è avvenuto il merito è di un uomo – ormai scomparso – che s’appellava Dominique Bozo, presidente del Centro Pompidou e fondatore del Museo Picasso di Parigi. In qualità di curatore creativo costui fu custode del patrimonio nazionale francese nel campo dell'arte del XX secolo. Il signor Bozo ha giocato un ruolo fondamentale nell’enorme ampliamento delle collezioni pubbliche francesi nel corso degli anni. Bozo ha fatto di tutto con successo. Ha persino creato il Beaubourg, nel 1974.
In quell’epoca ha anche intrapreso uno dei compiti più onerosi mai assegnato a un funzionario museale: catalogare Picasso! Quando l’artista morì, nel 1973, non lasciò alcuna volontà testamentaria e la compilazione sterminata della lista di beni che egli lasciava, sarebbe stata ardua per chiunque.
Inoltre, a Picasso era sopravvissuta non solo la seconda moglie Jacqueline, ma anche figli e nipoti, legittimi e illegittimi, i quali erano titolari di una quota dell’eredità. Bozo, lavorando di cesello, vinse la loro diffidenza e li convinse ad accettare una distribuzione equa e razionale delle ricchezze picassiane che fosse soddisfacente per tutte le parti. Infine, lo stato francese – che dovette riformare il proprio ordinamento giuridico per dirimere l’affaire Picassò – incassò le tasse di successione in opere d’arte. E che opere d’arte!
Questo fatto ha reso così possibile la trasformazione di una casa signorile del XVII secolo, in Parigi, nel Museo Picasso: il contenitore perfetto per molte delle opere più note dell'artista. Ma anche il centro di archiviazione della smisurata produzione del genio di Malaga. O di Recco. No, meglio, di Parigi.