L’ingresso del videogioco nelle dinamiche quotidiane dei giocatori occasionali (possiamo ancora chiamarli così?) è sotto gli occhi di tutti, ormai da tempi non sospetti. Ma c’è un’influenza più sottile che il gaming sta esercitando sulle nostre vite, una rivoluzione che passa attraverso linguaggi mediatici convergenti che, volenti o nolenti, si trovano a recuperare un’estetica squisitamente videoludica. Le ragioni alla base di queste influenze sono molteplici: da una parte, abbiamo la pervasività del digital storytelling, fatto ormai notorio e suffragato da recenti notizie, come il superamento in Inghilterra del mercato musicale e cinematografico a opera della Games Industry*. D’altro canto, si assiste di continuo a un incontro di maestranze artistico-tecnologiche tra il mondo del cinema e quello del videogioco, con concept artist e modellatori 3D che si trovano a lavorare su entrambi i fronti, spesso attingendo dall’immaginario interattivo per dare nuova linfa vitale alle visioni cinematografiche. Un processo che coincide in parte con lo straordinario successo del Marvel Cinematic Universe e che continua a manifestarsi giorno per giorno, trovando il suo compimento nel recente Spider-Man: Un nuovo universo (o Into the Spider-Verse, se volessimo mantenere l’azzeccatissimo titolo originale). Film non semplicemente ispirato visivamente e dialetticamente al videogioco, ma la cui stessa essenza si basa sulle dinamiche dell’interattività.

L’incontro tra Spider-Man di diversi universi non è un’idea nuova nei fumetti, né tanto meno nei videogiochi: nel 2010, infatti, uscì nei negozi Spider-Man: Shattered Dimensions, discreta trasposizione digitale delle avventure di Peter Parker, o meglio, dei Peter Parker provenienti da diversi universi. Il concetto è di per sé molto videoludico, laddove la possibilità di interpretare diversi alter ego è da sempre caratterizzante del medium, fin dai tempi in cui la stessa avventura di Super Mario Bros. 2 poteva essere affrontata con Mario, il fratello Luigi, la Principessa Peach o il funghetto Toad, ognuno dotato di peculiari caratteristiche e modalità di interazione, proprio come Peter Paker, l’afroamericano Miles Morales o la strong female lead Spider-Gwen. L’idea stessa di multiverso, che ha precise risonanze persino nella scienza contemporanea nonché nella filosofia, ricorda da vicino il videogioco, e d’altronde il concetto di poter accedere a diverse dimensioni a partire da un singolo hub è storicamente strumentale in tantissime avventure del mondo interattivo. Abbastanza rivelatorio scoprire quindi che, agli occhi dello spettatore contemporaneo, il concetto di “universo parallelo” non è più alieno, né tanto meno difficile da comprendere. Anche grazie al gaming.

Una simile dinamica viene sfruttata persino dalla serie Netflix originale Maniac, seppure solo a livello concettuale: i protagonisti, sottoposti a una cura sperimentale, vengono trasportati in dimensioni alternative generate dalla loro mente; in una delle puntate, possiamo vedere Emma Stone vestita da elfo, impegnata in un’avventura che potrebbe tranquillamente essere scambiata per un qualunque The Elder Scrolls… o per Hellblade: Senua’s Sacrifice. E, in un gioco intellettuale di citazioni, forse involontarie, e significativi sincronismi, Hellblade è proprio un titolo fantasy ambientato nella mente di una persona affetta da disturbi psicologici.

Nel suo passare senza soluzione di continuità tra staticità da graphic novel e sinestetica iperattività, Spider-Man: Un nuovo universo è stato definito, a ragione, un fumetto in movimento, ma in realtà intrattiene un serratissimo dialogo con l’estetica videoludica, attraverso un uso dinamico e sincopato delle telecamere, particolarmente evidente nelle scene d’azione che d’altronde abbondano nella pellicola. Lo spettatore, grazie a un impiego magistralmente fluido e immersivo della camera 3D, viene trasportato direttamente all’interno della scena, con continui cambi di angolazione e prospettiva che enfatizzano il movimento dei protagonisti e l’intensità dell’azione, in un funambolico balletto gravitazionale dove le regole della fisica vengono sovvertite. È una telecamera liberale, diegetica e dirompente: proprio come quella di un videogioco. Assistere a una scena d’azione di Spider-Man. Un nuovo universo, quindi, non è poi tanto dissimile dallo sperimentare una sessione di gioco di un qualunque Uncharted o Tomb Raider, e tale è il coinvolgimento all’interno della messinscena, da chiederci in più di un momento perché siamo stati privati del controllo dell’azione. La frammentazione della visuale, quasi autoreferenziale, è talmente esasperata da rendere obsolete e tremendamente limitanti persino le visioni del recentissimo Avengers: Infinity War, un film già di suo fortemente “ludicizzato”; Aquaman di James Wan, d’altronde, ha una struttura ritmica a livelli che è pesantemente influenzata dall’ambito dei games. Ma l’estetica dello “Spider-Verse” si fonda sulle spalle dei giganti, recuperando l’identità visiva, compositiva e cromatica plasmata dalle avanguardie videoludiche indipendenti, fertile humus per la sperimentazione che negli ultimi anni ha osato molto di più rispetto al settore dell’animazione pura, forse intimorita dallo strapotere dello stile Disney e delle voci più standardizzate provenienti dallo storico CalArts. La freschezza di Spider-Man: Un nuovo universo è fortemente debitrice, quindi, di giochi indie come Guacamelee!, Transistor, Limbo, persino Monument Valley, nella ricerca di un’architettura visiva impossibile. Senza questi prodotti, probabilmente la rivoluzione stilistica avvenuta con Spider-Verse non sarebbe stata possibile.

Parlare di influenze tra cinema e videogioco oggi è immediato, alla luce del successo (forse un po’ gonfiato) di Bandersnatch, l’episodio speciale interattivo di Black Mirror, ma oggi il carisma del videogioco si insinua molto più sottilmente nelle opere di intrattenimento, a tratti in maniera persino surrettizia, tanto che il confine tra ciò che nasce come esperienza interattiva o lineare, è sempre più difficile da tracciare: è per questo che oggi parliamo di convergenza dell’entertainment, e certo la rivoluzione silenziosa della realtà virtuale, mettendo al bando ogni sensazionalismo, potrebbe portare nelle nostre case un modo di fruire un’opera molto diverso rispetto a quello a cui siamo abituati, mettendo nelle mani dello spettatore aspetti tradizionalmente deputati all’autorialità, come la telecamera e la volontà di soffermarsi o meno su di un determinato aspetto della messinscena. Non è da escludere che per il momento tutto quello che rimarrà della “bolla VR” (solo sgonfiata: mai esplosa) sarà proprio la cosiddetta animazione immersiva, un campo in cui Disney sta agendo in prima linea, realizzando il corto animato Cycles, destinato a essere proiettato nei prossimi mesi. In questo senso, Spider-Man: Un nuovo universo sembra proprio essere una prova tecnica di un nuovo cinema immersivo e interattivo, lo stesso che veniva preconizzato da James Cameron con il suo Avatar, a tutt’oggi l’esempio di messinscena 3D più profondo mai realizzato nella storia del cinema.

La distruzione della regia a favore dell’interattività fa eco alla distruzione dell’autorità e della verità, che viene raccontata magistralmente da Alessandro Baricco nel suo saggio The Game. Baricco fa un passo ulteriore rispetto alla teoria convergente da noi avanzata, arrivando a promulgare l’idea che tutto quello che oggi sperimentiamo sia figlio di un’interattività strumentale, che pervade ogni molecola del nostro essere, influenzando abitudini e creando nuovi correnti di pensiero. Oggi, l’idea di un contenuto dogmaticamente proveniente dall’alto viene rapidamente sconfessata dalla possibilità per l’utente di interagire con esso, e alterarlo a proprio piacimento, superando la cosiddetta remix culture e sfociando piuttosto in un rinascimento dell’industria creativa, dove, per quanto possa sembrare spaventoso per chiunque sia nato prima dei Millennial, il creativo non è più una divinità eletta, ma un agente che opera in concerto con la massa. Se Baricco ne fa una questione sociologica, le sue idee possono tranquillamente essere applicate all’entertainment, di qualunque natura esso sia. È sicuramente emblematico che, oggi, la figura dello showman risulti essere sempre più vicina a quella del content creator, come, Ninja, streamer che ha costruito la sua fama proprio sulla possibilità di plasmare egli stesso il corso della narrazione, libero da autori e vincoli restrittivi e, almeno apparentemente, vicino al popolo e all’uomo della strada. Oggi contribuiamo collettivamente alla costruzione dell’egregora, agendo in prima persona sulla mitopoiesi, proprio come avviene in un videogioco. Sarà interessante notare quello che succederà dopo la mancata estensione dei termini sul copyright, dimostrazione che oggi il popolo della Rete e della cultura open source prerogativa dei content creator, è molto più forte di quanto non lo fosse nel 1998, quando Disney, nel tentativo di proteggere le property legate a Mickey Mouse, modificò la legge sul diritto d’autore, causando tra le altre cose l’effetto collaterale di ritardare l’ingresso delle opere di Joyce nel territorio royalty-free. Che il prossimo Walt Disney sia destinato a nascere su YouTube?

Crediti immagine: chingyunsong / Shutterstock.com

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