Diciamolo subito: non era facile reggere il confronto con le serie precedenti, Romanzo criminale (di Stefano Sollima, tratta dall’omonimo film diretto da Michele Placido) e Gomorra (sempre di Stefano Sollima, ispirata al film di Matteo Garrone). E invece, su Netflix da una settimana, Suburra è già uno degli show più seguiti dagli abbonati alla piattaforma di Los Gatos. Ma non ha convinto proprio tutti.

La prima serie italiana prodotta dalla piattaforma di streaming on demand è il prequel del libro di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini, diventato nel 2015 un film per la regia di Sollima, sempre firmato Cattleya con Rai Fiction, che ha ottenuto un modesto successo. A dirigere i primi due episodi, Michele Placido. E sono proprio quelli che lasciano più perplessi, presentati in anteprima mondiale alla 74a Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, seguiti da fredde reazioni dalla critica. Troppi spiegoni che interrompono la narrazione, didascalie su Roma piazzate sul Cupolone, un’immagine della capitale che non ci rende orgogliosi, forzature amorose da fotoromanzo, e via criticando…

Lo straordinario Alessandro Borghi, oggettivamente il migliore interprete del cast, dà vita al personaggio di Aureliano Adami, Giacomo Ferrara è invece Spadino e Adamo Dionisi è Manfredi Anacleti, riprendendo così i ruoli che avevano interpretato nel film in questa sorta di reboot seriale, affiancati da volti conosciuti come Filippo Nigro, Claudia Gerini e Francesco Acquaroli, nei panni del Samurai, oltre a Eduardo Valdarnini, nei panni di Gabriele, che dopo un inizio sottotono si conferma uno dei personaggi più interessanti.

Ambientata nel 2008 in una Roma divisa tra Chiesa, Stato e malavita, dove criminalità organizzata, politici corrotti e Vaticano sono protagonisti di una sanguinosa lotta per il controllo di importanti terreni del litorale romano, Suburra si dipana ispirandosi alle vicende di Mafia Capitale, rivedute e corrette per mantenere alta l’attenzione lungo i 10 episodi della prima serie.

La sinossi: due famiglie criminali nemiche tra loro, gli Anacleti e gli Adami, specializzate in commercio di stupefacenti, si scontrano per il controllo del mercato nei quartieri più promettenti. Di mezzo, il sottobosco romano, in cui gli interessi dell’onorevole Cinaglia s’incrociano con quelli di Samurai, mentre Sara Monaschi, revisore dei conti in Vaticano, intralcia e innervosisce i giovani dei clan Anacleti e Adami, provocando una scia di sangue che “sporca” anche il linguaggio della serie, rendendola più aderente alla tipologia di racconto cui si ispira.

Ovviamente, al centro della scena i traffici oscuri di Samurai, ispirato a quel Massimo Carminati, l’esponente del gruppo eversivo d’ispirazione neofascista Nuclei armati rivoluzionari, il bandito della Magliana autore del colpo al caveau della Banca di Roma e infine il “re del mondo di mezzo”, che aveva fatto tremare il sottobosco della giunta capitolina ai tempi del sindaco Ignazio Marino.

Nella serie di Netflix Acquaroli è il più convincente, un padrino autorevole e spietato che fa da intermediario tra gli interessi dei vertici vaticani e quelli politico-mafiosi. Un avvertimento per la visione di Suburra, interamente disponibile dal 6 ottobre: se possibile, organizzare una maratona nel weekend e vedersi gli episodi uno dietro l’altro, come già accade per altre celebri serie, a iniziare da House of Cards. La tensione regge meglio e il tutto prende un senso in crescendo che avvince e convince.

Crediti immagine: eamesBot /shutterstock.com

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

Argomenti

#streaming#festival#netflix#serie TV