Comprendiamo che entrare in libreria e vedere il titolo Monnezza amore mio, per i più raffinati potrebbe anche essere respingente. Ma vi consigliamo di allontanare subito il pregiudizio e afferrarlo, sicuri, per comprarlo. La biografia edita da Rizzoli (pagg. 296, € 18,50), infatti, è un pezzo di storia del cinema imperdibile. Perché docenti, critici e studiosi si sono affrettati a raccontarci i grandi maestri, gli attori icona, i film cult.

Ma la spina dorsale della Settima Arte, ce lo insegnano in tanti, da Roger Corman a Lucio Fulci, è fatta del cinema commerciale, degli scult, dei divi belli o brutti che siano, ma sporchi, cattivi e possibilmente vestiti male. Come Tomas Milian, il Monnezza appunto.
Il pregio di questo racconto, vibrante e umanissimo, cinematografico e poetico, a volte comico e altre drammatico, è la forza dell’amore. Quello di Manlio Gomarasca, tra gli esperti del cinema di genere migliori in circolazione (e non solo in Italia: il suo Nocturno rimane una bibbia per i cinefili meno snob), per il grande schermo e i suoi protagonisti, quello del divo cubano per il mestiere d’attore, per il racconto per immagini, per Roma. Non si vergognano, i due, di dare uno spessore emotivo forte ai racconti di vita di un geniaccio sregolato, a essere spudorati nel mostrare un pezzo del nostro paese e del suo immaginario meno corteggiato dagli intellettuali. Gomarasca tiene le briglie della narrazione come un romanziere ambizioso e “sporco”, uno di quelli che potrebbero raccontarti la storia d’America dagli angoli più bui e allo stesso tempo intrattenerti con aneddoti irripetibili nelle serate più goliardiche, Milian è generoso e aperto come solo un uomo di ottant’anni, abituato a rimettersi sempre in gioco, può fare.
Il risultato sono quasi 300 pagine in cui neanche una parola risulta superflua. L’autore fa un libro che sogna da una vita, e si vede. Lo cura con dedizione e lo scrive con passione, pur rimanendo saldo in sella e non facendosi mai travolgere da quel fiume in piena che vuole mostrare il proprio mondo, finalmente, nella sua verità. E capisce, Gomarasca, che per essere davvero fedele a Milian il Monnezza deve essere parte integrante e integrata del libro, un alter ego così ingombrante deve dialogare con il suo genitore e gemello (si diano pace Sacchetti e Lenzi, Tomas si prende tutti i meriti del cafone più divertente del mondo, attribuendosi la paternità di dialoghi, battute cult e look). Così proprio al Monnezza è affidata la riflessione più spiccia e allo stesso tempo profonda, mentre dell’attore scopriamo tutto. La figura del padre, grande assente che lo ossessiona con il suo suicidio, la bisessualità, la fama e la fame, l’ascesa e il declino, i problemi con gli stupefacenti, le amicizie, i cineasti con cui ha lavorato, Roma, la voglia di recitare, sempre.
Tanto è fluido e anche eccessivo il racconto, tanto è misurata la prosa, mai impersonale però. È una lezione di stile e passione Monnezza amore mio, è l’incontro di due brillanti menti e due cuori pieni d’amore per il cinema e la vita, con il terzo incomodo che si prende pure il titolo, perché senza il Monnezza nessuno di noi, e soprattutto dei due autori, sarebbe lo stesso.
Compratelo, leggetelo, raccontatelo e magari prestatelo. Un libro così va oltre i troppi saggi accademici, le agiografie furbette, ci restituisce l’emozione e la magia della Settima Arte. Come un Biskind all’amatriciana, dove la definizione “alimentare” e regionale non è una diminutio, ma semmai un qualcosa in più, un bonus irripetibile. Perché a raccontar la New Hollywood son bravi tutti, a mettere l’occhio di bue sulla Cinecittà cacio e pepe si deve essere fenomeni.
Tomas Milian è cinema vero. È la lente d’ingrandimento sul motivo perché quest’arte susciti tanta passione, interesse e approfondimento. Nel popolo come tra i filosofi. E raccontandolo, Gomarasca ha firmato il suo capolavoro.
Infine, tenetevi forte, sta per arrivare nelle librerie un’altra storia imperdibile, quella di Franco Lechner. Chi è? Il mitico Bombolo, accanto al quale Tomas ha rivelato vorrebbe “essere sepolto, al Verano”. Duecento pagine di Ezio Cardarelli, che sono una lettera d’amore a un’altra icona di quei tempi, al fido sodale e scudiero di Milian, a una maschera eccezionale, umile e dolente. Meno ambizioso E poi cominciatti a fa l’attore edito da Adestdellequatore, ma pieno di testimonianze e aneddoti su un’adolescenza difficile, è però imprescindibile per rendere il ritratto di quella Roma grottesca, caciarona e un po’ bastarda di cui i due, inseparabili sullo schermo, erano i cantori. Ts, ts!