Nel 2014 si celebreranno i duecentocinquanta anni della pubblicazione di Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, la più importante opera dell’Illuminismo italiano, pubblicata a Livorno appunto nel 1764; un libro emblematico, di svolta, espressione di un’epoca di trasformazione, frutto di una riflessione collettiva della comunità degli illuministi lombardi. Questo importante appuntamento sarà anche un’occasione per valutare se al successo straordinario dell’opera, alla sua diffusione internazionale (che fu immediata), corrisponda nel mondo attuale un’effettiva e solida affermazione delle idee in essa sostenute con tanto vigore ed efficacia. Le occasioni di riflessione non mancheranno, anche se le più importanti, fra quelle già in calendario, sono forse quelle proposte in Francia dall’Università della Sorbona; le iniziative milanesi e italiane in generale stentano a decollare. Una circostanza non sorprendente e in sintonia, del resto, con quanto accadde duecentocinquanta anni fa, quando numerosi furono i riconoscimenti in campo internazionale (gli enciclopedisti francesi, naturalmente, ma anche Gustavo III di Svezia, Carlo III di Spagna, Thomas Jefferson) mentre più incerte furono le accoglienze in Italia, a parte l’illuminato Granducato di Toscana, soprattutto dopo l’inserimento dell’opera nell’Indice dei libri proibiti della Chiesa. L’attualità di Dei delitti e delle pene è per certi versi invece un’amara sorpresa: la separazione tra reato e peccato, la condanna della pena di morte e della tortura, la depenalizzazione del suicidio, l’importanza della certezza delle pene e della loro relativa mitezza, la rapidità del processo penale sono principi e temi che potrebbero appartenere ad un trattato sulla giustizia scritto ai nostri giorni, in molti Paesi, compreso il nostro. Basterebbe soffermarsi sul tema della pena di morte, ancora applicata nel mondo in cinquantotto Stati tra cui alcune importanti democrazie, sulla diffusa pratica della tortura, sulla gestione confessionale della giustizia in molte aree, sulle condizioni di detenzione e sulla lunghezza dei processi per scoprire l’anacronismo della prassi penale rispetto alle urgenze dei diritti civili e l’urticante attualità del pensiero di Cesare Beccaria.