Avete fatto il backup del vostro computer oggi? Secondo una ricerca appena pubblicata su Nature. (http://www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature11875.html), probabilmente tra qualche anno per salvare dati preziosi potremmo usare direttamente il DNA. Sì, proprio la sequenza di A, T, C, G.
L’idea, infatti, è di utilizzare sequenze di DNA sintetico in modo da riprodurre il codice utilizzato dai computer per archiviare i dati. Tante informazioni in uno spazio ridotto, proprio come avviene all’interno delle nostre cellule, dove tutte le informazioni necessarie sono codificate dai circa 3,3 miliardi di lettere che costituiscono il codice genetico. E il tutto è confinato nel nucleo delle dimensioni di pochi micrometri.
Nel corso della prima prova i ricercatori hanno dimostrato che è possibile utilizzare il DNA per archiviare i formati di file più comunemente presenti nei nostri computer: un articolo scientifico in formato pdf, una fotografia a colori in formato jpeg, un estratto del discorso di Martin Luther King in formato mp3, il testo utilizzato per la conversione dei byte nella codifica corretta e, un po’ di poesia con i sonetti di Shakespeare. 757.051 byte in totale, rappresentati con 153.335 frammenti di DNA della lunghezza di 117 nucleotidi ciascuno.
L’idea è nata in un pub di fronte a una birra e a spiegarlo è proprio uno degli autori sulle pagine del suo blog (http://genomeinformatician.blogspot.it/2013/01/using-dna-as-digital-archive-media.html). Va detto che stiamo parlando di uno dei ricercatori che ha partecipato e coordinato alcuni dei più importanti progetti nel campo della genomica, come il progetto genoma umano ed ENCODE. Ewan Birney (http://www.ebi.ac.uk/~birney/) infatti è Associate Director dell’ European Bioinformatics Institute (EBI) ed è tra i fondatori di Ensembl, uno dei principali database che raccoglie le informazioni sui principali genomi eucarioti sequenziati fino ad oggi. Birney e Nick Goldman volevano trovare un modo per archiviare le immense quantità di dati generate dalle nuove tecniche di sequenziamento, il cosiddetto next generation sequencing.
Uno dei problemi della ricerca attuale sta proprio nel conservare i dati generati dai grandi progetti e questo vale sia nel campo della genomica, sia se parliamo di esperimenti come LHC al CERN. I costi per non perdere i dati prodotti a volte sono maggiori di quelli utilizzati per ottenerli e questo è il caso del sequenziamento, in cui il progresso della tecnologia permette di sequenziare il genoma a costi molto ridotti.
Però Birney e Goldman non sono stati gli unici a pensare di utilizzare il DNA per archiviare i dati. A settembre dello scorso anno un altro esperto di sequenziamento del genoma, George Church (http://arep.med.harvard.edu/gmc/), aveva pubblicato una simile proposta sulle pagine di Science (http://www.sciencemag.org/content/337/6102/1628.full).
L’archiviazione dei dati nel DNA potrebbe offrire diversi vantaggi. Innanzitutto il DNA può essere immagazzinato in modo stabile per anni, senza il rischio di perdere informazioni importanti. I frammenti di 117 nucleotidi utilizzati da Birney &co garantiscono inoltre una ridondanza di informazioni, quindi anche in caso di parziale perdita di materiale, viene garantita la conservazione dei byte archiviati. Ma anche lo spazio è un aspetto da non sottovalutare. Secondo le previsioni del gruppo dell’EBI è possibile raggiungere una densità di 2,2 petabyte di dati per grammo di DNA.
Al momento gli ovvi svantaggi sono i costi di realizzazione. Archiviare grandi quantità di dati nel DNA non è economico e il prezzo verrebbe ammortizzato solamente per lunghissimi periodi di stoccaggio, o quando le tecnologie consentiranno un ulteriore abbattimento dei costi. Altro problema riguarda l’accessibilità dei dati. Scordatevi il vostro hard disk esterno dal quale potete prelevare continuamente i dati e allo stesso modo potete inserirne di nuovi. Nel caso degli archivi di DNA, “leggere i file” significa risequenziare il DNA, quindi tempi tecnici di realizzazione e costi.
L’idea è affascinante, ma al momento è senz’altro più comodo (ed economico) utilizzare i vecchi sistemi di archiviazione dati. Aspettiamo di vedere quale sarà la prossima proposta per migliorare quell’idea nata in un pub, scritta sui tovaglioli di carta e arrivata a Nature.

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