Il suono avvolgente dei canti epici rappresenta uno degli elementi più pervasivi nelle steppe dell’Asia Centrale attraverso cui prendono vita poemi tramandati oralmente da bardi professionisti che, di generazione in generazione, narrano le gesta eroiche dei popoli nomadi di stirpe turca. Le molteplici forme in cui tale eredità artistico-letteraria viene declinata sono entrate a far parte del Patrimonio Culturale Intangibile patrocinato dall’UNESCO (Intangible Cultural Heritage) il cui scopo è valorizzare tradizioni che costituiscono un fattore essenziale nel salvaguardare la diversità culturale contro la dilagante globalizzazione. In paesi quali Turkmenistan, Kazakistan e Kirghizistan il complesso sistema di narrare saghe popolari va ben al di là della recitazione e del canto, includendo anche composizione musicale, danza, trasmissione del sapere, rituali di guarigione e commemorazione funeraria. Lo stesso repertorio epico è in realtà una sorta di corpus enciclopedico orale la cui rappresentazione afferma e vivifica l’orizzonte culturale di quei popoli. Nei canti delle steppe il retaggio delle origini nomadiche è ancora forte e molti sono gli elementi ancestrali di origine pre-islamica che in essi riemergono con vigore; il cantastorie itinerante infatti riveste tuttora la funzione di sciamano-guaritore, conoscitore delle arti magiche e al contempo moralizzatore dei costumi. I custodi ispirati di quest’arte, chiamati bakshi in turkmeno, akyn in kirghiso o dastanchi in uzbeko, si esibiscono da secoli davanti al pubblico raccolto nei bazar, nelle chaikhana (case del tè) o nelle tradizionali yurte; costoro rielaborano un repertorio di storie e motivi arcaici basandosi su ritmo, rima e improvvisazione. La loro abilità risiede proprio nella versatilità del saper attingere dal passato e assimilare temi del presente, un’adattabilità tanto connaturata alla loro arte che nella recente esperienza sovietica i bardi centroasiatici seppero reinventare il proprio repertorio cantando l’eroicità del lavoro e dell’etica socialista. La rilevanza di quest’arte nella società locale dà ancora adito a competizioni pubbliche molto popolari, gli aitysh, organizzate in occasione di festività e altre celebrazioni. In Turkmenistan la figura di riferimento delle performance dei bakshi è l’eroe nazionale Gorogly accompagnato nelle sue avventure da quaranta cavalieri. La trasmissione di tali racconti epici ha un ruolo significativo nell’educazione delle nuove generazioni e riflette gli orientamenti culturali turkmeni promuovendo valori quali libertà e giustizia, coraggio e amicizia. Senza alcun dubbio l’esempio più lampante della ricchezza e dell’impatto di quest’arte tradizionale è offerto dall’epopea kirghisa di Manas, un monumento della letteratura orale che per estensione supera di gran lunga opere quali l’Iliade e il Mahabharata. Recitata da una classe specifica di akyn denominati manaschi, la saga è costituita da molteplici varianti e racconti paralleli, di cui si cominciò la raccolta in forma scritta solo a partire dalla metà del XIX secolo. La professione di akyn non risponde ad una scelta quanto piuttosto ad una vocazione nata dopo l’esperienza di un sogno premonitore in cui gli spiriti degli eroi rivelano messaggi all’individuo prescelto. Durante la recitazione l’akyn entra in uno stato di trance che lo mette in condizione di attingere alla fonte dell’ispirazione poetica e mimica ricreando le scene più tragiche con coinvolgente trasporto. In speciali occasioni la narrazione continuata del ciclo epico può durare fino a tredici ore in cui il pubblico sperimenta anche le funzioni curative e catartiche di questo tipo di rappresentazione. Ancora oggi la recitazione è spesso legata a spazi ritenuti sacri, mentre lo stesso territorio della piccola repubblica kirghisa è costellato di luoghi connessi alle imprese o alle sepolture di Manas e dei suoi fedeli cavalieri. All’interno della trilogia principale dedicata all’eroe e ai suoi discendenti, Semetey e Seytek, è condensata genesi e memoria delle tribù kirghise in un intreccio fra realtà e leggenda in cui si rintracciano eventi storici significativi a partire dal IX secolo.

I registri poetici e gli stili musicali che accompagnano tutte queste rappresentazioni sono componenti specifiche della cultura nomadica e si sono sempre contrapposti, tanto in passato quanto oggi, ai generi in voga nelle sofisticate realtà urbane delle città carovaniere dell’Asia Centrale. Nel contesto contemporaneo tale patrimonio viene sfruttato con fini pragmatici da politici e governanti come elemento di unità nazionale e potenziale economico/turistico. Tutte le repubbliche centro asiatiche nate dalla frantumazione dell’ex URSS sono infatti alla ricerca di una definizione dell’identità nazionale che trova pochi agganci con la fluida realtà storica di quell’immensa e sfaccettata regione; ancora una volta l’arte dei bardi sembra offrire in questi sconfinati orizzonti un punto di riferimento per clan, popoli e singoli individui.

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